I contratti tra conviventi di diversa nazionalità
07 Luglio 2016
La giurisdizione
L'art. 30 bis l. n. 218/1995 pone i criteri di collegamento tesi ad individuare la disciplina materiale applicabile ai contratti di convivenza conclusi tra conviventi di diversa cittadinanza. Esso presuppone quindi come già risolta la questione della giurisdizione, cioè della individuazione del giudice chiamato a conoscere del contratto di convivenza. In proposito deve allo stato escludersi l'applicabilità di una disciplina europea. Nella seduta del Consiglio dell'Unione europea del 4 dicembre 2015 non è stato infatti raggiunto il pur previsto accordo politico sul testo di regolamento relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento ed all'esecuzione delle decisioni in materia di effetti patrimoniali delle unioni registrate a causa, tra l'altro, del timore di alcuni Stati di essere obbligati (in conseguenza dell'emanazione di tale regolamento) ad introdurre nell'ordinamento interno l'istituto delle unioni registrate. Il 2 marzo 2016, la Commissione UE ha comunque adottato una proposta per l'adozione da parte del Consiglio di una decisione che autorizzi la cooperazione rafforzata nella materia della competenza, della legge applicabile, del riconoscimento e dell'esecuzione delle decisioni in materia di regime patrimoniale dei coniugi e delle unioni registrate. Da ultimo, il 30 maggio 2016, sono state elaborate la proposta di regolamento del Consiglio che attua la cooperazione rafforzata nel settore della competenza, della legge applicabile, del riconoscimento e dell'esecuzione delle decisioni in materia di regimi patrimoniali tra coniugi (8115/16) e la proposta di regolamento del Consiglio che attua la cooperazione rafforzata nel settore della competenza, della legge applicabile, del riconoscimento e dell'esecuzione delle decisioni in materia di effetti patrimoniali delle unioni registrate (8118/16) approvate dal Parlamento europeo lo scorso giugno. Alla materia in esame neppure dovrebbe ritenersi applicabile il regolamento (CE) n. 4/2009 del Consiglio del 18 dicembre 2008 relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari. Ciò considerando, tra l'altro, che, nel prevedere (art. 1) l'applicabilità delle proprie norme «alle obbligazioni alimentari derivanti da rapporti di famiglia, di parentela, di matrimonio o di affinità», il regolamento 4/2009 non contiene alcun riferimento (contemplato invece dalla proposta di regolamento della Commissione del 15 dicembre 2005) alle prestazioni alimentari derivanti da rapporti di coppia non coniugali; tanto in conseguenza del timore (ben risultante anche dall'art. 22 e dal considerando 25 del regolamento qui in esame) che il riconoscimento di prestazioni alimentari derivanti da simili rapporti di coppia possa determinare il riconoscimento di diversi ed ulteriori effetti di tali unioni anche in ordinamenti che tali unioni non conoscono. Allo stato le norme di riferimento per l'individuazione della giurisdizione in materia di accordi di convivenza devono quindi essere rinvenute negli artt. 3 e 4 l. n. 218/1995. Risolto, alla luce di quanto sopra detto, il problema della giurisdizione, l'interprete è chiamato ad individuare la legge applicabile ai contratti di convivenza. In proposito l'art. 30 bis, comma 1, l. n. 218/1995 pone due distinti criteri di collegamento a seconda che i contraenti abbiano cittadinanza uguale o diversa. Nel primo caso troverà applicazione la legge nazionale comune dei contraenti. Risulta quindi confermato il criterio di collegamento già accolto con riferimento ai rapporti personali tra coniugi dall'art. 29, comma 1, l. n. 218/1995 (cui rinviano tanto la prima parte dell'art. 30, comma 1 - in materia di rapporti patrimoniali tra coniugi - quanto l'art. 24, comma 1, l. n. 218/1995 - in materia di diritti della personalità derivanti da un rapporto di famiglia); criterio di collegamento che risulta funzionale alla realizzazione del principio cd. “dell'armonia internazionale delle soluzioni” il quale consente di risolvere i conflitti di legge in modo tale che, nell'ambito degli ordinamenti direttamente interessati, ogni caso di conflitto possa essere disciplinato nello stesso modo, indipendentemente dal giudice avente giurisdizione sullo stesso (S. TONOLO, 129). Nell'individuare la legge nazionale comune dei contraenti dovrà peraltro aversi riguardo al meccanismo –tipico del diritto internazionale privato- del c.d. “rinvio” (fenomeno mediante il quale cioè un ordinamento attribuisce valore giuridico a norme di un diverso ordinamento) quale risultante dall'art. 13, l. n. 218/1995. In altri termini, il rinvio fatto dalle norme di diritto internazionale privato ad un ordinamento straniero deve intendersi come riferito all'ordinamento straniero nel suo complesso (art. 15, l. n. 218/1995), comprese quindi anche le norme di diritto internazionale privato straniere. L'ordinamento straniero potrebbe infatti rifiutare il rinvio a sé e, attraverso le proprie norme di diritto internazionale privato, rinviare all'ordinamento italiano (cd. “rinvio indietro”) o ad altro ordinamento straniero (cd. “rinvio oltre”, destinato ad operare entro il limite di una sola volta). Il criterio di collegamento in caso di conviventi di diversa cittadinanza
