L'assegnazione del processo di divorzio al giudice della separazione. Verso il divorzio diretto per creazione giurisprudenziale?
06 Settembre 2016
Il quadro normativo
Come noto, la l. n. 55/2015 ha abbreviato i termini per la presentazione della domanda di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, attualmente pari a 6 mesi (nell'ipotesi di separazione consensuale) o 12 mesi (nell'ipotesi di separazione giudiziale). Il termine decorre dall'udienza presidenziale (ex art. 711 c.p.c. nella consensuale, ex art. 708 c.p.c. nella giudiziale) o dall'autorizzazione/nulla osta del Pubblico Ministero (per il caso di separazione conclusa a seguito di negoziazione assistita). Ovviamente, nell'ipotesi contenziosa, il ricorso ex art. 4 l. n. 898/1970 potrà essere presentato solo successivamente al passaggio in giudicato della sentenza (anche non definitiva) di separazione. Come evidenziato dalla migliore dottrina (F. Danovi, Al via il divorzio breve: tempi ridotti ma manca il coordinamento con la separazione, in Fam. e Dir., Milano, n.6, 607, 2015) il legislatore, agendo forse frettolosamente, ha dimenticato di prendere in considerazione le problematiche processuali connesse alla pendenza, tra le stesse parti, del giudizio di separazione e di quello di divorzio. Contemporaneità che, nelle ipotesi di contenzioso, rischia di diventare la regola o comunque di essere ipotesi assai frequente, come correttamente segnalato: «Per effetto della nuova disciplina, sarà ricorrente il caso in cui la domanda giudiziale di divorzio verrà presentata allorché ancora pende il procedimento di separazione» (Trib. Milano, Delibera Presidente sez. IX, Dott. Servetti, 25 maggio 2015), «essendo logica conseguenza alla suddetta abbreviazione [...] che, considerati i tempi intercorrenti tra il deposito del ricorso e la fissazione dell'udienza presidenziale, buona parte dei procedimenti di separazione giudiziale risulterà al momento della sua proposizione ancora pendente innanzi al Giudice Istruttore» (Trib. Roma, Delibera Presidente, Dott. Mario Bresciano, 25 giugno 2015). Tale mancanza di coordinamento è stata particolarmente sentita da molti Presidenti di Tribunale che hanno ritenuto necessario fissare alcune regole, in deroga al sistema tabellare, onde evitare una babele di provvedimenti, incidenti sulle medesime situazioni, emessi da giudici differenti. Tali delibere però non esauriscono, né avrebbero potuto mai esaurire, tutte le problematiche processuali che discendono dall'abbreviazione dei termini di cui alla l. n. 55/2015. I problemi processuali derivanti dal divorzio breve
Dalla contemporanea pendenza del giudizio di separazione e divorzio, discendono alcune questioni che meriterebbero un'indicazione univoca – o quanto meno un'omogeneità di prassi- all'interno dei singoli Tribunali: a) l'assegnazione del procedimento di divorzio pendente la separazione; b) la competenza a decidere sulle domande, alcune delle quali identiche (quelle derivanti dal vincolo della filiazione) altre simili (assegno di mantenimento e assegno di divorzio) altre ancora totalmente differenti (addebito e divorzio) c) le modalità di trattazione dei procedimenti contemporanei. d) la decorrenza degli assegni. Le prime 3 delibere dei Tribunali di Roma, Milano e Verona, hanno cercato di dare delle indicazioni, sulle quali, però, qualche riflessione si rende opportuna. I provvedimenti di modifica delle assegnazioni delle cause
I provvedimenti in commento hanno optato per l'assegnazione automatica dei procedimenti di divorzio al Giudice Istruttore del procedimento di separazione, qualora ovviamente questo giudizio sia ancora pendente. La scelta adottata appare coerente con l'intento di gestire in maniera razionale ed efficiente il contenzioso matrimoniale in considerazione delle seguenti osservazioni (formulate dal Tribunale di Milano e dal Tribunale di Roma): a) svuotamento del giudizio di separazione con riferimento alle domande inerenti la responsabilità genitoriale e il contributo ex art. 337 ter c.c. che, necessariamente sono di competenza del giudice del divorzio (eccezion fatta, occorre aggiungere, per l'assegno perequativo maturato dalla data della domanda di separazione all'emissione del provvedimento presidenziale in sede di divorzio); b) affievolimento dell'importanza del giudizio di separazione in punto di contributo economico; sul punto le precisazioni del Presidente del Tribunale di Milano e di quello di Verona (»dal momento del deposito