La soluzione del conflitto genitoriale quando la lite riguarda residenza, scuola e formazione religiosa del minore

08 Marzo 2017

Le questioni di maggiore interesse per il minore devono essere assunte di comune accordo dai genitori, nonostante la crisi familiare, ed in caso di disaccordo la decisione è rimessa all'autorità giudiziaria. L'articolo offre una ricognizione critica dei criteri elaborati e delle concrete soluzioni adottate dalla giurisprudenza relativamente ad alcune delle più significative controversie e, cioè, quelle relative alla residenza del minore, alla scelta dell'istituto scolastico a cui iscriverlo ed al suo orientamento religioso.
La residenza

Con il d.lgs. n. 154/2013, conformemente alle indicazioni comunitarie ed all'orientamento della giurisprudenza sviluppatosi dopo la l. n. 54/2006, la scelta della residenza del minore è stata espressamente inclusa tra le decisioni di maggiore importanza che devono essere concordate dai genitori anche in caso di affidamento esclusivo. Da ciò consegue che il genitore con cui il minore abita, pur essendo libero di trasferire la propria residenza e di scegliere il luogo in cui vivere (libertà riconducibile agli artt. 13 e 16 Cost.), non può da solo assumere determinazioni per il minore, rischiando, altrimenti, d'incorrere in una modifica del regime di affidamento o in una misura di tipo sanzionatorio ex art. 709-ter c.p.c.. Un simile comportamento arbitrario, peraltro, non dovrebbe spostare la competenza territoriale del tribunale, da determinarsi con riferimento al luogo di residenza del minore prima dell'illegittimo cambiamento, salva l'eventuale stabilizzazione della nuova situazione, dovuta eventualmente all'atteggiamento remissivo dell'altro genitore (in questo senso, Cass. civ., S.U., 28 maggio 2014, n. 11915; da ultimo, Cass., 20 ottobre 2015, n. 21285, secondo cui il procedimento riguardante i provvedimenti adottati dal giudice con riferimento ai figli minori si instaura nel luogo di residenza abituale del minore, da identificarsi in quello in cui costui ha consolidato, consolida o potrà consolidare una rete di affetti e relazioni tali da assicurare un armonico sviluppo psicofisico, sicché, nei casi di recente trasferimento, occorre una prognosi sulla probabilità che la nuova dimora diventi l'effettivo, stabile e duraturo centro di affetti e di interessi del minore, nonché che il cambiamento della sede non rappresenti un mero espediente per sottrarlo alla vicinanza dell'altro genitore o alla disciplina generale sulla competenza territoriale).

L'eventuale conflitto genitoriale insorto sul luogo di residenza del minore deve, dunque, essere risolto - in via preventiva e non successiva - dall'autorità giudiziaria, atteso che, come evidenziato dal Trib. Torino, 8 ottobre 2014, il diritto di un genitore di spostare la propria residenza insieme al figlio, pur trattandosi di diritto di rilievo costituzionale, deve essere bilanciato con quello del minore, di pari rango costituzionale, ad una sana crescita e ad uno sviluppo armonico della personalità, nonché a mantenere, pur in caso di disgregazione della famiglia, equilibrati ed adeguati rapporti con entrambi i genitori.

La giurisprudenza, che in passato tendeva ad attribuire prevalenza alle esigenze del genitore collocatario, investito dei compiti più significativi di cura del minore, oggi ha elaborato una pluralità di criteri decisionali, in particolare:

1) le motivazioni del trasferimento del genitore collocatario, che si ritiene non debbano coincidere solamente con più remunerative chance lavorative ovvero con un cambio di ambiente sociale;

2) i tempi e le modalità di visita e di frequentazione tra il figlio ed il genitore non collocatario (che dovrebbero essere valutate sia per l'ipotesi di trasferimento del minore unitamente al genitore, sia per l'ipotesi in cui si trasferisca solo quest'ultimo);

3) l'eventuale disponibilità del genitore non collocatario al trasferimento;

4) la salvaguardia delle relazioni del minore con le altre figure importanti della sua vita di relazione, come parenti ed amici;

5) l'impatto del trasferimento e dei suoi effetti sulla psiche del minore, in considerazione del suo bisogno di stabilità ambientale, relazionale, emotiva e psicologica;

6) le caratteristiche dell'ambiente familiare in cui il genitore collocatario vuole trasferirsi rispetto a quelle ove si trova il minore in precedenza al suo trasferimento;

7) l'età dei figli (che, se avanzata, garantisce maggiormente la continuità del rapporto, nonostante la distanza);

8) il desiderio del minore di volersi trasferire (così Trib. Milano, sez. IX civ., ord. 12 agosto 2014).

