L'una tantum divorzile e i criteri per calcolarla
08 Marzo 2016
Accanto alla modalità “classica” di pagamento dell'assegno divorzile, l'art. 5 l. n. 898/1970 ne prevede una, assai più agevole e pratica, consistente nella liquidazione in un'unica soluzione di tutte le spettanze dell'un coniuge nei confronti dell'altro. Si tratta della c.d. una tantum (L. Cosmai, Assegno divorzile e una tantum, ilFamiliarista.it). L'istituto viene visto con favore sia dagli avvocati sia dai Giudici che, sempre con maggiore frequenza, suggeriscono ai coniugi di percorrere questa strada, l'unica che permette la definitiva rescissione di ogni legame sussistente tra due persone che hanno deciso di sciogliere il loro vincolo matrimoniale. Dal punto di vista pratico, la corresponsione dell'una tantum è vantaggiosa sia per l'obbligato sia per colui che la percepisce. In particolare: a) l'avente diritto all'assegno elimina tutti i rischi connessi all'esecuzione del provvedimento di fissazione dell'assegno mensile; e questo è ancor più un vantaggio se l'onerato è difficilmente aggredibile a livello esecutivo; inoltre si eliminano i rischi derivanti dall' insorgenza di fatti nuovi che potrebbero giustificare una richiesta di modifica; b) l'onerato dell'assegno configura definitivamente l'assetto economico della precedente unione, senza che vi possano essere strascichi negativi sui figli e/o sul coniuge di seconde nozze; essa non espone l'obbligato ai rischi connessi al miglioramento delle proprie condizioni economiche che siano proiezione dell'attività svolta in costanza di matrimonio; elimina ogni problema ereditario (non potendo l'ex coniuge vantare pretese nei confronti dell'eredità). L'una tantum, in buona sostanza chiude definitivamente il capitolo dei rapporti tra gli ex coniugi che dovranno eventualmente rapportarsi tra di loro solo in presenza di prole. A differenza dell'assegno periodico, la liquidazione in unica soluzione delle spettanze divorzili non è sottoposta a tassazione per chi la riceve (Cass. civ., sez. I, 12 ottobre 1999, n. 11437) e non costituisce onere deducibile per chi la versa (C. cost., 29 marzo 2007, n. 113; Cass. civ., sez. IV, 22 novembre 2002, n. 16462). Il diritto alla percezione dell'una tantum si prescrive in 10 anni dal deposito della sentenza non essendo applicabile l'art. 2944 n. 4 c.c.), previsto per i pagamenti periodici, bensì quello ex art. 2953 c.c.. Presupposti
La corresponsione in unica soluzione dell'assegno divorzile necessita di due indefettibili presupposti: l'accordo delle parti e la dichiarazione di equità da parte del Tribunale. Sotto il primo profilo (volontà delle parti) è dunque da escludersi (a differenza di quanto accade in altri ordinamenti europei) la formulazione di una domanda di condanna all'una tantum formulata da una parte nei confronti dell'altra. La “liquidazione divorzile” può dunque essere solo il frutto di un accordo dei coniugi, da raggiungersi ab origine (ricorso congiunto), nel corso del processo (con la trasformazione del rito da contenzioso a congiunto) o anche successivamente al passaggio in giudicato della sentenza che ha fissato l'assegno divorzile (giudizio di modifica ex art. 9 l. n. 898/1970). Sotto il secondo profilo (giudizio di equità), il legislatore, da un lato, ha rimarcato il carattere non “disponibile” dell'assegno di divorzio e, dall'altro, non ha fornito particolari indicazioni in merito ai parametri che il Tribunale dovrà utilizzare; nel silenzio della norma è ipotizzabile che la valutazione del Giudice si basi sui seguenti parametri: a) sussistenza dei requisiti per la concessione dell'assegno di divorzio; b) disparità economica delle parti; c) statuizioni economiche assunte nel precedente giudizio di separazione; d) età delle parti. Considerata la necessità del giudizio di equità da parte del Tribunale, l'una tantum non potrà essere prevista qualora i coniugi divorzino per il tramite di una convenzione frutto di negoziazione assistita; l'art. 6 l. n. 162/2014 non prevede, infatti, che il giudizio del Tribunale