Le domande di divisione giudiziale e di retratto successorio sono compatibili e autonome

13 Giugno 2017

Sono compatibili la previa domanda di scioglimento della comunione ereditaria e la successiva azione volta ad ottenere l'esercizio del retratto successorio ai sensi dell'art. 732 c.c.?
Massima

Deve escludersi che il passaggio in giudicato della sentenza che abbia disposto la divisione (il cui giudizio era tuttavia ancora pendente alla data di proposizione della domanda di retratto) risulti preclusivo rispetto alla disamina della domanda avanzata ex art. 732 c.c., posto che l'accoglimento di quest'ultima, determinerebbe non già la sopravvenuta perdita di efficacia della pronuncia sulla divisione, quanto piuttosto il verificarsi di un fenomeno, in ragione del subentro della retrattante nella posizione dei ricorrenti nella loro diversa qualità di condividenti, assimilabile quoad effectum, ad una sorta di confusione, in quanto i beni da dividere in realtà appartenevano, in conseguenza dell'accoglimento della domanda di retratto, ad un unico soggetto.

Il caso

A seguito di successione ab intestato con formazione di una comunione ereditaria, un coerede acquista la maggior parte delle quote ereditarie; un altro coerede conserva la sua quota, mentre il restante comproprietario cede la sua partecipazione a dei coniugi terzi acquirenti. Si crea, pertanto, una situazione di contitolarità fra coeredi e terzi acquirenti.

Il coerede divenuto titolare della quota maggioritaria propone avanti al Tribunale di Bolzano domanda per lo scioglimento della comunione. Convenuti in giudizio sono l'altro coerede e i coniugi acquirenti della quota ereditaria oggetto di cessione.

Il tribunale adito accoglie lo scioglimento della comunione, ritiene il bene non comodamente divisibile e lo assegna per intero ex art. 720 c.p.c. all'attore.

Impugnata la sentenza di primo grado, la Corte d'appello di Bolzano propende, al contrario, per la divisibilità del bene e ne assegna una quota in natura ad ognuno dei condividenti.

Nelle more della decisione dell'appello, il coerede che ha agito per ottenere la divisione propone un ulteriore giudizio davanti al Tribunale di Bolzano. In particolare, conviene in giudizio i coniugi terzi acquirenti della quota ereditaria, al fine di esercitare il retratto successorio relativamente all'atto di vendita con cui questi ultimi sono divenuti titolari della quota ereditaria. L'istante afferma, inoltre, che la vendita è relativamente simulata quanto al corrispettivo pattuito.

La Corte d'appello riforma la decisione del giudice di primo grado e riconosce il diritto all'esercizio del retratto successorio, ma avendo ravvisato la sussistenza del litisconsorzio necessario con i venditori, quanto alla simulazione del prezzo della compravendita, rimette la causa al Tribunale.

Gli acquirenti della quota ereditaria propongono ricorso per Cassazione.

La questione

La questione principale è se siano compatibili la previa domanda di scioglimento della comunione ereditaria e la successiva azione volta ad ottenere l'esercizio del retratto successorio ai sensi dell'art. 732 c.c..

Le soluzioni giuridiche

La Cassazione rigetta il ricorso proposto dai coniugi acquirenti della quota ereditaria, in quanto ritiene compatibili la domanda di divisione e quella di retratto.

In primo luogo, la Suprema Corte ritiene che la situazione di comunione che si è venuta a creare con gli acquirenti non osta alla proposizione della domanda relativa al retratto successorio ai sensi dell' art. 732 c.c. Tale principio deriva dal fatto che tale domanda non implica la negazione dell'esistenza di un diritto di comproprietà in capo agli acquirenti destinatari dell'azione di retratto. Inoltre, la proposizione della domanda di divisione non comporta rinuncia implicita al successivo esercizio del diritto di retratto. Infatti, entrambe le domande hanno effetti e presupposti diversi, tanto che mirano ad un risultato che soltanto in via empirica può ritenersi comune (ossia quello di conseguire la piena ed esclusiva proprietà sul bene), tuttavia ambedue presuppongono la validità ed efficacia dell'atto di alienazione della quota in favore dei coniugi ricorrenti. Quanto alla richiesta di scioglimento della comunione, è naturale che la stessa abbia quale presupposto un valido atto con cui si instaura la comunione. Ma tale presupposto ricorre anche in merito al retratto successorio. Infatti, la Cassazione, condividendo quanto affermato da Cass., 11 maggio 1993, n. 5374, sostiene che l'esercizio del retratto successorio comporta la sostituzione all'acquirente del coerede retrattante, dando vita ad un fenomeno di surrogazione soggettiva legale con efficacia ex tunc, sicché la produzione di tale effetto legale presuppone a monte la validità del contratto nel quale viene ad essere surrogato il coerede. Ragionando a contrario, in assenza di un atto di alienazione valido il retratto non sarebbe esercitabile. Infatti, la dottrina quasi unanime e la giurisprudenza meno recente (cfr. Cass. 11 aprile 1959 n. 1066) sostengono che l'esercizio del retratto non sia ammissibile laddove l'atto di alienazione compiuto dal coerede a favore del terzo acquirente sia dichiarato nullo. Invero, tale causa di invalidità è di per sé sufficiente per reintegrare ex tunc e con effetti reali il coerede venditore nella comunione ereditaria e, conseguentemente, a determinare il sopravvenuto difetto delle condizioni per l'esercizio dell'azione ex art. 732 c.c.