Le fonti di tali parametri sono costituite da un articolo di Zafran Ruth (Children's Rights as Relational Rights: The Case of Relocation - May 11, 2010 - American University Journal of Gender, Social Policy & Law., Vol. 18, n. 2, 2010) e da alcuni Standard e Raccomandazioni internazionali in ipotesi di “relocation” (quali la Washington Declaration on International Relocation, ossia una “Dichiarazione” contenente 13 “Raccomandazioni”, adottate all'esito della conferenza tenutasi in quella città nel marzo 2010, dove sono confluiti più di 50 giudici e altri esperti provenienti da 14 paesi del mondo, compresi esperti della Hague Conference on Private International Law e dell'International Centre for Missing and Exploited Children, la Preliminary note on international family relocation ed infine la bozza di “Raccomandazioni sui diritti e lo stato giuridico dei minori e sulla responsabilità genitoriale” approvata nel maggio 2011 dalla Commissione di Esperti sul diritto di famiglia costituita dal Consiglio d'Europa), tutte ispirate al modello dei diritti relazionali, secondo cui «non si tratta di attribuire la prevalenza di un soggetto, ivi compreso il/la figlio/a minore, nei confronti dell'altro» ma di verificare «…se la relazione soddisfi i diritti inviolabili delle persone, modulandola inizialmente o, in caso di pregiudizi, modificandola convenientemente nell'interesse superiore del minore» (cfr. Carta di Civitanova Marche, 1 dicembre 2012).

Non va, tuttavia, sottovalutato che la decisione del giudice, nello spingersi addirittura a valutare le motivazioni del trasferimento prospettato dal genitore, rischia di ingerirsi in aspetti della vita privata, garantiti dalle interferenze della pubblica autorità, salvo il generale divieto di abuso del proprio diritto (a cui può ricondursi l'eventuale trasferimento finalizzato esclusivamente all'allontanamento del figlio dall'altro genitore). La Suprema Corte sembra escludere tale possibilità nella decisione n. 9633/2015, secondo cui il genitore che intenda trasferire la residenza lontano da quella dell'altro non perde l'affidamento dei figli, sicché il giudice non può sindacare la sua scelta sulla collazione della residenza, di cui deve prendere atto, dovendo esclusivamente valutare se sia più funzionale all'interesse della prole il collocamento presso l'uno o l'altro dei genitori, per quanto ciò ineluttabilmente incida in negativo sulla quotidianità dei rapporti con il genitore non affidatario. Ancora più recentemente tale indirizzo è stato confermato da Cass., sez. I, 14 settembre 2016, n. 18087, secondo cui il coniuge separato che intenda trasferire la residenza lontano da quella dell'altro coniuge non perde l'idoneità ad avere in affidamento i figli minori, sicché il giudice deve esclusivamente valutare se sia più funzionale all'interesse della prole il collocamento presso l'uno o l'altro dei genitori, per quanto ciò ineluttabilmente incida in negativo sulla quotidianità dei rapporti con il genitore non affidatario (il provvedimento, edito in Foro it., 2016, I, 18087, con nota di G. Casaburi, Responsabilità genitoriale e diritti e doveri del figlio, figlio minore, collocamento, mutamento della residenza di un genitore, ha confermato la decisione del giudice di appello di privilegiare la collocazione dei minori presso la madre in ragione dell'età prescolare degli stessi).

Del resto, il genitore non collocatario potrà, in ogni momento, cambiare la sua residenza, eventualmente incidendo sui suoi tempi di frequentazione col minore, anche senza un previo accordo con l'altro genitore o un'autorizzazione del tribunale, salvi gli obblighi di comunicazione di cui all'art. 337-sexies c.c., mentre il genitore collocatario non può, di fatto, farlo senza la collaborazione dell'altro. La decisione del giudice si presenta, quindi, particolarmente delicata, in quanto deve cercare di realizzare un equilibrio tra le contrapposte esigenze di tutti i soggetti coinvolti, cercando di non comprimerne o penalizzarne i diritti: a tal fine, potranno, senz'altro, rimodularsi i tempi di frequentazione e le condizioni economiche.

In argomento va, inoltre, segnalato il recente provvedimento del Tribunale di Milano, che, sebbene abbia escluso la possibilità d'inibire in via cautelare l'annunciato mutamento della residenza del minore, ha disposto la comunicazione del proprio provvedimento al Comune di destinazione al fine di bloccare eventuali pratiche amministrative collegate al trasferimento (Trib. Milano, sez. IX, 17 giugno 2014).