In caso di conviventi di diversa cittadinanza l'art. 30 bis, comma 1 prevede l'applicazione della legge del luogo in cui la convivenza è prevalentemente localizzata. Il testo definitivamente approvato ha superato il riferimento, accolto in sede di lavori preparatori, al criterio di collegamento del “luogo di registrazione della convivenza”; superamento che si spiega con la volontà di precludere ai conviventi la possibilità di rivolgersi alle autorità dell'ordinamento contemplante regole maggiormente rispondenti alle proprie esigenze confidando poi nel riconoscimento dell'accordo nello Stato d'origine (cd. “registration shopping”). La scelta della legge Cirinnà conferma (parzialmente) la soluzione già accolta con riferimento ai rapporti tra coniugi di diversa cittadinanza dall'art. 29, comma 2, l. n. 218/1995 (cui rinvia anche l'art. 30 della stessa legge) e, sia pure in via subordinata, dall'art. 31, comma 1, l. n. 218/1995 in materia di separazione personale e scioglimento del matrimonio. Si tratta di una scelta che, prendendo le distanze dall'ormai abrogato art. 19 disp. att. c.c. (il quale rinviava al criterio –non mutabile- della legge nazionale del marito al momento del matrimonio), fa riferimento ad una nozione dinamica che dovrà essere apprezzata di volta in volta da parte del giudice. Nell'individuare il luogo di prevalente localizzazione della convivenza l'interprete dovrà verificare quale sia, in concreto, il centro principale degli affetti e degli interessi della coppia. Se nella maggior parte dei casi tale centro principale coinciderà con la residenza (alla quale, in sede di lavori preparatori della l. n. 218/1995, si era fatto riferimento come criterio presuntivo per l'accertamento della prevalente localizzazione), non può tuttavia escludersi una diversa localizzazione prevalente (si pensi, ad esempio, a conviventi che, per motivi di lavoro, abbiano diversa residenza) che dovrà essere apprezzata dal giudice alla luce delle peculiarità del caso concreto (si pensi, ad esempio, al luogo di residenza di eventuali minori). Deve inoltre osservarsi come, con riferimento all'ipotesi di coniugi di diversa cittadinanza (ma, stante l'identità del criterio di collegamento accolto, altrettanto è a dirsi con riferimento all'art. 30bis qui in esame), sia discussa in dottrina l'applicabilità dell'art. 13, l. n. 218/1995 nel caso in cui la legge applicabile sia determinata alla luce del luogo di prevalente localizzazione. Atteso che tale criterio è volto ad individuare direttamente la legge più strettamente connessa alla fattispecie attraverso il rinvio ad elementi provvisti di effettività, si è ritenuto che l'applicazione dell'art. 13, frustrerebbe la ricerca dell'effettiva, prevalente localizzazione, consentendo l'applicazione di una legge meno intensamente collegata alla fattispecie (così N. BOSCHIERO, Appunti sulla riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, Torino, 1996, 195; in senso contrario, I. VIARENGO, Autonomia della volontà e rapporti patrimoniali tra coniugi nel diritto internazionale privato, Padova, 1996, 251 ss.). Il secondo comma dell'art. 30 bis fa salve le norme nazionali, europee ed internazionali che regolano il caso della cittadinanza plurima. Il riferimento è, quanto all'ordinamento interno, alla l. n. 91/1992 e alla l. n. 876/1966 di ratifica della Convenzione di Strasburgo del 6 maggio 1963 sulla riduzione dei casi di nazionalità multipla e sugli obblighi militari in caso di pluralità di nazionalità, nonché all'art. 19, l. n. 218/1995 che, al secondo comma, prevede, per il caso in cui la persona abbia più cittadinanze, l'applicazione della legge «di quello tra gli Stati di appartenenza con il quale essa ha il collegamento più stretto. Se tra le cittadinanze vi è quella italiana, questa prevale». Resta inteso (alla luce del primo periodo dell'art. 30 bis, comma 1 e dell'art. 19, l. n. 218/1995) che ove i conviventi abbiano, tra le più cittadinanze, una comune, quest'ultima avrà rilievo per l'individuazione della legge applicabile ai contratti di convivenza. Le differenze tra la disciplina internazionalprivatistica in materia di contratti di convivenza e di rapporti patrimoniali tra coniugi
