La mediazione familiare e la mediazione familiare forense: Cenerentola o Araba Fenice?
06 Ottobre 2016
La Mediazione Familiare al tempo della mediazione civile - commerciale
Dopo qualche anno di sperimentazione della mediazione civile commerciale disciplinata dal d.lgs. n. 28/2010, viene spontaneo chiedersi che fine abbia fatto, invece, la mediazione familiare. O meglio, è lecito chiedersi quale effetto abbia avuto su di essa il vivace dibattito che ha caratterizzato questi primi anni di diffusione della c.d. “media-conciliazione” su un istituto - quello appunto della più “anziana” e tradizionale mediazione familiare - che si pratica nel nostro Paese da oltre trent'anni (anche se, a tutt'oggi, essa è ancora priva di una normativa autonoma e di una chiara regolamentazione della figura del mediatore familiare). L'intervento legislativo del 2010 è stato prorompente: nel giro di qualche mese esso ha imposto la mediazione obbligatoria in un'ampia serie di controversie, introducendo una normativa che ha codificato la nozione di mediazione e mediatore; ha disciplinato il rapporto della prima con il processo e ha stabilito un percorso di formazione per il secondo. La mediazione familiare, come si è detto, non può nemmeno contare, al contrario, sulla regolamentazione della figura del mediatore familiare: e l'unico tentativo fatto in questa direzione (l.r. Lazio n. 26/2008) non ha passato il vaglio della Consulta (C. cost., sent.,15 aprile 2010, n. 131). Non stupisce, quindi, se anche la posizione della mediazione familiare rispetto al processo civile, resti ambigua, risentendo dell'evanescenza normativa dell'istituto. Da una parte, i puristi della mediazione familiare gioiscono di questo fatto, convinti come sono della necessità che essa – come vuole l'insegnamento dei suoi primi teorici - debba restare “incontaminata” da tutto ciò che concerne il processo e le aule giudiziarie. Dall'altra, alcuni operatori si stanno interrogando per capire se non sia proprio questa lontananza dalle aule della giustizia il motivo per cui la mediazione familiare non ha ancora avuto il successo che meriterebbe o, quanto meno, quello che da essa ci si attendeva. Il confronto è quindi aperto ed è stato forse proprio grazie al vivace fermento introdotto dalla mediazione civile, che la questione è tornata in auge. Ci si domanda infatti che impatto abbia avuto sulla mediazione familiare, il vero e proprio tsunami prodotto dall'introduzione della mediazione civile nel nostro Paese: se le abbia giovato, riattivando un dibattito che da anni sembrava affievolito e comunque relegato ad uno strettissimo ambito di addetti al lavoro; oppure se, viceversa, lo scontro accesosi sulla prima abbia definitivamente sopito ogni interesse sulla seconda, rendendola ancor più marginale al cospetto della vivacissima “sorella” più giovane. A giudicare da alcune iniziative in ambito forense, sembra più realistico propendere per la prima risposta; e pare che l'effetto domino, provocato dall'approvazione della prima versione del d.lgs. n. 28/2010 non sia ancora cessato e sia invece destinato a crescere. E, con esso, anche il ruolo che l'avvocatura - o almeno una parte di essa - vorrà assumersi in questo interessante dibattito.
