Il mantenimento degli effetti del matrimonio in caso di rettifica del sesso di un coniuge
08 Settembre 2015
Massima
La declaratoria di incostituzionalità ex art. 2 Cost. contenuta nella sentenza C. cost. n.170/2014 della Corte Costituzionale – sentenza additiva di principio, autoapplicativa e non meramente dichiarativa – con riferimento agli artt. 2 e 4 l. n. 164/1982, nella parte in cui non prevedono che la sentenza di rettificazione dell'attribuzione di sesso, consenta, comunque, ove entrambi i coniugi ne facciano richiesta, di mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata, non può che comportare la rimozione degli effetti della caducazione automatica del vincolo matrimoniale, con conseguente necessario riconoscimento temporaneo, in capo alla coppia, dei diritti e doveri di cui al vincolo legittimamente contratto, fino a quando il legislatore non intervenga. Il caso
Tizio, unito in matrimonio con Caia, ricorre dinanzi al Tribunale di Bologna chiedendo la rettificazione e l'attribuzione di sesso femminile: disposta la rettificazione con modifica del prenome da Tizio a Tizia, il Giudice bolognese ordina all'ufficiale di stato civile di provvedere alla modifica dell'atto di nascita e all'annotazione a margine dell'atto di matrimonio, ove viene specificata anche la cessazione degli effetti civili. Tizia e Caia ricorrono al Tribunale di Modena per la cancellazione dell'annotazione circa la cessazione degli effetti civili del matrimonio; il Tribunale accoglie il ricorso ma, su reclamo del Ministero dell'Interno, la Corte d'Appello rigetta la domanda. Le ricorrenti si rivolgono dunque alla Corte di Cassazione, la quale, con ordinanza 6 giugno 2013 n. 14329 a sua volta rimette alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 4 l. n. 164/1982 e dell'art. 31 d.lgs n. 150/2011: i Giudici della Suprema Corte, infatti, ravvisavano manifestamente non infondata la questione di legittimità costituzionale fra le disposizioni coinvolte e gli artt. 2, 3, 10, 24, 29 e 117 Cost. – richiamando altresì gli artt. 8 e 12 CEDU. La Corte Costituzionale accoglie la censura di incostituzionalità limitatamente all'art. 2 Cost., rilevando come non possa essere così radicalmente sacrificato l'interesse della coppia a conservare la propria unione che costituisce, anche dopo il cambiamento di sesso, una relazione senz'altro qualificabile come formazione sociale protetta dall'art. 2 Cost. Alla dichiarazione d'illegittimità costituzionale ha fatto seguito la restituzione degli atti alla Corte di Cassazione. Tizia e Caia, con atto di riassunzione e successiva memoria, hanno dichiarato di avere interesse alla cancellazione dell'annotazione sul registro degli atti di matrimonio, evidenziando la necessità di evitare alcuna soluzione di continuità tra il vincolo matrimoniale e l'unione registrata, nella quale dovrà trasformarsi quando sarà in vigore la disciplina normativa conseguente.
