Gli obblighi degli avvocati nella negoziazione assistita in ambito familiare

Carla Loda
30 Agosto 2016

Il d.l. 132/2014, convertito con modificazioni nella l.n. 162/2014, ha introdotto l'istituto della negoziazione assistita (anche) per la separazione coniugale, il divorzio ovvero la modifica delle relative condizioni. L'Autrice, attraverso una puntuale ricognizione delle prime prassi applicative, descrive i compiti e i doveri, rilevanti e peculiari, posti in capo all'Avvocato dal nuovo istituto, segnalando gli eventuali errori che potrebbero essere commessi.
La negoziazione assistita da avvocati per le soluzioni consensuali di separazione, divorzio o modifica

Il d.l. n. 132/2014 (convertito con l. n. 162/2014) si inquadra nel più ampio contesto della diffusione delle procedure stragiudiziali volte a raggiungere un accordo per comporre una controversia. L'introduzione della disciplina in parola rappresenta senza dubbio un riconoscimento normativo del ruolo prezioso, se non indispensabile, che gli avvocati possono svolgere nell'ambito delle procedure alternative di risoluzione delle controversie separative soprattutto al fine di agevolare il raggiungimento di nuovi equilibri familiari.

La negoziazione assistita può, dunque, trovare applicazione quando due coniugi, assistiti ciascuno da un proprio avvocato, convengono di cooperare in buona fede e con lealtà per addivenire ad una soluzione consensuale della loro separazione personale, divorzio o modifica, senza necessità di rivolgersi ad un tribunale, con un accordo qualificabile come “decisione“ ex Reg. UE n. 2201/2003.

Secondo la previsione del comma 1 dell'art. 2 d.l. n. 132/2014 le parti devono essere assistite da avvocati iscritti all'albo anche ai sensi dell'art. 6 del d. lgs. 2 febbraio 2001 (avvocati stabiliti).

Con parere in data 18 novembre 2015 il CNF ha chiarito che l'avvocato stabilito potrà assistere uno dei coniugi in un procedimento di negoziazione assistita finalizzato alla separazione, ovvero allo scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio o relative modifiche, senza l'assistenza di un Collega iscritto all'Albo ordinario.

La procura e l'obbligo di informativa

L'iter procedimentale delineato dal legislatore inizia con l'informativa che l'avvocato deve fornire al proprio cliente circa la possibilità di ricorrere alla negoziazione assistita (informativa che, ai sensi dell'art. 2 comma 7 d. l. 132/2014 (convertito in l. n. 162/2014), rappresenta un dovere deontologico per l'avvocato al momento del conferimento dell'incarico).

Tale onere va ad aggiungersi alle informative di cui al d.lgs. n. 196/2003 (in tema di trattamento dei dati), al d.lgs. n. 231/2007 (normativa antiriciglaggio) ed al d.lgs. n. 28/2010 (mediazione civile e commerciale). A tal fine la procura alle liti che gli avvocati fanno sottoscrivere ai propri clienti viene sovente integrata da un ulteriore consenso informato che recita: «dichiaro di essere stato informato, ai sensi dell'art. 2 comma 7 del d.l. n. 132/2014 convertito con l.n. 162/2014, della possibilità di ricorrere al procedimento di negoziazione assistita da uno o più avvocati».

A differenza dell'informativa in tema di mediazione obbligatoria e facoltativa, per la negoziazione assistita non è prevista alcuna forma ad substantiam: l'omissione non sarà in grado di incidere sulla validità del contratto fra avvocato e cliente, ma potrà avere rilievo ai fini di un'eventuale sanzione disciplinare (cfr. art. 27 comma 3 del codice deontologico forense entrato in vigore il 15 dicembre 2014). Pare prudente dunque consigliare che un'esauriente informativa anche in merito alla procedura di negoziazione assistita sia fornita all'assistito nel momento in cui il Legale formula il primo parere -sia esso scritto che orale- relativo alla controversia di cui sta per assumere il mandato.

Obblighi di lealtà e riservatezza: disclosure e cooperazione

Ai sensi dell'art. 9 comma 2 d.l. 132 cit., durante il corso della negoziazione assistita le parti (e i loro legali) devono operare con lealtà e buona fede. A questo proposito va notato il richiamo a concetti utilizzati in campo negoziale (la buona fede nelle trattative) e in quello processuale (l'obbligo di lealtà) che sono previsti per sottolineare l'atteggiamento che le parti e i loro avvocati devono tenere nello svolgimento della negoziazione assistita.