Una prima riflessione appare doverosa e riguarda le modalità di misurazione, i tempi e i criteri di valutazione di questi primi anni di sperimentazione della mediazione civile, che vale anche per la mediazione familiare. Giorgio Santacroce (Primo Presidente della Suprema Corte di Cassazione) in occasione dell'inaugurazione dell'Anno della Mediazione 2013/2014 si è espresso così: «La pacificazione è la più importante funzione che la mediazione è chiamata ad assolvere dal punto di vista antropologico e culturale, perché essa guarda al futuro e agisce sul rapporto complessivo tra le parti, puntando a far riscoprire, attraverso un accordo, le virtù del consenso e della negoziazione paritaria». Colpisce, tra i molti pensieri esposti in quel discorso, il richiamo alla funzione pacificatoria della mediazione e all'importanza attribuitale dal Relatore: troppo spesso, infatti, quando si parla di mediazione – e, più in generale, di ADR - il “focus” si concentra innanzitutto sul suo effetto deflattivo, sul numero e la percentuale degli accordi raggiunti. Quasi fosse questo l'unico e il principale obiettivo sul quale misurare l'efficacia di tale complesso strumento, trascurando quello che invece è il ruolo primario culturalmente più rilevante della pratica della mediazione, il cui esito conciliativo della lite e deflattivo del contenzioso è solo un effetto collaterale, una delle possibili conseguenze. L'attenzione degli operatori dovrebbe invece convergere proprio sulla funzione pacificatoria che si estende ben oltre gli stretti confini della lite sedata, permeando di sè tutte le persone coinvolte nel conflitto (siano le parti confliggenti, o i loro familiari, ma anche avvocati, giudici e operatori dei servizi sociali), con un effetto che travalica la semplice contabilizzazione di un contenzioso in meno. È proprio questo effetto secondario, indiretto, la vera forza di questo istituto; l'effetto che andrebbe misurato per comprenderne appieno le potenzialità. A maggior ragione quando si tratta di mediazione familiare, visto che i soggetti coinvolti hanno legami destinati a durare nel tempo e che i danni che derivano da un conflitto familiare possono avere effetti deleteri e permanenti sui soggetti più deboli (i minori, in primis, ma anche gli anziani congiunti). Quando un conflitto si placa e le parti raggiungono un equilibrio tra la forza in se stesse e l'apertura verso l'altro, nella prospettiva comune di soddisfare tutti i bisogni e gli interessi in campo, si assiste di norma ad una trasformazione che non lascia indifferenti; ogni parte coinvolta – seppur in ruolo secondario - ne subisce in qualche modo gli effetti benefici. Come nel gioco del domino, la forza del consenso ritrovato, il beneficio cui porta la trasformazione del conflitto e della qualità della relazione, contaminano positivamente chi vi assiste. E questa è sicuramente la miglior pubblicità che la mediazione possa fare a se stessa: le persone che assistono a tale cambiamento saranno anche testimoni convinti delle sue potenzialità nella difficile sfida di affrontare il conflitto familiare con strumenti nuovi, più articolati e profondi, che consentano alle persone di uscire dalla distruttività tipica dell'interazione conflittuale, di evolvere dalla rigida logica del “voglio ciò che è giusto” per concentrarsi su “voglio ciò che è meglio per noi”. Legare le sorti della mediazione alla funzione biecamente “contabile” della deflazione del contenzioso, è un grave errore che svuota l' istituto dalle sue aspirazioni più profonde, che non sono certo quelle di contare il numero dei conflitti risolti, ma di valutare la qualità delle soluzione date, il grado di responsabilità e autonomia raggiunto dalle parti (che quindi saranno in grado di confrontarsi nuovamente per risolvere altre eventuali controversie evitando il ricorso al Tribunale) e, perché no, dai loro avvocati. Alla luce di questa considerazione è allora agevole comprendere anche perché la mediazione familiare ha avuto così scarso appeal sul nostro legislatore, il cui interesse per i sistemi alternativi di soluzione delle controversie è quasi esclusivamente determinato dal loro effetto disincentivante. L'introduzione della mediazione civile, quindi, ha senz'altro prodotto un cambiamento radicale, la