In motivazione « l'illegittimità costituzionale non ha colpito la norma mancante del riconoscimento di uno statuto costituzionalmente adeguato alle unioni tra persone dello stesso sesso che consenta senza soluzione di continuità il passaggio anche per i ricorrenti da un regime di massima protezione ad uno che conservi il riconoscimento di uno statuto di diritti e doveri conseguenti alla stabilità della scelta affettiva effettuata ed alla creazione di un nucleo familiare in senso stretto. Se l'intento della Corte fosse stato limitato a questo profilo sarebbe stata sufficiente una sentenza monito, conforme alla pronuncia C. cost. n. 138/2010, con un dispositivo di rigetto. Al contrario la Corte ha ritenuto che il meccanismo di caducazione automatica del vincolo matrimoniale nel sistema di vuoto normativo attuale fosse produttivo di effetti costituzionalmente incompatibili con la protezione che l'unione conseguente alla rettificazione di sesso di uno dei componenti deve, per obbligo costituzionale, conservare ex art. 2 Cost.. Deve, pertanto, ritenersi che, nei limiti sopra delineati, la pronuncia sia autoapplicativa e non meramente dichiarativa. Ne consegue che, fermo l'assunto secondo il quale con le pronunce additive di principio la Corte non immette direttamente nell'ordinamento (come per le sentenze manipolative in senso stretto) una concreta regola positiva, non intendendo invadere la competenza legislativa del Parlamento, non è seriamente contestabile che il principio della necessità immediata e senza soluzione di continuità di uno statuto sostanzialmente equiparabile, sul piano dei diritti e doveri di assistenza economico patrimoniale e morale reciproci, a quello derivante dal vincolo matrimoniale per le coppie già coniugate che si vengano a trovare nella peculiare condizione delle ricorrenti abbia natura imperativa e debba essere applicato con l'efficacia stabilita dall'art. 136 Cost.. In attesa dell'intervento del legislatore, cui la Corte ha tracciato la via da percorrere, il giudice a quo è tenuto ad individuare sul piano ermeneutico la regola per il caso concreto che inveri il principio imperativo stabilito con la sentenza di accoglimento». La questione
Data la declaratoria di incostituzionalità degli artt. 2 e 4 l. n. 164/1982 applicabili ratione temporis, con conseguente inapplicabilità della regola di caducazione automatica del vincolo matrimoniale per il mero effetto del mutamento del sesso di uno dei coniugi, quale disciplina si applica all'unione, visto il matrimonio precedentemente contratto dagli stessi, nel caso in cui entrambi manifestino la volontà di mantenere in vita detto vincolo? Le soluzioni giuridiche
Da tempo sia la Corte Costituzionale, sia la Corte di Cassazione, sostengono che i concetti di famiglia e matrimonio debbano essere interpretati secondo «non soltanto le trasformazioni dell'ordinamento, ma anche l'evoluzione della società e dei costumi». Con altrettanta fermezza, i Giudici delle leggi e di legittimità ribadiscono che il modello di matrimonio sia quello eterosessuale, cristallizzato nell'art. 29 Cost. e fondato sui principi mutuati a suo tempo dal codice civile del 1942. La stessa Corte Costituzionale, sull'argomento, rimanda a quanto già espresso in precedenza nella sentenza n. 138/2010. L'interpretazione dei concetti di famiglia e matrimonio, dunque, non può spingersi fino al punto di incidere sul sostrato concettuale dell'art. 29 Cost., modificando fino a scardinare il “postulato implicito” della norma Costituzionale mediante una mera interpretazione ermeneutica. La costante giurisprudenza della Corte di Cassazione ha consolidato nel tempo il principio per cui il matrimonio è valido ed efficace – in assenza di altri impedimenti “dirimenti” – a condizione che la manifestazione del consenso al vincolo venga prestata da persone di sesso diverso in presenza di un ufficiale di stato civile: tali presupposti sono stati considerati come “essenziali”, cioè come condizione di esistenza del matrimonio stesso. Quindi, non era possibile la reductio ad legitimatem della normativa (artt. 2 e 4 della l. n. 164/1982) con una sentenza manipolativa, che desse la possibilità del divorzio “su domanda” di una delle parti, poiché ciò avrebbe significato il mantenimento in vita di un matrimonio fra persone dello stesso sesso, il tutto in contrasto con l'art. 29 Cost. Ma, allo stesso tempo, la sentenza della Corte Costituzionale dava atto che il divorzio c.d. imposto, a sua volta, comportava uno sbilanciamento tra l'interesse dello Stato a mantenere fermo il modello eterosessuale del matrimonio ed i contrapposti diritti maturati dai due coniugi nel contesto della precedente