Il richiamo alla buona fede nella conduzione della trattativa pone il problema di capire i confini di tale obbligo, in particolare rispetto alla configurabilità di un vero e proprio dovere di “disclosure” in capo alle parti (ad esempio, rispetto alle rispettive situazioni reddituali e patrimoniali). Il problema appare di notevole rilevanza e merita di essere approfondito in futuro.

Sin da ora possiamo ricordare che il concetto di buona fede compare in numerose norme sia nell'accezione soggettiva (come convinzione di agire in conformità al diritto ovvero ignorando di ledere l'altrui diritto), sia nella dimensione oggettiva (quale regola di condotta che impone ai soggetti contraenti un obbligo di reciproca lealtà in tutte le fasi del rapporto contrattuale).

La giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 960/1986; Cass. n. 1460/1973) è da anni orientata a riconoscere la buona fede come un vero e proprio “dovere giuridico”, riconoscendo che essa rappresenta uno dei cardini della disciplina legale delle obbligazioni, con la conseguenza che la sua violazione costituisce una possibile fonte di responsabilità.

Tra le figure sintomatiche che possono rientrare nell'ipotesi di cui all'art. 1337 c.c., la giurisprudenza ha individuato: la violazione degli obblighi di chiarezza, di custodia e segreto, di avviso e di informazione incombenti sulle parti, poiché sebbene le stesse abbiano «in ogni tempo, piena facoltà di verificare la propria convenienza alla stipulazione e di richiedere tutto quanto ritengano opportuno in relazione al contenuto delle reciproche future obbligazioni, con conseguente libertà, per ciascuna di esse, di recedere dalle trattative indipendentemente dall'esistenza di un giustificato motivo", incontrano il limite "del rispetto del principio di buona fede e correttezza, da intendersi, tra l'altro, come dovere di informazione della controparte circa la reale possibilità di conclusione del contratto senza omettere circostanze significative rispetto all'economia del contratto medesimo» (Cass. n. 5297/1998).

L'obbligo di lealtà, già previsto in via generale dal codice deontologico forense, indica un modo di agire nel rispetto delle regole rifiutando categoricamente l'utilizzo di mezzi non leciti. Per ciò che qui ci occupa possiamo affermare che la negoziazione assistita, sebbene caratterizzata dalla contrapposizione degli interessi delle parti, deve svolgersi in un'ottica di cooperazione reciproca: i legali devono favorire tale cooperazione e non devono adottare comportamenti dilatori, omissivi o addirittura illeciti al fine di arrivare ad ogni costo ad un accordo che soddisfi esclusivamente le posizioni del proprio cliente.

La cooperazione fra i legali è forse la prima e più evidente differenza fra la negoziazione assistita e la mediazione: nel procedimento di mediazione gli avvocati hanno il ruolo di difensori delle parti ed è previsto l'intervento di un terzo in posizione imparziale, nella negoziazione assistita alle parti e agli avvocati è affidato il ruolo attivo di perseguimento dell'accordo.

In relazione all'obbligo di riservatezza non possono essere taciute le perplessità che suscita la generica formulazione della norma che vieta, nell'eventuale successivo giudizio, l'utilizzo delle dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite nel corso della negoziazione assistita, senza alcuna precisazione circa la provenienza delle stesse, con conseguenza -del tutto irragionevole- di escludere tutte le allegazioni che possono contenere riferimenti a tali dichiarazioni o informazioni. Una lettura dell'art. 9 comma 2 che risulti conforme ai principi costituzionali porta a ritenere, invece, che il divieto previsto dalla disposizione citata vada inteso nei medesimi termini stabiliti per le parti del procedimento di mediazione: il comma 1 dell'art. 10 del d.lgs. n. 28/2010 prevede il divieto di utilizzabilità salvo il consenso della parte dichiarante o dalla quale provengono le dichiarazioni.

L'art. 9 d.l. 132/2014 prevede poi un limite di prova testimoniale sia in sede civile sia in sede penale: «i difensori delle parti e coloro che partecipano al procedimento non possono essere tenuti a deporre sul contenuto delle dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite". L'applicazione anche a “coloro che partecipano al procedimento» delle disposizioni dell'art. 200 c.p.p. e l'estensione delle garanzie di libertà previste per il difensore dall'art. 103 c.p.p., in quanto applicabili, pare dare ingresso, pur non essendo espressamente previsto dalla disciplina della negoziazione assistita, alla possibilità di nominare esperti di parte ovvero un consulente di nomina congiunta, sempre nell'ottica di addivenire ad una soluzione concordata della controversia.