sia sostituito da quello del Pubblico Ministero (che, con il rilascio dell'autorizzazione vaglia la conformità delle condizioni all'interesse dei minori, mentre con il nulla osta verifica che le condizioni volute non siano contrarie alla legge) né, tantomeno, che l'equità della corresponsione in un'unica soluzione sia valutata dai difensori (uno per parte) dei coniugi. Ciò non significa che i coniugi non possano pattuire che uno di essi sia tenuto a versare all'altro una somma di denaro in luogo dei pagamenti mensili dell'assegno; tale eventuale corresponsione, per difetto di pronuncia di equità, non potrà però mai avere l'effetto “tombale” attribuito invece all'una tantum. Diverso invece il caso dell'accordo di divorzio stipulato dai coniugi (da soli o con l'ausilio anche di un solo difensore) davanti all'Ufficiale di Stato civile, ai sensi dell'art. 12 l. n. 162/2014; la norma prevede infatti che l'accordo non possa contenere patti “di trasferimento patrimoniale” ed è stata interpretata (Circ. n. 6/2015 Ministero dell'Interno) nel senso di ammissibilità del solo assegno periodico di divorzio ex art. 5 l. n. 898/1970. L'una tantum non necessariamente deve avere ad oggetto una somma di denaro, ma può avere ad oggetto il trasferimento di immobili, beni mobili iscritti in pubblici registri o altri beni. In particolare i trasferimenti immobiliari sono particolarmente vantaggiosi, giacchè, non sono sottoposti alle imposizioni tributarie connesse alle compravendite di beni immobili, in forza dell'art. 19, l. n. 74/1987, esteso poi, in forza della sent. C. cost. 10 maggio 1999, n. 154 anche agli atti che siano diretta conseguenza degli accordi assunti in sede di separazione personale (cfr. da ultimo Circ. Agenzia delle Entrate, 21 febbraio 2014, n. 2/E) . L'una tantum può anche essere pagata in forma rateale (Cass., 24 maggio 2007, n. 12157; App. Torino 15 gennaio 1998) a patto che i pagamenti non siano talmente parcellizzati da renderli assimilabili all'assegno periodico (Trib. Verona, 30 giugno 2000), giacchè in questo caso si perderebbe la natura e la funzione dell'una tantum e potrebbero porsi anche problemi di carattere fiscale (considerato che l'assegno periodico è sottoposto a tassazione, mentre quello una tantum no). Nell'ipotesi di pagamento rateale, il passaggio a nuove nozze del beneficiario non estingue il diritto al pagamento del residuo dell'una tantum (Cass., 24 maggio 2007, n. 12157, cit.). E' altresì possibile che la dazione dell'una tantum si accompagni al riconoscimento di una somma mensile: in tal caso non si produce in alcun modo l'effetto tombale dell'art. 5 l. n. 898/1970 e permane il diritto delle parti di chiedere in qualunque momento la revisione della clausola che fissa l'importo dell'assegno periodico, con la conseguenza che il Giudice, chiamato a decidere ai sensi dell'art. 9 l. n. 898/1970 potrà sempre modificare o eliminare del tutto l'assegno divorzile (Trib. Roma, 27 luglio 1993). Non è invece ammissibile l'una tantum reciproca, ovverosia la previsione con la quale entrambi i coniugi si fanno reciproche concessioni (eventuali compensabili, nell'ipotesi di crediti tra di loro omogenei, quali ad esempio quelli aventi ad oggetto somme di denaro) finalizzate a definire tombalmente i loro rapporti aventi causa nel pregresso vincolo matrimoniale (cfr. Trib. Milano, ord., 15 aprile 2015). L'art. 5 comma 8 l. n. 898/1970 dispone che, nell'ipotesi di versamento dell'importo una tantum, non possa essere più svolta alcuna domanda di contenuto economico (Cass. civ., sez. lav., 8 marzo 2012, n. 3635). Dal punto di vista soggettivo, la limitazione riguarda solo il soggetto percipiente l'una tantum e non opera anche nei confronti dell'obbligato che mantiene intatta la facoltà di agire per la revisione delle condizioni di divorzio chiedendo un assegno per sé ma non potrà mai agire per la restituzione di quanto versato (Cass. civ., n. 2700/1995; App. Torino, 15 gennaio 1998). Dal punto di vista oggettivo, il percipiente non potrà mai svolgere successiva domanda di