Si è detto che il criterio di collegamento adottato dalla legge Cirinnà per l'individuazione della legge applicabile ai contratti conclusi da conviventi conferma la soluzione accolta dall'art. 30, l. n. 218/1995. La conferma è, tuttavia, solo parziale, non contemplando l'art. 30 bis una disposizione analoga al secondo periodo dell'art. 30, comma 1, ai sensi del quale «[…] i coniugi possono tuttavia convenire per iscritto che i loro rapporti partrimoniali sono regolati dalla legge dello Stato di cui almeno uno di essi è cittadino o nel quale almeno uno di essi risiede». La facoltà attribuita ai coniugi di scegliere (pur se con il limite della connessione con la cittadinanza o la residenza di almeno uno di essi) la legge applicabile (solo) ai propri rapporti patrimoniali (l'art. 29 – relativo ai rapporti personali - non contiene un'analoga previsione) si giustifica non tanto alla luce del rispetto dell'autonomia negoziale dei coniugi, quanto in considerazione della tutela della volontà dei coniugi di determinare la legge applicabile ai propri rapporti patrimoniali alla luce di un criterio sicuro e stabile (e non invece di un criterio variabile automaticamente per effetto della mutata cittadinanza o per effetto di un mutato stato di fatto quanto alla prevalente localizzazione o, ancora, in conseguenza di un variabile apprezzamento del giudice in ordine alla prevalente localizzazione). La mancata previsione di un'analoga facoltà con riferimento alla individuazione della legge applicabile ai contratti di convivenza (fondata, con ogni probabilità, sugli stessi motivi che hanno comportato il segnalato superamento del criterio del registration shopping) desta qualche perplessità, attesa la possibilità di realizzare il medesimo scopo perseguito attraverso la clausola generale dell'ordine pubblico (art. 16, l. n. 218/1995) senza necessità di frustrare legittime aspirazioni alla certezza dei rapporti patrimoniali tra conviventi. Ulteriore distinzione tra contratti di convivenza e rapporti patrimoniali tra coniugi con riferimento ai profili internazionalprivatistici attiene all'opponibilità ai terzi del regime del rapporto patrimoniale. L'art. 30, comma 3, l. n. 218/95 dispone che «Il regime dei rapporti patrimoniali fra coniugi regolato da una legge straniera è opponibile ai terzi solo se questi ne abbiano avuto conoscenza o lo abbiano ignorato per loro colpa. Relativamente ai diritti reali su beni immobili, l'opponibilità è limitata ai casi in cui siano rispettate le forme di pubblicità prescritte dalla legge dello Stato in cui i beni si trovano». Nessuna previsione è, quanto alla opponibilità ai terzi dell'accordo di convivenza, contenuta invece nell'art. 30 bis, l. n. 218/1995. Senza dubbio la mancata previsione della possibilità di un accordo tra conviventi quanto alla legge applicabile costituisce un elemento che riduce, per il terzo che abbia rapporti giuridici con i conviventi, i rischi di incertezza sulla legge applicabile. I rischi rimangono tuttavia elevati ove si tenga presente la mutevolezza del criterio della prevalente localizzazione della convivenza; idonea ad assicurare elevata certezza al terzo era invece la soluzione accolta al primo paragrafo dell'art. 31 della proposta per un regolamento del Consiglio relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento ed all'esecuzione delle decisioni in materia di effetti patrimoniali delle unioni registrate del 16 marzo 2011 (COM (2011) 127 final), che faceva riferimento –quanto ai rapporti tra conviventi e terzi- alla legge dello Stato nel quale l'unione è stata registrata. Nel silenzio dell'art. 30 bis pare preferibile ritenere che anche il regime di opponibilità ai terzi del contratto di convivenza sia disciplinato secondo quanto previsto dall'art. 30, comma 3, l. n. 218/1995. Tale ultima disposizione, a ben vedere, richiama, quanto ai diritti reali su beni immobili, il principio generale accolto all'art. 55, l. n. 218/1995 e, quanto agli altri diritti, la legge applicabile ai rapporti patrimoniali tra coniugi (nel caso qui in esame, tra conviventi) facendo tuttavia salva la buona fede del terzo. Proprio l'inciso finale («è opponibile ai terzi solo se questi ne abbiano avuto conoscenza o lo abbiano ignorato per loro colpa») del primo periodo dell'art. 30, comma 3, l. n. 218/1995 (inciso ripreso anche al paragrafo 2 dell'art. 31 della citata proposta di regolamento del Consiglio) impone peraltro di valutare quale sia il regime probatorio da applicare con riferimento alla conoscenza o conoscibilità del regime patrimoniale da parte del terzo. In proposito, seguendo una soluzione accolta da autorevole dottrina (U. VILLANI, 462) con riferimento all'art. 30, comma 3, l. n. 218/1995, dovrebbe ritenersi che il convivente interessato ad opporre al terzo il regime dei rapporti patrimoniali sarà onerato della prova della conoscenza da parte del terzo del contratto di convivenza o della colpevole ignoranza dello stesso. Il problema della qualificazione