La violazione degli obblighi di lealtà e riservatezza viene sanzionata, ai sensi del comma 4 bis dell'art. 9, quale illecito disciplinare dell'avvocato; tale precisazione - introdotta in sede di conversione del d.l. n. 132/2014 - appare rafforzativa dei doveri e divieti già sanzionati in via generale dal nuovo codice deontologico forense agli artt. 9 e 19 cod. deontologico, a proposito di lealtà e correttezza, e agli artt. 48, 50 e 51 a proposito di riservatezza, utilizzabilità probatoria ed astensione dal rendere testimonianza.

In tema di tutela della riservatezza potrebbe essere utile che sui documenti che devono essere scambiati e/o condivisi nel corso della negoziazione assistita sia apposto un timbro che li colleghi a tale procedimento (ad esempio: «documento coperto da obbligo di riservatezza ai sensi dell'art. 9 comma 2 d.l. 132/2014»).

La certificazione di conformità

Ai legali delle parti, l'art. 5 comma 3, affida un ulteriore delicato compito, quello di certificare la conformità dell'accordo alle norme imperative e all'ordine pubblico; tuttavia le conseguenze di tale certificazione (o della sua omissione) non sono esplicitate nella norma.

Considerato che l'accordo deve superare il vaglio del P.M., pare corretto ritenere che la responsabilità dei professionisti riguardi la redazione di un accordo che sia idoneo a superare tale controllo. Ove, quindi, l'accordo sia “bocciato” dal Procuratore della Repubblica, potrebbe sorgere una responsabilità professionale con conseguenze sul contratto d'opera e sul diritto al compenso.

A questo proposito è importante che i legali che si accingono a redigere un accordo di negoziazione assistita forniscano ogni utile indicazione affinché il P.M. sia posto in condizione di svolgere quell'attività di controllo che gli è attribuita dal 2 comma dell'art. 6. Ad esempio nel testo dell'accordo dovranno essere fornite indicazioni sia in merito alle modalità di esercizio della responsabilità genitoriale sia circa i redditi ed i patrimoni delle parti (in questo ultimo caso quantomeno allegando copia delle dichiarazioni dei redditi degli ultimi anni), ovvero chiarimenti riguardo altre particolari condizioni concordate fra i coniugi. La norma non richiede nulla al riguardo, ma si ritiene che rientri tra i compiti degli avvocati esplicitare le premesse logiche dell'accordo al fine di consentire un reale controllo del P.M. circa eventuali irregolarità e circa la rispondenza dell'accordo medesimo all'interesse dei figli; l'esplicitazione delle premesse che hanno condotto all'accordo serve altresì a garantire la stabilità degli effetti della negoziazione ed a circoscrivere l'ambito di eventuali richieste di modifica delle condizioni.

La trasmissione degli accordi

Particolarmente rilevanti sono infine gli obblighi che competono ai legali una volta raggiunto l'accordo in materia familiare: lo stesso, qualora vi siano figli minori della coppia (ovvero figli maggiorenni incapaci, portatori di handicap grave o non economicamente autosufficienti), deve essere trasmesso alla Procura della Repubblica presso il Tribunale competente entro dieci giorni dalla sua sottoscrizione (l'orientamento prevalente ha individuato il Tribunale competente sulla base della circostanza che almeno uno dei coniugi sia residente nel circondario dell'ufficio giudiziario, mentre pare preferibile ritenere competente, per i casi di separazione, il Tribunale del luogo ove è situata la casa coniugale). Anche in assenza di figli minori (ovvero figli maggiorenni incapaci, portatori di handicap grave o non economicamente autosufficienti) l'accordo deve essere trasmesso alla Procura della Repubblica, ma in questo caso il comma 2 dell'art. 6 del d.l. 132 cit. non prevede alcun termine per la trasmissione.

Una volta ottenuti l'autorizzazione ovvero il nullaosta da parte del Procuratore della Repubblica i legali dei coniugi (rectius: uno dei due legali) devono curare di trasmettere, entro il termine di dieci giorni, all'ufficiale dello stato civile del Comune in cui il matrimonio fu iscritto o trascritto una copia dell'accordo. L'inosservanza di quest'obbligo comporta l'applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria per l'avvocato variabile da € 2.000 a € 10.000.