contributo ex art. 5 l. n. 898/1970, neppure nell'ipotesi di riviviscenza o insorgenza dello stato di bisogno (Cass. n. 12939/2003). Neppure potrà essere formulata domanda di assegno alimentare, sia per il venire meno della qualità di coniuge (App. Roma, 7 novembre 2007), sia perché la l. n. 898/1970 non prevede in alcun modo la permanenza dell'obbligo di prestare gli alimenti successivamente al divorzio (Trib. Milano, 9 febbraio 2010). Secondo la tesi maggioritaria con l'una tantum viene meno il diritto alla pensione di reversibilità (Cass. civ.,sez. lav., 08 marzo 2012, n. 3635; Cass. civ., 20 giugno 2012, n. 10177; contra Cass. civ.,sez. I, 29 luglio 2011, n. 16744; Cass. civ.,sez. I, 28 maggio 2010, n. 13108). Criteri di calcolo: il modello moltiplicatorio
La legge, ovviamente, non indica alcun tipo di criterio per la fissazione dell'importo a titolo di liquidazione, nè tantomeno è possibile rinvenire precedenti giurisprudenziali di alcun tipo: si tratta di una materia che dipende dalla contrattazione tra le parti (e i difensori). Uno dei modi più utilizzati per il calcolo dell'una tantum consiste nella moltiplicazione dell'importo mensile dell'assegno di separazione per il numero di mesi pari alla differenza tra l'età del percipiente e l'aspettativa media di vita (attualmente in Italia 80 anni per gli uomini e 85 per le donne secondo l'edizione 2015 del World Health Statistics). Esemplificando: qualora l'assegno di separazione di 1.000,00 euro mensili sia dovuto a una moglie di 50 anni, l'una tantum dovrebbe essere uguale a 12.000,00 euro (importo annuo) moltiplicato 35= 420.000,00 euro. È un approccio errato (anche se è il più seguito perché il più semplice), in quanto non tiene conto: - della diversa natura dell'assegno di separazione rispetto a quello divorzio e dei criteri dell'art. 5 l. n. 898/1970; - dell'impatto fiscale, giacché l'assegno periodico è tassato e l'una tantum no; - delle variabili cui è sottoposto l'assegno periodico (diminuzione dei redditi dell'obbligato; nuove nozze o convivenza del percipiente; morte dell'obbligato, etc.); - ma, soprattutto, non tiene in alcun modo conto del fatto che l'importo versato una tantum, a differenza di quello periodico - per sua natura e funzione destinato ad essere consumato mensilmente per sopperire alle esigenze del percipiente - può essere produttivo di interessi (nel caso di pagamento in denaro) o frutti (nel caso di trasferimento di immobile) che, dunque, non essendo calcolati, determinerebbe un importo solutorio sensibilmente maggiore rispetto a quello che dovrebbe essere dovuto. La capitalizzazione: limiti
Molto più confacente al dettato normativo - e soprattutto all'esigenza di ricercare un equilibrio corretto tra le parti - è il metodo della c.d. capitalizzazione dell'assegno di mantenimento. Si tratta di un procedimento inverso a quello utilizzato nei piani di ammortamenti dei mutui ipotecari, che si può strutturare nelle seguenti fasi: a) determinazione dell'assegno da usare come base, al netto delle imposte dovute e calcolate sulla base dell'aliquota fiscale media delle ultime 3 dichiarazioni dei redditi disponibili; da tenere ben presente che l'assegno da utilizzare come “base” non può essere semplicemente l'assegno di separazione bensì quello (ancorché ipotetico) di divorzio che tenga conto dunque di tutti i criteri di cui all'art. 5 l. n. 898/1970 che agiscono come fattore di ponderazione (cfr. L. Cosmai, Assegno di divorzio e una tantum, ilFamiliarista.it); b) fissazione di un termine finale dell'assegno, da calcolarsi in base all'aspettativa di vita media; c) fissazione di un tasso di interesse convenzionale annuo, da scegliere tra i vari indicatori disponibili. Allo stato attuale, considerato il livello del costo del denaro, si può ipotizzare un 1,5/2%; d) determinazione dell'importo in una misura - comprensiva degli interessi calcolati al tasso scelto dalle parti per il numero di anni di durata dell'assegno - tale da consumarsi integralmente al momento finale stabilito per l'assegno. Tale modello, sicuramente più corretto rispetto al primo, è ancora imperfetto nella parte in cui non tiene conto (né potrebbe tenere conto, consideratane la natura) di tutte le variabili, in positivo e negativo, che influenzano l'assegno periodico (base dell'una tantum). Individuazione dei possibili correttivi da utilizzare