Sulla base di tali considerazioni, nessuna rilevanza ha la contestazione dei ricorrenti circa il fatto che il retratto non sarebbe esercitabile in virtù del comportamento dell'attore nel giudizio di divisione, dal quale si dovrebbe desumere una rinuncia ad avvalersi della previsione di cui all'art. 732 c.c.. In specie, secondo parte ricorrente, l'attore avrebbe prestato acquiescenza alla situazione di comunione accertata con il giudizio di primo grado, a causa della mancata impugnazione mediante appello della parte di sentenza che statuisce in tale senso.

Il passaggio in giudicato della sentenza di divisione non preclude, dunque, l'esercizio del retratto. Invero, l'accoglimento di quest'ultimo in sede giudiziale non provoca la sopravvenuta inefficacia della pronuncia di divisione, ma al contrario produce una sorta di confusione. Difatti, il retrattante vittorioso subentra nella posizione di condividente che spetta agli acquirenti della quota ereditaria entrati a far parte della comunione. Dunque, i beni da dividere divengono con effetto retroattivo di proprietà di un unico soggetto, in quanto il retrattante, già titolare di una quota dell'eredità, in forza del retratto recupera la quota alienata dal coerede a terzi e consegue la titolarità esclusiva del bene.

La Cassazione, sulla base dei precedenti giurisprudenziali Cass., 31 gennaio 2014, n. 2159 e Cass. 11 marzo 1975, n. 900, ritiene che il diritto di retratto attribuito al coerede è pienamente disponibile e può pertanto essere oggetto di rinuncia espressa o tacita. Trattandosi di mera dismissione abdicativa di un diritto, essa non necessita neppure della forma scritta, prevista dall'art. 1350 c.c.. Tuttavia, per integrare la rinuncia tacita, i fatti concludenti, oggetto di indagine riservata al giudice del merito, devono deporre in maniera inequivoca per la sussistenza di una volontà abdicativa.

Nel caso in questione, il primo e il secondo grado di giudizio hanno correttamente rilevato che non ricorre alcuna rinuncia tacita. In particolare, la Suprema Corte precisa che se la riserva all'esercizio del riscatto, formulata in sede di divisione, non equivale a rinuncia nell'ipotesi in cui sia sottoposta alla condizione che il bene venga ritenuto indivisibile (cfr. Cass., 25 maggio 1973, n. 1537), tantomeno la riserva al diritto di retratto, incondizionata nel caso di specie, può ritenersi una rinuncia.

La pronuncia in esame esclude, peraltro, che il comportamento del retrattante sia censurabile sotto il profilo dell'abuso del diritto. Secondo i ricorrenti, la scelta dell'attore di esercitare il retratto, solo dopo aver richiesto lo scioglimento della comunione, e precisamente nel corso del giudizio di appello riguardante tale ultima domanda, avviene in quanto inizia a prospettarsi la possibilità di una divisione in natura, frustrando in tal modo l'obiettivo del retrattante di ottenere l'intera proprietà del bene. Diversamente, per la Suprema Corte l'attore non ha dato vita ad un inammissibile frazionamento del processo. Ciò in quanto la domanda di scioglimento della comunione e quella volta a far valere lo ius prelationis sono del tutto autonome, poiché hanno presupposti ed effetti ben distinti.

Inoltre, l'attribuzione dell'intera proprietà al condividente, all'esito del giudizio di divisione, presuppone che il bene non sia comodamente divisibile ed impone a colui che sia interessato all'attribuzione dell'intero il versamento dell'eccedenza, calcolata secondo il valore del bene all'epoca della divisione. Analogo risultato (ma solo dal punto di vista effettuale) conseguibile con l'azione ex art. 732 c.c., oltre a prescindere dalla natura divisibile o meno del bene, presuppone la sostituzione del retrattante nell'originario contratto di vendita, con il conseguente obbligo di corrispondere, non già il controvalore della quota alienata, secondo la stima alla data della divisione, ma l'importo pari al prezzo concordato per la cessione della quota.

L'attore è titolare di uno ius prelationis e non esistono modalità alternative per l'esercizio dello stesso. Pertanto, non è dato ravvisare abuso del diritto nel solo fatto che, perseguendo un risultato in sè consentito, attraverso strumenti giuridici adeguati e legittimi, una parte non tuteli gli interessi dell'altra mediante l'esercizio di un'azione giudiziale. Per converso, l'abuso del diritto secondo la Cassazione si ravvisa quando: «il diritto soggettivo sia esercitato con modalità non necessarie ed irrispettose del dovere di correttezza e buona fede, causando uno sproporzionato ed ingiustificato sacrificio della controparte contrattuale, ed al fine di conseguire risultati diversi ed ulteriori rispetto a quelli per i quali quei poteri o facoltà furono attribuiti»(cfr. Cass., n. 20106/2009, Cass., n. 13208/2010, Cass. n. 22819/2010, Cass. n. 19879/2011; Cass. n. 8567/2012; Cass. n. 10567/2013).

