La responsabilità dello Stato per il risarcimento del danno da violenza sessuale
01 Ottobre 2015
In caso di morte del convenuto separando in presenza di declaratoria di interruzione del processo, quale azione deve intraprendere l'altro coniuge per la richiesta del risarcimento già oggetto del petitum? Il caso: la moglie chiede la separazione giudiziale con addebito e richiesta di risarcimento danni. Nelle more del procedimento interviene sentenza penale di condanna nei confronti del marito per il reato di violenza sessuale con riconoscimento di provvisionale. In prima udienza di istruttoria civile il convenuto muore. Il Giudice dichiara l'interruzione del processo non riassumibile per difetto di legittimità nei confronti degli eredi essendo l'azione personale. Si è in presenza di figli minori e l'asse ereditario è del tutto passivo. Essendo la separazione un atto personale cosa succede in merito alle questioni patrimoniali in favore della moglie anche alla luce dell'onere dello Stato di subentrare nel pagamento del risarcimento dei danni nei casi di violenza sessuale, come previsto dalla recente convenzione di Istanbul? Quale azione deve intraprendere la moglie?
Occorre premettere che la richiesta di risarcimento del danno per violenza sessuale, così come in genere quella avente a oggetto il risarcimento del danno endofamiliare, non può formare oggetto di relativa domanda all'interno del giudizio di separazione o divorzio, in assenza di una connessione c.d. forte, richiesta dall'art. 40 c.p.c. per la trattazione congiunta col rito speciale di domande sottoposte a riti differenti. Peraltro, da quanto risulta dal quesito, l'autore del reato era già stato condannato dal giudice penale, cosicché la domanda reiterata nel giudizio di separazione appare ultronea.
Con riferimento specifico al secondo quesito (risarcimento a carico dello Stato), occorre premettere quanto segue: a) l'art. 30 della Convenzione di Istanbul (ratificata in Italia dalla l. n. 77/2013) demanda allo Stato firmatario l'onere di approntare tutte le misure di diritto interno dirette ad assicurare alla vittima del reato un “adeguato risarcimento”, cosicché la Presidenza del Consiglio dei ministri potrebbe opporre alla domanda formulata, con rito ordinario ex art. 163 ss. c.p.c., il valore meramente programmatico della norma richiamata e l'assenza di un obbligo specifico interno; con tutte le conseguenze in materia di incertezza della domanda. b) un problema – per certi aspetti analogo - si era posto con riferimento alla Direttiva CE/2004/80 che imponeva agli Stati membri di adottare un sistema comune di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti, tale da consentire che tali soggetti possano ottenere in ogni caso un indennizzo equo e adeguato per le lesioni subite. La direttiva non è mai stata recepita nel nostro ordinamento e l'Italia è stata condannata dalla Corte di Giustizia (sentenza 29 novembre 2007, resa nella causa n. 112/07). A seguito dell'accertamento della violazione, nonché in base al principio della giurisprudenza Francovich (la mancata o non corretta attuazione di una direttiva da parte di uno stato membro espone quest'ultimo al risarcimento del danno subito dall'individuo in conseguenza di tale inerzia; cause riunite C-6/90 e C-9/9) si è formato un orientamento giurisprudenziale (Trib. Roma 3 novembre 2013; App. Torino 23 gennaio 2012; Trib. Torino 3 maggio 2010) in forza del quale lo Stato italiano è stato condannato al pagamento di un indennizzo «inferiore al pieno risarcimento del danno patito e tale da compensare parzialmente il pregiudizio patito», secondo le forme della «responsabilità di natura indennitaria per attività non antigiuridica» (così espressamente App. Torino 23 gennaio 2012, Corriere Giuridico 5/2012, 667). A tale orientamento se ne è contrapposto un altro, che invece ha limitato la responsabilità dello Stato, per violazione della Direttiva sopra richiamata, solo ai casi transfrontalieri (ovverosia per i casi di cittadini stranieri che abbiano subito un danno da reato violento in Italia; cfr. Trib. Firenze, ord., 8 settembre 2014; Trib. Trieste 5 dicembre 2013, La Nuova giurisprudenza civile commentata, 2014, 551; Trib. Trieste, 2 luglio 2014).
Pur con tutte le limitazioni e incertezze sopra evidenziate, partendo dall'assunto dell'assoluta incapienza dell'asse ereditario (e sul presupposto, ancorché non esplicitato, che tutti gli eredi e non solo i minori, abbiano accettato l'eredità con beneficio d'inventario), l'unica strada percorribile è quella di citare la Presidenza del Consiglio dei Ministri, invocando la responsabilità ex artt. 29 e 30 della Convenzione di Istanbul, ratificata dalla l. n. 77/2013 e formulando, in via subordinata, domanda di indennizzo, ex artt. 2056 – 1226 c.c., sia per la mancata attuazione della Convenzione sia, e soprattutto per il mancato recepimento integrale della Direttiva CE 2004/80. |