del ricorso divorzile il giudice della separazione non può più pronunziarsi sulle questioni economiche se non con riguardo alla data compresa tra il deposito del ricorso per separazione e quello di deposito del ricorso per divorzio») devono leggersi nel senso – ex art. 4 comma 10 l. n. 898/1970- che la competenza del Giudice divorzile assorbe quella del Giudice della separazione allorché il primo eserciti la facoltà, attribuitagli dalla norma in esame, di far decorrere l'assegno ex art. 5 l. n. 898/1970 dalla data della domanda; nel caso (invero residuale) in cui nulla il giudice del divorzio disponga, permarrà l'efficacia dell'assegno di separazione sino al passaggio in giudicato della sentenza che abbia disposto il contributo divorzile. L'opzione evidenziata nei tre provvedimenti di assegnazione appare condivisibile e razionale (per i fini che vi sono sottesi); purtuttavia non si esime da profili di criticità, laddove - soprattutto in quei Tribunali (come Milano e Roma) il Presidente è anche Giudice Istruttore - un unico giudice è deputato a dirimere tutti gli aspetti della crisi familiare, anche se ha a che fare con istituti obiettivamente differenti (assegno di separazione e assegno di divorzio); il ché porta con sé, dal punto di vista eminentemente pratico, due conseguenze non poco rischiose: che le eventuali risultanze – ed impressioni- dell'udienza presidenziale della separazione (che, a questo punto assume un ruolo ancor più fondamentale) condizionino anche il giudizio di divorzio e che l'assegno di divorzio finisca per risultare, sempre nella pratica, la mera fotocopia dell'assegno di separazione, ancorché, come noto, vi siano delle obiettive differenze tra i due contributi che solo un intervento legislativo può cancellare. Pendenza e riunione dei giudizi
Una volta stabilita la competenza “cumulata”, la soluzione probabilmente più coerente con le esigenze di celerità sottese ai provvedimenti di assegnazione, sarebbe quella di prevedere la riunione tra il giudizio di separazione e quello di divorzio. Il Tribunale di Milano e quello di Roma non hanno preso posizione sul punto (lasciando dunque aperta tale possibilità, specialmente il Tribunale di Roma) mentre il Tribunale di Verona pare escludere questa possibilità «per la non sovrapponibilità di tutte le domande proponibili nei due giudizi», “non sovrapponibilità” che invece sembra essere esclusa dalle motivazioni che hanno indotto lo stesso Tribunale di Verona ad optare per il processo “simultaneo”. Tale esclusione non appare del tutto ragionevole. Una volta emessa la sentenza sulla separazione, infatti, nulla impedisce che il procedimento di divorzio, possa essere riunito al giudizio di separazione; anche qualora non si volesse applicare l'art. 274 c.p.c., per la diversità della causa petendi (diversità che ove rigidamente intesa dovrebbe però non rendere applicabile neppure il modello di assegnazione allo stesso giudice proposto nei tre protocolli) tra i due giudizi, si potrebbe applicare l'istituto della riunione dei procedimenti per connessione “impropria” ex art. 151 disp. att. c.p.c. (previsto però per le controversie giuslavoristiche e previdenziali) essendo evidente la sussistenza, tra la causa di separazione e quella divorzio, di questioni giuridiche connesse. Sposa tale modello la decisione del Tribunale di Milano (Trib. Milano, decr. 26 febbraio 2016) che, letto il ricorso di divorzio proposto da Tizio, pendente innanzi al medesimo Giudice il procedimento, si è riservato di provvedere alla riunione del procedimento di divorzio a quello di separazione; sul punto peraltro sovviene un orientamento risalente nel tempo che aveva ammesso proprio la riunione del procedimento di divorzio a quello di separazione (per colpa; Cass. civ., 29 novembre 1975, n.3988). D'altra parte, una volta scelta la via del processo simultaneo, non pare ostino particolari ragioni per escludere la riunione dei due procedimenti in considerazione del fatto che: a) in punto obblighi verso i figli la pendenza del divorzio “annulla” la competenza del Giudice della separazione; b) la domanda di divorzio non confligge ma anzi dipende dalla pronunzia di separazione; c) l'addebito della separazione permane in tutta la sua autonomia ma, considerata la natura accessoria rispetto alla pronuncia sullo status, la sua proposizione non appare ostativa all'ipotizzata riunione, anche in considerazione del fatto che l'addebito non ha alcun riflesso sull'assegno divorzile (che