La scuola

Altra questione spesso oggetto di conflitto tra i genitori in crisi e sottoposta al giudice ex artt. 337-ter c.c. e art. 709-ter c.p.c. è la scelta della scuola a cui iscrivere il figlio (a tempo pieno o parziale, pubblica o privata, italiana o straniera, laica o religiosa).

In giurisprudenza è emerso un orientamento del Tribunale di Milano, secondo cui, in caso di contrasto tra i genitori ed in assenza di circostanze particolari (quali, ad esempio, difficoltà di apprendimento o d'inserimento del minore, necessità di conservare una determinata identità culturale familiare), va preferita la scuola pubblica, in quanto sicuramente idonea a fornire una formazione adeguata e neutra rispetto alla molteplicità di modelli socio-culturali (Trib. Milano, sez. IX,4 febbraio 2015, secondo cui in linea di principio, nell'ipotesi di conflitto tra i genitori in ordine all'iscrizione dei minori a scuola, devono preferirsi le istituzioni scolastiche pubbliche, in quanto, da un lato, sono sicuramente idonee allo sviluppo culturale di qualsiasi minore residente sul territorio, costituendo espressione primaria e diretta del sistema nazionale - art. 1, l. 10 marzo 2000, n. 62 - ed esplicazione principale del diritto costituzionale all'istruzione - art. 33 Cost. -, e, dall'altro lato, non rischiano di orientare il minore verso determinate scelte educative o culturali in generale). In virtù di tale criterio le scuole paritarie e private in generale possono incontrare il favore del giudice solo laddove emergano elementi precisi relativi ad un concreto ed effettivo interesse dei figli a frequentare una scuola diversa da quella pubblica (in particolare riconducibile ad insite difficoltà di apprendimento, a particolari fragilità d'inserimento nel contesto dei coetanei, all'esigenza di coltivare studi in sintonia con la dotazione culturale o l'estrazione nazionale dei genitori ecc.).

Quest'impostazione non appare, però, unanime, essendo di diverso avviso:

-Trib. Napoli, 27 febbraio 2007, che ha autorizzato la madre affidataria ad iscrivere la figlia ad una scuola media privata americana, già frequentata dalla minore, in contrasto con la volontà del padre che aveva optato per la scuola pubblica italiana;

-App. Catania, 24 giugno 2015, che ha confermato l'iscrizione del minore in una scuola privata cattolica, effettuata dalla madre ed osteggiata dal padre di religione mussulmana;

-Trib. Roma, 3 agosto 2015, che ha autorizzato la madre all'iscrizione del figlio in un liceo scientifico privato, nonostante l'opposizione del padre fondata su ragioni economiche (non pertinente rispetto alla problematica in esame è, invece, Trib. Napoli 25 settembre 2008, che ha autorizzato l'iscrizione nella scuola privata americana in luogo di altra scuola privata italiana in considerazione dell'interesse dei minori a conseguire una formazione internazionale, tenuto conto della nazionalità olandese del padre, superando le resistenze della madre fondate su difficoltà ambientali e logistico-organizzative, data la distanza dell'istituto straniero dal luogo di abitazione. In tale ipotesi, difatti, il contrasto è tra due scuole private e viene, peraltro, risolto in base a circostanze particolari che avevano, del resto, condotto gli stessi genitori ad accordarsi originariamente per l'iscrizione alla scuola americana).

L'approccio del Tribunale di Napoli sembra opposto a quello del Tribunale di Milano, atteso che, nella motivazione del provvedimento del 27 febbraio 2007 viene espressamente precisato che sia la scuola pubblica sia quella privata (nel caso di specie, straniera e lontana dall'abitazione) sono in grado di assicurare un percorso di formazione qualificato e che le differenze riscontrabili nelle loro offerte culturali non rappresentano un oggettivo disvalore a vantaggio dell'una o dell'altra, per cui si evince l'assoluta indifferenza dell'autorità giudiziaria rispetto ai due modelli selezionati dai genitori. La decisione è stata, pertanto, assunta «privilegiando la continuità didattica ed ambientale», avendo già iniziato la minore il suo percorso scolastico presso la scuola americana e valutandosi inopportuno un cambiamento traumatico nel momento del passaggio dalle elementari alle medie. Pur non essendosi consultato il minore, si è ritenuto che sicuramente la scelta è da lui condivisa, avendone verosimilmente tenuto conto il genitore convivente.