vita di coppia. La Corte Costituzionale aveva rimesso gli atti alla Corte di Cassazione dichiarando l'incostituzionalità delle «Norme in materia di rettificazione di attribuzione del sesso» con riferimento all'art. 2 Cost., nella parte in cui non prevedono che la sentenza di rettificazione dell'attribuzione di sesso di uno dei coniugi, che provoca lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio, consenta, comunque, ove entrambi lo richiedano, di mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata, che tuteli adeguatamente i diritti e gli obblighi della coppia medesima, con le modalità da statuirsi dal legislatore. Preso atto della dichiarazione di incostituzionalità degli artt. 2 e 4 l. n. 164/1982 applicabili ratione temporis, la Corte di Cassazione aveva due possibilità: o rigettare il ricorso con conseguente scioglimento del vincolo matrimoniale a seguito di rettifica, mancando una disciplina specifica applicabile al matrimonio fra persone dello stesso sesso, oppure, preso atto dell'incostituzionalità dell'attuale disciplina in tema di rettifica dello stato civile ed in mancanza di istituti all'interno dei quali sussumere la fattispecie, accogliere il ricorso. Il passaggio ermeneutico del Giudice di legittimità è il seguente: la sentenza della Corte Costituzionale è una sentenza “additiva di principio” – e non “meramente dichiarativa” – in quanto, differentemente, vi sarebbe stata una “sentenza monito” conformemente alla pronuncia n. 138/2010, con conseguente provvedimento di rigetto. Al contrario la Corte ha ritenuto che il meccanismo di caducazione automatica del vincolo – cioè il divorzio c.d. imposto – produca degli effetti costituzionalmente incompatibili con la protezione che il tipo di unione determinatasi a seguito di rettificazione del sesso deve per obbligo costituzionale conservare ex art. 2 Cost.. Pertanto, ritiene la Suprema Corte motivando l'accoglimento del ricorso, si impone un adeguamento secondo quanto disposto dall'art. 136 comma 1 Cost.: la rimozione della caducazione automatica del vincolo, con conseguente riconoscimento in capo alla coppia dei medesimi diritti e doveri di cui al precedente vincolo matrimoniale legittimamente contratto, sino a quando il legislatore non consentirà alla coppia medesima di mantenere in vita l'unione mediante diversa ma sostanzialmente equiparabile forma di convivenza registrata in grado di tutelarne adeguatamente diritti ed obblighi. Osservazioni
A seguito della sentenza n. 170/2014 della Corte Costituzionale, come individuato dalla Corte di Cassazione, il giudice è tenuto ad individuare sul piano ermeneutico la regola per il caso concreto, nel rispetto del principio statuito dalla pronuncia della Consulta, ovverosia quello di evitare per la coppia già coniugata il passaggio da una condizione di massima protezione giuridica ad una condizione di massima indeterminatezza. Nel procedimento di rettificazione di sesso disciplinato dalla l. 14 aprile 1982, n. 164 (rectius art. 31 comma 3 d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150) l'attore potrà dunque chiedere nell'atto introduttivo, unitamente alla rettificazione del sesso e del nome proprio, la permanenza in capo alla coppia, già coniugata, dei medesimi diritti e doveri conseguenti al vincolo matrimoniale legittimamente contratto, ordinando all'ufficiale dello stato civile del Comune o dei Comuni interessati di provvedere alle relative annotazioni, con esclusione dei registri degli atti di matrimonio. Il coniuge, destinatario della notifica ex art. 2 comma 2 l. n.164/1982 (art. 31 comma 3 d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150), depositerà apposito atto di costituzione con il quale aderirà alla domanda dell'attore con riferimento alla volontà comune di mantenere in vita il regime di diritti e doveri di cui al matrimonio precedentemente contratto, con conseguente esclusione di ogni annotazioni nei registri degli atti di matrimonio. Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulla rettifica dell'attribuzione di sesso, in caso di apposita richiesta di entrambi i coniugi, statuirà tenuto conto di tale richiesta, sì da non creare quella condizione di massima incertezza tale per cui il nucleo affettivo e familiare di cui allo statuto matrimoniale goduto e legittimamente contratto, si trovi invece privo di ogni tutela. Come rilevato dalla Suprema Corte, la conservazione dello statuto di diritti e doveri è comunque sottoposta alla condizione risolutiva dell'adozione da parte del legislatore di una normativa a tutela delle unioni omoaffettive, che adotti una regolamentazione sostanzialmente equiparabile a quello derivante dal vincolo matrimoniale. |