teoricamente spetta anche all'ex coniuge cui sia stata ascritta la responsabilità della frattura coniugale). D'altra parte solo l'effettiva riunione dei due procedimenti potrebbe produrre quegli effetti semplificatori e razionalizzanti voluti dai Presidenti dei Tribunali di Roma, Verona e Milano. Basti pensare agli accertamenti istruttori e peritali che potranno, a mo' di osmosi, passare da un procedimento all'altro solo per effetto della riunione che, peraltro determinerebbe un obiettivo risparmio in punto spese processuali, essendo evidente che i semplici processi paralleli non impediscono ai difensori di presentare (al Tribunale o all'assistito) due note spese per i due procedimenti trattati dallo stesso Giudice Istruttore ma comunque distinti ai fini “parcellari”. Criticità del modello veronese
Il Presidente del Tribunale di Verona – a differenza dei suoi colleghi- ha dettato disposizioni dirette a incidere – e non poco - sulla modalità di trattazione dei procedimenti di separazione e divorzio. In particolare: 1) le sentenze non definitive di separazione e di divorzio saranno emesse alla prima udienza innanzi al G.I. e i termini ex art. 183., comma 6 c.p.c., saranno assegnati dal Collegio «se l'istruttoria sarà ritenuta necessaria»; la disposizione, al netto del dato letterale, non potrà che interpretarsi nel senso che, alla prima udienza, il G.I. rimetterà le parti al Collegio per la pronunzia sullo status; la soluzione è sicuramente pregevole, nell'ottica dell'abbreviazione dei tempi; non condivisibile, invece, l'assunto che sia il Collegio a concedere i termini ex art. 183, comma 6, c.p.c. «se l'istruttoria sarà ritenuta necessaria»; ciò in considerazione del dato letterale nella norma richiamata – che esclude un potere del giudice di non concedere i termini- sia in considerazione del fatto che il Collegio non potrà valutare la "necessità" dell'istruttoria prima che le parti abbiano non solo formulato i mezzi di cui chiedono l'ammissione ma, addirittura, prima che sia concesso loro di integrare i fatti costitutivi delle loro domande, nei limiti dell'emendatio libelli; un'interpretazione "estensiva" del provvedimento presidenziale, peraltro, dovrebbe indurre i professionisti veronesi ad enucleare tutti i fatti connessi alle domande (ivi compresi quelli sull'addebito) direttamente nel ricorso introduttivo e/o nelle memorie integrative; con ciò rischiando di acuire la conflittualità processual-coniugale in un momento anteriore rispetto a quello necessario (le memorie ex art. 183 comma 6 c.p.c., appunto). 2) L'emanazione della sentenza di divorzio «priverà di sostanziale rilievo la domanda di addebito per quanto concerne gli effetti successori, sia per la regolamentazione dei rapporti tra i coniugi (si può infatti riconoscere un assegno divorzile - caratterizzato dalla sola finalità assistenziale- anche al coniuge colpevole)». Tale previsione rappresenta una pur pregevole "fuga in avanti" ma conferisce alla Legge sul divorzio breve un effetto che, nella realtà, il legislatore non ha voluto: l'eliminazione dell'addebito (soluzione auspicata che, però, presuppone la riscrittura di una serie di norme); ancorché, si ripete, chi scrive è favorevole all'eliminazione di un passaggio (la separazione) non inutile ma spesso deleterio (si pensi all'impossibilità di definire tombalmente i rapporti patrimoniali tra i coniugi in sede di separazione), tale risultato, non voluto dal legislatore, non può essere raggiunto per via "giudiziaria". Peraltro occorre osservare che la disposizione in esame potrebbe condividersi solo se applicata dai giudici veronesi nel senso di operare nei confronti delle parti una sorta di moral suasion finalizzato all'abbandono (volontario) della domanda di addebito, successivamente all'emissione della sentenza non definitiva sullo status; ove invece dovesse essere applicata come direttiva finalizzata a ritenere che tutte le richieste di addebito, successivamente alla pronunzia non definitiva sul divorzio, debbano essere respinte, per mancanza di interesse ad agire (e/o per cessazione della materia del contendere), si porrebbero seri problemi di compatibilità si siffatte pronunzie con l'attuale sistema. Rischio di fusione dell'assegno di separazione e divorzio