cui portata è ancora tutta da definire: siamo entrati in un “nuovo mondo” e gli avvocati sono stati i primi ad accorgersene (seppure, nella maggior parte dei casi, per contestarne e ostacolarne l'introduzione). Senza voler ripercorrere le controverse vicende che hanno caratterizzato l'accoglienza da parte della categoria forense del d.lgs. n. 28/2010 (nonostante quest'ultimo abbia espresso una netta preferenza per gli organismi forensi, individuando negli Ordini degli Avvocati i principali interlocutori per l'erogazione del servizio di mediazione), basti qui ricordare che proprio grazie al dibattito avviato nella categoria, proprio alcuni Ordini hanno iniziato a guardare alle ADR come ad un'opportunità, piuttosto che una sciagura dalla quale difendersi. Accanto ad Ordini che hanno accolto la sollecitazione del legislatore come l'ennesimo onere di cui farsi carico, altri, proprio grazie alla “spinta” del legislatore, hanno avviato Organismi che sono divenuti veri e propri “laboratori” di ADR, frequentati da avvocati mediatori, divenuti convinti sostenitori del cambiamento culturale ormai in atto e che ritengono che la categoria forense debba avere un ruolo centrale in tale cambiamento. Nasce così l'idea di affiancare al servizio di mediazione civile disciplinato dal d.lgs. n. 28/2010, anche quello di mediazione familiare, adottando però un modello del tutto peculiare che potremmo definire Mediazione Familiare Forense (MFF). La Mediazione Familiare Forense
Il modello di Mediazione familiare Forense (MFF) proposto dall'Organismo di Conciliazione Forense di Milano, si caratterizza innanzitutto per l'importante coinvolgimento degli avvocati delle parti nella procedura e da una stretta collaborazione tra avvocati e mediatori familiari. La sequenza è la seguente: - deposito dell'istanza di MFF di parte attivante; - la Segreteria provvede a convocare la parte chiamata in mediazione, comunicando la data del primo incontro e il nome del mediatore; in caso di domanda congiunta le parti possono scegliere il mediatore (purché siano d'accordo sul nome); - risposta della parte convocata che può aderire o non aderire; - al primo incontro (c.d. di “verifica di mediabilità”) sono presenti parti e avvocati; - ai successivi incontri: di norma non è prevista la presenza degli avvocati, a meno che non si ritenga opportuna la loro partecipazione; è prevista anche la possibilità di incontri tra i soli difensori e il mediatore, ove se ne ravvisi la necessità (ad. es. quando ci sia un'alta conflittualità tra i legali); - all'ultimo incontro (incontro nel quale, di norma, si redige l'accordo) è prevista la partecipazione delle parti e dei loro difensori. Come si può notare, a differenza di quanto prevede il modello “tradizionale” di MF, nel presente modello è previsto il coinvolgimento e la presenza (più o meno assidua secondo lo schema di cui sopra) degli avvocati. L'esperienza sin qui condotta ci permette di osservare come la pratica della mediazione familiare, seppur nota da anni, abbia un ambito di applicazione ridotto nonostante le potenzialità dell'istituto. Uno studio svolto tramite la S.I.Me.F. (Società Italiana di Mediatori Familiari, studio a cura di E. Allegri, M. Lucardi e G. Tamanza, 2005) dimostra che le stesse possibilità di successo del percorso mediatorio siano maggiori quando l'invio delle parti alla procedura sia accompagnato dall'avvocato e questi sia, egli per primo, convinto dell'utilità di intraprendere tale percorso. Il processo di assunzione di responsabilità e consapevolezzada parte del cliente(quello che gli anglosassoni chiamano empowerment) inizia proprio per opera dell'avvocato, nei suoi primi colloqui con il patrocinato: è indispensabile infatti che sia questi a comprendere bene l'importanza della scelta del percorso da intraprendere, e delle conseguenze che tale scelta avrà sugli anni a seguire, per sé e per l'intero nucleo familiare. Deve quindi, innanzitutto, assumersi la responsabilità dell'opzione della procedura da intraprendere. Il rapporto di fiducia che lega l'avvocato al cliente in un difficile momento della vita in cui quest'ultimo si sente particolarmente fragile e vulnerabile di fronte al disgregarsi della famiglia, assume un ruolo determinante. Ed è, normalmente, un legame forte. Il