Neppure la Corte siciliana condivide la priorità culturale dell'istruzione pubblica, precisando che «l'insegnamento della religione cattolica non si può considerare un pregiudizio per il minore, posto che la libertà religiosa è uno dei diritti fondamentali dell'individuo…e perciò sia il padre che la madre sono liberi di fare partecipare il figlio ciascuno della propria cultura religiosa, e il minore ha diritto di conoscere, così come può apprendere (ed ha già appreso) dal padre i principi e gli insegnamenti del Corano, anche i principi della religione cattolica, in modo da potere operare, una volta adulto, una scelta consapevole». Nella scelta è stata, pertanto, attribuita prevalenza alle specifiche ragioni organizzative che hanno indotto la madre a preferire l'istituto religioso e all'esigenza di continuità del percorso formativo già iniziato, frequentando il minore la seconda elementare.

Parimenti il Tribunale di Roma opta per la scuola privata alla luce delle difficoltà di apprendimento del minore, della opportunità della continuità del percorso scolastico e della originaria condivisione di entrambi i genitori per il modello educativo offerto da quel tipo di istituto, ripartendo le spese tra entrambi i genitori, nonostante l'opposizione del padre fondata proprio su ragioni economiche.

Invero, il criterio generale della priorità dell'istruzione pubblica, elaborato dal Tribunale di Milano, non riesce risolutivo, tenuto conto delle molteplici circostanze particolari, che possono indurre a preferire, in relazione ad una specifica famiglia, la scuola privata (tra cui viene, spesso, indicata l'esigenza di continuità rispetto al percorso già iniziato). Deve, inoltre, rilevarsi che la tendenza di una parte della giurisprudenza di merito è quella di non sostituire un determinato approccio socio - culturale a quello dei genitori, ma d'individuare l'impostazione dei genitori più rispettosa delle esigenze del minore. In tale ottica, l'esigenza di certezza recede rispetto a quella di rispettare la sfera privata delle singole famiglie, anche di quelle in crisi, senza indebite ingerenze, che possono tradursi nell'imporre pesanti condizionamenti nella vita quotidiana.

Può, infine, osservarsi che l'intreccio della questione economica con quella di maggiore interesse, emersa in talune decisioni, scompare laddove uno dei genitori sia disposto ad accollarsi interamente la spesa della scuola privata, mentre, laddove l'esborso sia eccessivo rispetto alle concrete possibilità della famiglia, tenuto conto dell'impoverimento derivante dalla disgregazione, può assurgere a criterio determinante della scelta (Trib. Milano, sez. IX civ., sent. 18 marzo 2016, n. 3521, in materia di separazione giudiziale dei coniugi, se quando la famiglia era unita, i figli frequentavano scuole private di pregio e ottimo livello, allorché la famiglia è separata, questa possibilità può anche venir meno per l'impoverimento dei genitori, causato dal loro separarsi). Deve, però, trattarsi di un'effettiva impossibilità economica e non di una mera esigenza di risparmio, prospettata da uno dei due genitori, che resta, invece, superabile, come avvenuto nella fattispecie esaminata dal Tribunale di Roma.

La religione

Sicuramente la religione rientra nell'ambito dell'educazione, per cui sono in astratto riconducibili all'art. 337-ter c.c. le decisioni sui sacramenti da impartire al minore. Si può, però, dubitare della possibilità che l'autorità giudiziaria, nel decidere l'eventuale conflitto dei genitori sul punto, imponga un sacramento e, quindi, una confessione in luogo di un'altra, trattandosi di scelte che rientrano in una libertà costituzionalmente garantita di tipo personalissimo, il cui esercizio va rimesso allo stesso minore e, perciò, rinviato al momento in cui lo stesso abbia maturato la capacità di autodeterminarsi, che potrà essere valutata in sede di audizione (in dottrina in questo senso, con riferimento, però, agli atti di disposizione del corpo con fondamento religioso o tradizionale, come, ad esempio, la circoncisione cfr. G. Mastrangelo, Circoncisione, infibulazione ed altre manomissioni del corpo dei minori: sanzioni penali, scriminanti e strumenti internazionali alla luce della risoluzione O.n.u. 67/146 del 20 dicembre 2012, della risoluzione del parlamento europeo sull'abolizione delle mutilazioni genitali femminili 2012/2864 del 14 giugno 2012 e della risoluzione del Consiglio d'Europa sull'integrità fisica dei minori, doc. 13042 del 2 ottobre 2012, in Dir. fam. e pers., 2015, 226 ss., secondo cui deve ammettersi la capacità del minorenne ad autodeterminarsi in alcuni aspetti relativi alla cura di sé, con innegabili riflessi anche sui nostri temi). L'art. 336-bis c.c. sull'ascolto del minore, introdotto dal d.lgs. 28 dicembre 2013 n. 154, offre ulteriori argomenti in tal senso, così come tutte le disposizioni che riservano al minore di una determinata età, sia pure autorizzato dal Tribunale, il compimento di determinati atti in cui non è possibile, dunque, la sostituzione dei genitori esercenti la responsabilità, o gli attribuiscono uno specifico potere decisionale – si pensi al riconoscimento del proprio figlio di cui all'art. 250, comma 5, c.c., alla celebrazione del proprio matrimonio di cui all'art. 84, comma 2, c.c., all'opposizione al proprio riconoscimento da parte dell'asserito genitore naturale, di cui all'art. 250, comma 2, c.c..