Come è stato già evidenziato in questa rivista, per effetto del divorzio breve «Assai concreto è il pericolo che la consolidata differenza tra la natura dell'assegno di mantenimento (diretta a consentire al coniuge il tendenziale mantenimento del medesimo tenore di vita goduto in costanza di matrimonio) rispetto a quella (più specificatamente assistenziale) caratterizzante l'assegno divorzile (diretto a garantire il coniuge che non disponga di mezzi adeguati o comunque non possa procurarseli per ragioni oggettive) tenda sempre più ad assottigliarsi, a confondersi e forse anche ad azzerarsi. Gli scenari ipotizzabili sono chiaramente due, tra loro alternativi: sarà l'assegno di mantenimento a sostituirsi all'assegno divorzile o sarà al contrario l'assegno divorzile – destinato ad una definitiva stabilizzazione degli assetti patrimoniali tra i coniugi - a prendere il posto di quello di mantenimento? Il problema non è tanto terminologico ma sostanziale: i presupposti richiesti e necessari per il riconoscimento di un assegno divorzile sono, infatti, assai più rigidi rispetto a quelli che aprono al riconoscimento di un assegno di mantenimento essendo ad esempio del tutto “ininfluente” per l'attribuzione dell'assegno di separazione il parametro “della durata del matrimonio” che – al contrario- rappresenta un indice significativo nella determinazione dell'assegno divorzile» (L. Cosmai, A. Figone, A. Simeone, V. Tagliaferri, Divorzio breve: una semplificazione complicata, in IlFamiliarista.it) L'assegnazione dei due procedimenti di separazione e divorzio (oltretutto necessariamente prima che il Collegio si sia pronunciato sull'assegno ex art. 156 c.c.) al medesimo Giudice comporta il rischio di azzeramento, dal punto di vista dell'an e del quantum, delle differenze tra i due istituti; è invero assai probabile che l'assegno di divorzio diventi una conferma dell'assegno di separazione, pur se calcolato in applicazione dei correttivi di cui all'art. 5 l. n. 898/1970 (che operano come fattori di abbassamento dell'assegno); così come, nella pratica, non sarà infrequente il rigetto, in sede di provvedimenti ex art. 708 c.p.c., della domanda ex art. 156 c.c., pur in presenza dei relativi presupposti, in ragione dell'imminente deposito del ricorso per divorzio. Un problema, creato dalla mancanza di coraggio del nostro legislatore di eliminare la separazione o comunque di riformare anche gli artt. 156 c.c. e 5 l. n. 898/1970, che creerà non pochi effetti distorsivi. Decorrenza degli assegni
Anche indipendentemente dalla riunione dei procedimenti, sarà opportuno che i Tribunali, nell'emanazione delle sentenze definitive, rammentino di stabilire, come è loro facoltà, le decorrenze dei singoli contributi: assegno per i figli, assegno di mantenimento, assegno di divorzio; tutto ciò al fine di evitare l'esplosione del conflitto in sede di esecuzione che potrebbe derivare da sentenze “in bianco” sotto il profilo temporale. In tale senso, in applicazione dei principi consolidati in materia – e in assenza di eventuali mutamenti sulla situazione economica in corso di giudizio, tali da indurre a una modulazione differente - le regole dovrebbero essere le seguenti: a) l'assegno perequativo è dovuto dalla data della domanda di separazione; in tal senso occorrerà comunque prevedere un idoneo capo in sentenza, cosicché un eventuale sentenza di separazione (nell'ipotesi in cui i procedimenti non siano riuniti) che ne sia privo, potrebbe essere impugnata per difetto di pronunzia; b) l'assegno di separazione sarà dovuto (salva la facoltà di stabilire decorrenze e importi differenziati) dal momento della domanda di separazione e sino all'emissione della sentenza (anche non definitiva) di divorzio se il Giudice avrà esercitato la facoltà di cui all'art. 4 comma 10 l. n. 898/1970; diversamente sarà dovuto sino alla sentenza definitiva, subordinatamente al suo passaggio in giudicato; c) l'assegno di divorzio sarà dovuto dalla data della domanda, se così previsto espressamente; diversamente sarà dovuto dalla data della sentenza definitiva. In conclusione
L'assegnazione al giudice della separazione del procedimento per divorzio, lo svuotamento del giudizio di separazione (il cui oggetto rimarrà solo la domanda di addebito e, per un periodo limitato di tempo, l'assegno ex art. 156 c.c.), la prevedibile fusione tra contributo al mantenimento e assegno divorzile, avranno, sulla lunga distanza, l'effetto che un Legislatore timoroso non avrebbe voluto, consistente proprio nella previsione di una sorta di divorzio diretto, seppure, nelle ipotesi contenziose, preceduto dall'interregno di 12 mesi del giudizio di separazione.
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