Infine, la Cassazione ritiene che sia ammissibile il retratto nel caso in oggetto, poiché è stata alienata una quota ereditaria e non un singolo cespite, come sostenuto dai ricorrenti. Infatti, i beni oggetto della cessione agli acquirenti sono rappresentativi dell'intera quota, attesa la scarsa consistenza economica degli altri immobili caduti in successione. Peraltro, gli altri beni mobili (credito di lire 12.000, bestiame, attrezzi agricoli) sono da reputarsi inclusi nel trasferimento delle quote relative al maso ceduto, trattandosi di beni accessori a quest'ultimo ed avendo la cessione di quote riguardato tutti gli accessori.

Osservazioni

Il retratto successorio previsto dall'art. 732 c.c. è stato introdotto nel codice civile del 1942. In precedenza esso si ritrova nel code napoleon ove prevale l'esigenza di tutelare la famiglia rispetto agli estranei. Invece, nel vecchio codice del 1865 tale figura non è contemplata, poiché ritenuta di ostacolo alla libera circolazione dei beni. Il fondamento del retratto successorio, secondo l'orientamento giurisprudenziale prevalente, è quello di evitare che, contro la volontà espressa o tacita dei coeredi, venga introdotto nella comunione ereditaria un soggetto estraneo, presumibilmente animato da intenti speculativi, che pregiudicherebbero i rapporti fra i coeredi nella maggior parte dei casi legati da vincoli di parentela. La dottrina maggioritaria sostiene, inoltre, che l'istituto è volto a conservare la consistenza quantitativa dei patrimonio all'interno della famiglia. Si segnala altresì un orientamento dottrinale, il quale ritiene che, indipendentemente dal rapporto di parentela, la prelazione subordini l'interesse dei terzi che aspirano ad acquistare una quota nella comunione ereditaria all'interesse dei coeredi, siano essi familiari o meno.

Indiscutibilmente il retratto tutela l'interesse personale dei coeredi, consentendo agli stessi di incrementare la loro quota di partecipazione e favorendo così le operazioni divisionali. Infatti, nell'ipotesi in cui sia stato esercitato il retratto, ne consegue l'accrescimento in un solo soggetto della titolarità di più quote e la riduzione del numero dei partecipanti alla comunione. In tale senso, la riduzione dei partecipanti e degli interessi in gioco favorisce la deflazione del contradditorio e limita le difficoltà che nella pratica contraddistinguono le divisioni ereditarie

La domanda di retratto presuppone la sussistenza di una comunione ereditaria. Invero, l'istituto in esame impedisce l'intromissione di estranei nello stato di contitolarità determinato dall'apertura della successione mortis causa. Esso non si applica invece in caso di comunione ordinaria, nonostante il rinvio ex art. 1116 c.c. alle norme in tema di comunione ereditaria. Ciò in quanto in materia di comunione ordinaria vige il principio di libera disposizione della quota, ai sensi dell'art. 1103 c.c..

La pronuncia in esame è rilevante in quanto stabilisce la compatibilità tra due azioni, quella di divisione giudiziale e di retratto, che solo apparentemente conseguono un risultato in concreto uguale, ma che in ogni caso sono autonome e ben distinte. Dunque, il successivo esercizio del retratto non implica una rinuncia tacita alla previa domanda di scioglimento della comunione ereditaria.

La successiva domanda ex art. 732 c.c. proposta dal condividente non è neppure illecita per abuso del diritto e perciò volta a conseguire risultati ulteriori rispetto a quelli previsti dal legislatore, anche se il suo accoglimento può vanificare gli esiti del giudizio divisionale. Tale conclusione si fonda sul fatto che le distinte iniziative giudiziarie intraprese dall'attore hanno presupposti ed effetti diversi.

Infine, l'orientamento prevalente in giurisprudenza, avvalorato dalla sentenza in commento, ritiene che il diritto di retratto spetta ai coeredi in caso di alienazione onerosa della quota ereditaria e non dei singoli beni. Infatti, in caso di cessione di un bene determinato, il coerede non ha la titolarità esclusiva del diritto di proprietà sul medesimo. Pertanto, l'efficacia dell'alienazione è meramente obbligatoria, restando subordinata alla condizione dell'assegnazione in sede divisionale del bene. In tal caso, non può sorgere sino a tal momento il pregiudizio dell'intromissione di estranei nella comunione ereditaria. Tuttavia, il retratto è ammissibile quando dagli elementi concreti che caratterizzano la fattispecie traspare l'intento dei contraenti di sostituire nella posizione di coerede il terzo estraneo. In tal caso, la cessione di un bene rappresenta in sostanza una cessione della quota ereditaria, con conseguente applicabilità dell'art. 732 c.c..