modello di MFF parte proprio da questa constatazione: perché spezzare questo legame? Perché non farne una forza? Il modello tradizionale di mediazione familiare è invece del tutto indifferente alle esigenze del rapporto cliente-avvocato e alla sua qualità; l'avvocato, anzi, è relegato ad un ruolo molto marginale se non del tutto estraneo al suo percorso, quasi fosse elemento di ostacolo alla definizione consensuale di un conflitto. In questi casi l'avvocato, dal canto suo, non partecipando in alcun modo al processo di mediazione, potrebbe non comprendere le soluzioni emerse nel percorso di mediazione familiare, magari apparentemente penalizzanti al cospetto della legge, ma molto più adatte e rispettose dei più lungimiranti interessi dei configgenti. Ebbene: il modello di MFF nasce proprio dalla constatazione che l'avvocato non debba rimanere escluso dal percorso, ma debba, anzi, esservi coinvolto e parteciparvi – ancorchè in modo e con un ruolo del tutto diverso da quello che normalmente egli assume nelle aule giudiziarie. Ritenendosi così che il legame di fiducia tra il legale e il proprio cliente sia da valorizzare e che solo la presenza di un forte alleato al suo fianco garantisca al cliente di avanzare nel processo di responsabilizzazione che è imprescindibile per il buon esito della mediazione familiare. Il modello prevede, quindi, la partecipazione degli avvocati, quantomeno al primo e all'ultimo incontro. Al primo, in quanto lo scopo di esso (normalmente destinato alla “verifica di mediabilità”) è di decidere insieme - parti e avvocati, con l'aiuto del mediatore che garantirà loro uno spazio di dialogo - se vi siano i presupposti per procedere con la mediazione e se questa sia effettivamente lo strumento più idoneo al caso concreto. Il gruppo valuta così lo stato e la natura della controversia, condivide le informazioni e i documenti necessari, quindi decide. A differenza degli altri modelli, in quello forense, all'esito del primo incontro, il team però potrebbe anche decidere che non sia il caso di proseguire con un percorso di mediazione familiare – lungo e faticoso per le parti – ma che vi siano i presupposti per procedere con la più semplice e veloce mediazione civile. Questa è un'altra peculiarità della MFF: in occasione del primo incontro è possibile che l' insieme dei soggetti coinvolti decida di adottare un'altra procedura, e questa possibilità è resa tale sia dalla presenza dei legali che possono supportare i clienti e consigliarli in questa scelta, sia dal fatto che nello stesso Organismo è previsto anche un servizio di mediazione civile. A ciò si aggiunge il supporto di un mediatore, che è anche avvocato e conosce bene il linguaggio dei colleghi; ciò aumenta lo spazio di dialogo, garantendo che l'incontro sia un'occasione, un contesto di confronto che porta le parti e i loro avvocati a riflettere e vagliare i percorsi più utili da intraprendere, nel rispetto delle esigenze di tutti. In nessun altro organismo o centro di mediazione ciò potrebbe avvenire: se all'esito del primo incontro preliminare o di verifica di mediabilità (la sostanza non muta), emerge che le parti non siano mediabili, l'incontro avrà termine ed esse se ne andranno senza una soluzione. Durante il primo incontro, verrà anche valutata l'opportunità di richiedere, eventualmente, un supporto psicologico o una consulenza (magari per aiutare i genitori a comunicare le loro scelte ai figli). Saranno considerate le priorità di ciascuno, le esigenze dei minori, e la coppia potrà essere messa “in sicurezza” in attesa di decidere quali soluzioni adottare. Al termine del primo incontro, se le parti invece decideranno di proseguire nel percorso di mediazione familiare verranno fissati incontri successivi, nei quali, di norma, non è prevista la partecipazione dei legali. Resta sempre salva, però, la possibilità per questi ultimi, o per il mediatore, di chiedere di partecipare ad uno o più incontri ed, eventualmente, ad incontri fissati appositamente tra i soli legali e il mediatore. Anche questa è una peculiarità del modello che consente di mantenere una relazione stretta e continuativa tra i colleghi e il mediatore, elemento funzionale a tutto il percorso. Ciò permette inoltre al mediatore di appianare e chiarire eventuali