Come insegna la Corte Costituzionale, l'una tantum non corrisponde necessariamente alla capitalizzazione dell'assegno periodico ma è liberamente concordato dalle parti al fine di fissare un definitivo e complessivo assetto degli interessi personali, familiari e patrimoniali dei coniugi (C. cost., 29 marzo 2007, n. 113). Conseguentemente, nella trattativa, occorrerà valutare proporzionalmente l'incidenza di tutti quegli elementi fattuali che rappresentano un fattore di diversa modulazione (o di rischio di diversa modulazione) dell'assegno divorzile. Tali elementi potranno agire per aumentare o diminuire l'importo “teorico” dell'una tantum, ottenuto mediante capitalizzazione. In particolare si dovranno valutare: a)l'età dell'obbligato: tanto maggiore sarà, tanto più dovrà essere diminuito proporzionalmente l'importo solutorio; e ciò perché, nell'ipotesi di assegno mensile l'obbligazione di pagamento si estinguerebbe con la morte del debitore, potendo semmai sorgere il diverso obbligo dei successori a titolo universale di pagamento dell'assegno a carico dell'eredità, il cui ammontare è però differente rispetto al quello dell'importo ex art. 5 l. n. 898/1970; b) probabilità che il percipiente contragga nuove nozze o instauri una convivenza more uxorio (in entrambi i casi,infatti, perderebbe il diritto all'assegno divorzile, cosicché tale “rischio”, dovrà essere valutato); c) probabilità di progressione di carriera dell'avente diritto, secondo un criterio di ragionevolezza (con esclusione dunque di fattori straordinari); tale criterio sarà di maggior applicazione nell'ipotesi in cui l'avente diritto sia di giovane età; d) probabilità di diminuzione dei redditi dell'obbligato; si tratta di un criterio da utilizzare soprattutto nei confronti di liberi professionisti o lavoratori autonomi, i cui redditi, dopo il 65° anno di età sono destinati a diminuire; viceversa il criterio appare meno utile per i lavoratori dipendenti (e ciò in funzione dell'importo del trattamento pensionistico) o per gli imprenditori (che comunque hanno la possibilità di smobilizzare il patrimonio costituito dall'impresa, a differenza dei liberi professionisti); e) importo del trattamento di fine rapporto maturato alla data dello scioglimento del vincolo; considerato che tale diritto viene meno con il versamento dell'una tantum (avendo come presupposto l'assegno periodico) il relativo ammontare (ovverosia il 40% del TFR maturato dall'obbligato negli anni coincidenti con il vincolo matrimoniale) dovrebbe concorrere ad aumentare l'importo (teorico dell'una tantum). Ovviamente non si possono prestabilire percentuali dirette a rendere operativi i criteri sopra indicati che si prestano, viceversa, a una diversa valutazione caso per caso. In conclusione
L'una tantum costituisce l'unica reale soluzione per i coniugi (specialmente per quelli senza figli minorenni, maggiorenni non autosufficienti o portatori di handicap) che non solo intendono sciogliere il pregresso vincolo matrimoniale ma vogliono risolvere definitivamente vincolo economico, attuale o futuro, tra di loro. Proprio per la sua funzione tombale, le parti devono prestare particolare attenzione all'importo che verrà fissato. I professionisti che li assistono dovranno prestare ancor maggior attenzione nel guidare i loro assistiti nel determinare un importo che, prima ancora dell'intervento del Tribunale, possa realmente corrispondere ad equità. Solo la corretta ponderazione di tutti gli elementi esemplificativamente e non esaustivamente sopra indicati, potrà evitare da un lato pretese di somme astronomiche o, specularmente, importi che non soddisfano correttamente la natura e la funzione della previsione di cui all'art. 5, comma 8 l. n. 898/1970. |