Invece, la frequentazione di scuole religiosamente orientate o di corsi di formazione religiosa (come il corso di catechismo) non si traduce nella scelta di un credo, ma può essere a ciò propedeutica e viene, pertanto, qualificata come decisione di maggiore interesse, che i genitori devono condividere e la cui assunzione unilaterale, da parte di uno dei due, ha condotto all'irrogazione della sanzione dell'ammonimento in un caso esaminato dalla Corte d'appello di Milano, mentre è stata confermata dal Tribunale di Varese e dalla Corte d'appello di Catania (nella prima fattispecie, la mamma aveva fatto frequentare al figlio di 8 anni un corso di catechesi, di preparazione al battesimo, nonostante la convinta laicità del papà; nella seconda, la mamma aveva iscritto il figlio ad una scuola elementare cattolica, nonostante l'adesione del papà alla fede mussulmana). In definitiva, sembrano emergere due orientamenti opposti: quello di Milano, che attribuisce prevalenza, nel dissidio tra i genitori, ad un'educazione neutra e non condizionante, e quello di Varese e Catania, che valorizza, invece, l'arricchimento culturale insito nell'insegnamento religioso, anche se non condiviso da entrambi i genitori.

Di recente, il Tribunale di Roma, con decreto del 19 febbraio 2016, ha confermato che la frequentazione del catechismo da parte della minore costituisce «una scelta di maggiore rilevanza per la quale è necessario il consenso di entrambi i genitori, e che dunque deve ritenersi violativa del principio della bigenitorialità la scelta unilaterale attuata dal padre di iscrivere la minore al catechismo». Esattamente come la Corte d'appello di Milano, non ha, però, fatto discendere dalla violazione della bigenitorialità l'automatico divieto per la minore di frequentare il corso di catechesi, dovendo l'autorità giudiziaria valutare nel merito l'opzione maggiormente conforme al suo interesse. Nel caso di specie, la scelta del padre è stata confermata – senza adozione di alcuna sanzione, in quanto bilanciata da altre decisioni di maggiore importanza adottate unilateralmente dalla madre – tenendo conto del desiderio della minore, fondato sull'esigenza di condividere le esperienze dei propri coetanei, del pregresso accordo dei genitori, dimostrato dall'avvenuto battesimo, dall'opposizione non sufficientemente giustificata dell'altro genitore, fondata sul proprio agnosticismo e sull'opportunità di preferire un corso di catechesi vicino all'abitazione piuttosto che alla scuola.

In conclusione

In definitiva, la giurisprudenza oscilla tra la ricerca di regole obiettive, che rischiano, però, di tradursi nell'etero – imposizione di determinati modelli educativi e la valorizzazione della concreta situazione familiare che non offre, tuttavia, alcuna certezza e prevedibilità della decisione. Nell'ambito dei criteri oggettivi elaborati sembrano, inoltre, emergere contrapposti orientamenti che alimentano ulteriore incertezza: ad esempio, in ambito scolastico e religioso, sono enfatizzati, da un lato, l'esigenza di non condizionare il minore e, dall'altro, quella di favorire il suo arricchimento culturale. Invero queste diverse tendenze valoriali finiscono inevitabilmente con l'incidere sull'individuazione dell'interesse del minore, che dovrebbe essere il parametro oggettivo a cui il giudice deve ancorare la decisione. Nondimeno, l'interesse de quo è soprattutto quello alla serenità familiare, che presuppone quella dei genitori e, quindi, scelte che siano dagli stessi accettate o, comunque, tollerate di buon grado, per cui il vero obiettivo del legislatore dovrebbe essere d'individuare un modulo procedurale che conduca gli ex partners a superare da soli i loro conflitti, così costruendo il vero presupposto della tranquillità dei figli.

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