Per completare l'iter della procedura è dunque necessario che almeno uno degli avvocati che hanno partecipato alla negoziazione provveda a trasmettere -entro dieci giorni dal momento in cui gli viene comunicato il nullaosta o l'autorizzazione del Procuratore della Repubblica- l'accordo, munito delle certificazioni di cui all'art. 5 (quelle cioè relative all'autografia delle sottoscrizioni delle parti e alla conformità dell'accordo alle norme imperative e all'ordine pubblico), all'ufficiale dello stato civile.

Il termine di dieci giorni entro il quale una copia dell'accordo - e quindi, non l'originale - deve essere trasmessa all'ufficiale dello stato civile decorre dalla data di comunicazione alle parti del provvedimento da parte della Procura in forza del principio generale di cui all'art. 136 c.p.c. per cui tutti i provvedimenti resi fuori udienza devono essere portati a conoscenza delle parti mediante comunicazione (cfr. Circ. Min. Interno n. 6/2015).

A questo proposito le prassi applicative che si stanno diffondendo su tutto il territorio nazionale prevedono che il deposito dell'accordo di negoziazione assistita presso la Procura della Repubblica venga accompagnato da un modulo -compilato dai legali- sul quale verranno apposti il timbro con la data di ricezione dell'atto ed il timbro con la data di ritiro dell'accordo.

La circolare del 24 aprile 2015 n. 6 del Ministero dell'Interno ha chiarito che è sufficiente che solo uno dei legali trasmetta l'accordo e che, viceversa, la sanzione amministrativa pecuniaria sarà applicata solo qualora nessuno degli avvocati dei due coniugi abbia provveduto alla trasmissione nei termini di legge.

Infine si deve tener conto dell'obbligo di tramissione di copia dell'accordo al Consiglio dell'Ordine circondariale del luogo dove l'accordo è stato raggiunto, ovvero al Consiglio dell'ordine presso cui è iscritto uno degli avvocati (art. 11, comma 1 d.l. n. 132/2014). Tale previsione è determinata dalla necessità di consentire al CNF di monitorare le procedure di negoziazione assistita e di trasmetterne annualmente i dati al Ministero della giustizia. Il CNF con la Circolare n. 11/2015 ha inviato ai Presidenti dei COA due questionari; un primo questionario deve accompagnare il deposito dell'accordo al Consiglio dell'Ordine, un secondo questionario - che dovrà essere trasmesso annualmente - è relativo all'attività complessivamente svolta dall'avvocato in materia di negoziazione assistita.

L'impugnazione

Ai sensi del 4 comma dell'art. 5 costituisce illecito deontologico per l'avvocato impugnare un accordo di negoziazione assistita alla cui redazione ha partecipato. Anche in questo caso si tratta di un divieto già disciplinato dal codice deontologico forense (art. 44). La norma si applica, evidentemente, alle ipotesi di impugnazione dell'accordo in senso proprio (ad esempio per fare valere un vizio del consenso o una simulazione), mentre non può rientrare nella nozione di “impugnazione” la richiesta di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio negoziate tra le parti in ipotesi di intervenuto mutamento della situazione sostanziale.

In conclusione

L'introduzione del nuovo istituto per la soluzione degiurisdizionalizzata del contenzioso matrimoniale valorizza l'autodeterminazione delle parti nel ricercare, con il supporto dei loro legali, una soluzione concordata del contenzioso di separazione o divorzio.

I primi commenti delle nuove norme hanno sollevato dubbi e difficoltà applicative in merito ai ruoli dei vari soggetti coinvolti, in particolare avvocati e P.M..

Pur non nascondendo le perplessità in merito ad alcune scelte fatte dal legislatore, è innegabile che la nuova normativa, introducendo per gli avvocati un inedito ruolo di garanti della legalità degli accordi negoziati tra i coniugi, valorizza il ruolo della classe forense negli interventi di accompagnamento dei coniugi verso soluzioni condivise e la funzione dell'avvocato chiamato a dare il proprio apporto di specifica professionalità che non è esclusivamente giuridica, ma svolta con la capacità di agevolare il raggiungimento di un equilibrio familiare adeguato alle esigenze di vita di tutti i soggetti coinvolti.

In questa ottica la negoziazione assistita è un'occasione da non perdere per gli avvocati, chiamati ad assumere un ruolo di estrema rilevanza nella complessiva evoluzione verso un approccio che privilegi la mediazione e la negoziazione e che releghi il conflitto giudiziale a quelle questioni che, per ragioni obiettive, non possono prescinderne.

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