L'individuazione, alla luce di quanto sino ad ora detto, della legge applicabile agli accordi di convivenza non comporta necessariamente il venir meno di tutti i problemi che l'interprete è chiamato a risolvere nella ricerca della disciplina del contratto di convivenza connotato da elementi di internazionalità. La presenza di soluzioni differenti e non riconducibili ad unità offerte dai singoli ordinamenti (si pensi, a mero titolo esemplificativo, agli ordinamenti che conoscono il contratto di convivenza, a quelli che disciplinano il partenariato registrato o, ancora, a quelli che non prevedono alcuna espressa disciplina del fenomeno in esame) impone infatti di attribuire rilievo fondamentale al problema (oggetto di disparati approcci metodologici) della qualificazione delle unioni civili; si tratta, in altri termini, di interpretare le espressioni relative alle categorie di situazioni oggetto della norma di conflitto, allo scopo di determinare la legge applicabile al caso concreto (S. TONOLO, 21). Premesso che, allo stato, non risulta elaborata una nozione autonoma degli istituti patrimoniali relativi alle convivenze (per il tentativo di elaborazione di una nozione autonoma della convivenza con riferimento ai profili personali si veda S. TONOLO, 124), l'interprete dovrà valutare se i profili del contratto di convivenza che vengono in concreto in rilievo siano riconducibili alla disciplina posta per analoghi accordi nell'ordinamento richiamato. Se non vi sono particolari problemi con riferimento all'ipotesi in cui sia accertata tale riconducibilità, assai più complesso risulta il caso opposto (si pensi anche all'ipotesi in cui –per effetto ad esempio della comune cittadinanza dei conviventi- debba applicarsi la legge di uno Stato che non riconosce effetti alla convivenza –magari omosessuale). In tale caso la soluzione preferibile appare probabilmente quella fondata sulla previa verifica del profilo del contratto di convivenza che viene concretamente in rilievo e della successiva applicazione della disciplina contrattuale (ferma la difficoltà di equiparare tout court il contratto di convivenza ad un qualunque contratto avuto riguardo alla differenza tra la volontà di regolare un rapporto meramente economico e la volontà di instaurare una relazione di vita comune) o eventualmente familiare vigente nell'ordinamento la cui legge deve applicarsi.
In conclusione
Se la sempre più spiccata connotazione internazionale delle formazioni sociali ove si svolge la personalità dell'uomo consente di prevedere una diffusa applicazione dell'art. 30 bis recentemente introdotto nel corpo della l. n. 218/1995, la non del tutto felice formulazione di tale norma lascia presagire un ruolo centrale dell'interprete nell'applicazione della disposizione qui esaminata. Senza dubbio sarà possibile richiamare, in sede ermeneutica, soluzioni già elaborate con riferimento a disposizioni di diritto internazionale privato relative ai rapporti patrimoniali tra coniugi, così come sarà sovente imprescindibile la valorizzazione delle circostanze del caso concreto (si pensi, ad esempio, al luogo di prevalente localizzazione della convivenza in caso di conviventi di diversa cittadinanza); è tuttavia indubbio anche che, per taluni profili, sarà inevitabile il ricorso a soluzioni nuove. Soluzioni che, si auspica, saranno in grado ora di preservare l'autonomia negoziale dei conviventi (senza discriminare questi ultimi rispetto ai coniugi), ora di salvaguardare la posizione dei terzi che entrino in rapporto con i conviventi, ora, ancora, di affrontare il complesso tema della qualificazione ricorrendo, ove necessario, anche alla nomina di esperti ai sensi dell'art. 14, comma 1, l. n. 218/1995. La strada da percorrere non è agevole, ma la buona applicazione che, nel complesso, la giurisprudenza nazionale ha sino ad ora fatto delle norme di diritto internazionale privato consente di essere ottimisti. -Barel B. , art. 19, in AA. VV., Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, in Nuove leggi civ. comm., 1996, 1075 ss -Conetti G. , artt. 29, 30,in AA. VV., Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, in Nuove leggi civ. comm., 1996, 1172 ss.; -Munari F., art. 13, in AA. VV., Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, in Nuove leggi civ. comm., 1996, 1018 ss.; -Tonolo S. , Le unioni civili nel diritto internazionale privato, Milano, 2007;VILLANI, I rapporti patrimoniali tra i coniugi nel nuovo diritto internazionale privato, in Giust. civ., II, 445 ss. |