fraintendimenti tra colleghi, o problemi di relazione che potrebbero inficiare il lavoro delle parti. Non bisogna dimenticare, infatti, che soprattutto nella delicata materia della famiglia, ai conflitti tra le parti si sovrappongano, a volte, relazioni difficili anche tra i legali che le assistono. Gli avvocati sono poi chiamati a partecipare senz'altro all'ultimo incontro: al termine del percorso, è sempre prevista – infatti - una riunione congiunta del gruppo di lavoro per la verifica delle ipotesi di intesa che siano eventualmente emerse. É quindi previsto e necessario che i legali siano direttamente coinvolti, essendo a loro affidata la scelta della forma da dare agli accordi raggiunti. E, in caso di esito negativo del percorso, il gruppo dovrà verificare gli interventi più adeguati per il seguito della vicenda. Il mediatore familiare
Come si è detto, nel nostro Paese quella del mediatore familiare non è una professione regolamentata, né esistono requisiti minimi, definiti per legge, per poterla esercitare. Il mediatore familiare deve però essere un esperto nella gestione stragiudiziale delle conflittualità familiari e, come tale, dovrebbe possedere un ruolo professionale qualificato (psicologo, avvocato e assistente sociale), avendo sostenuto un corso di formazione con i requisiti elaborati dal Forum Europeo di Formazione e Ricerca in Mediazione Familiare (associazione senza scopo di lucro che, a partire dal 1996, riunisce i centri e le strutture che offrono una formazione completa alla mediazione familiare), il quale, a sua volta, ha recepito i requisiti indicati nella Charte européenne de la formation des mediateurs familiaux exercant dans les situations de divorce ed de sèparation, ovvero la Carta europea sulla formazione dei mediatori familiari alla cui elaborazione (1992) hanno collaborato numerose realtà e centri di formazione (tra i quali, per l'Italia, il GeA). Nel nostro Paese la formazione prevista dalle scuole aderenti alle principali associazioni di mediatori familiari (A.I.M.S., A.I.Me.F., GeA e S.I.Me.F.) prevedono un totale complessivo di 240 ore di corso tra corso base, supervisione e tirocini. I mediatori familiari degli Organismi Forensi sono tutti avvocati aventi i requisiti di formazione previsti dal Forum Europeo nonché quelli richiesti dal d.m. n. 180/2010 per i mediatori civili commerciali. Essi prestano il servizio di mediazione familiare con l'osservanza dei criteri e principi fissati nella Risoluzione n. 616 del 21 gennaio del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa contenente la raccomandazione R (98) 1, nonché nel rispetto del codice etico dell'organismo di appartenenza. Conclusioni
Certo: la presenza di numerosi modelli di mediazione familiare praticati in Italia (Mediazione Globale e Parziale; Mediazione Negoziale di Haynes; Mediazione Strutturata di O.J. Coogler; Mediazione Terapeutica di Irving e Benjamin; Mediazione Trasformativa di Folger e Bush; Mediazione Sistemica e altri ancora) non sembra deporre a favore dell'introduzione di una ennesima “procedura”. Ma preme sottolineare che la procedura sperimentata dagli Organismi Forensi non ha alcuna pretesa di costituire un vero e proprio “modello” in quanto ciò presupporrebbe uno studio e l'elaborazione di una base scientifica che, in realtà, non è stata qui ritenuta indispensabile. Del tutto impropriamente, infatti, si parla di nuovo modello, per definire quello che, in realtà, vuole solo essere una “anomalia virtuosa” nel modello tradizionale di mediazione familiare, sul quale sono stati innestati alcuni correttivi, e ciò esclusivamente sulla base di talune osservazioni pratiche. Prima tra tutte, la necessità di coinvolgere la categoria forense per sfruttarne le potenzialità ancora poco espresse nell'ambito dei sistemi consensuali o autonomi di risoluzione delle controversie. E, più maliziosamente, anche perché proprio dagli avvocati ci si attende quel cambio di paradigma che ormai - è solo questione di tempo - ha iniziato il suo inarrestabile percorso. Nulla infatti è più convincente della sperimentazione della forza e del potere pacificatorio, che la mediazione può avere su tutti coloro che la praticano. Molto più convincente della teoria elaborata nei luoghi e con le forme dell'accademia.. Provatela. |