Vittima di reato in condizione di particolare vulnerabilità: le tutele dopo il d.lgs. n. 212/2015
09 Febbraio 2016
La vittima di reato tra indicazioni sovranazionali e normativa interna
Con riferimento alla figura soggettiva della “vittima” del reato, caposaldo della normativa sovranazionale e fonte di primario rilievo è la decisione quadro 2001/220/GAI, la quale, all'art. 2, invita ogni Stato membro a prevedere «nel proprio sistema giudiziario un ruolo effettivo ed appropriato delle vittime». La citata decisione quadro è poi stata sostituita dalla direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2012, che istituisce «norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato», la quale, pur cautamente precisando come il ruolo da attribuirsi alla vittima e la possibilità di partecipare attivamente al procedimento penale sia variabile tra gli Stati membri, statuisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle stesse, prevedendo l'adeguamento a tali standard di tutela da parte degli ordinamenti interni. Ad una sempre più puntuale regolamentazione della disciplina applicabile alla figura della vittima del reato a livello europeo si è affiancata, soprattutto negli ultimi anni, una maggiore attenzione anche da parte del legislatore interno, che, seppure un po' maldestramente - talvolta attraverso il ricorso alla decretazione d'urgenza o sulla spinta di pressioni emotive o mediatiche - ha cercato di adattare il nostro sistema ai desiderata europei. Così, in ultimo, con il d.lgs n. 212/2015 (in vigore dal 20 gennaio 2016) con il quale ha dato attuazione alla direttiva 2012/29/UE, introducendo alcune modifiche al codice di rito penale e alle relative norme di attuazione e riconoscendo diritti sempre più pregnanti alla vittima di reato, assicurando alla stessa livelli adeguati di tutela e assistenza, nonché ulteriori diritti informativi e partecipativi e adeguata protezione. Le modifiche apportate dal d.lgs. n. 212/2015: l'estensione dei diritti della vittima e l'incertezza sulla minore età
Il d.lgs n. 212/2015 opera sulla scorta delle indicazioni provenienti dalla direttiva europea, ove si è accolta una nozione allargata di vittima (cfr. art. 2, comma 1, lett. a). Quindi, nel rispetto di un concetto di “famiglia” sempre più ampio - che preveda adeguate cautele anche a favore delle relazioni “di fatto” - il nostro ordinamento estende le facoltà e i diritti già previsti per i prossimi congiunti di una persona offesa che sia deceduta in conseguenza del reato a coloro che siano alla stessa legati da una relazione affettiva e con essa stabilmente conviventi (art. 90, comma 3, c.p.p.). Inoltre, data la delicatezza della posizione delle vittime minorenni, si introduce un nuovo comma 2 bis all'art. 90 c.p.p., a norma del quale, in caso di incertezza sulla minore età della persona offesa, il giudice dispone, anche d'ufficio, un accertamento peritale e, in caso di persistenza di dubbi, la minore età deve considerarsi presunta, ma solo ai fini dell'applicazione delle disposizioni processuali. Segue: i diritti informativi e di assistenza linguistica della persona offesa
Nella logica europea (considerando n. 9) «il reato non rappresenta solo un torto alla società, ma anche la violazione dei diritti individuali delle vittime», che non devono più essere considerate come mero oggetto di tutela, ma anche come soggetti cui imputare il riconoscimento di specifici diritti soggettivi da far valere in seno al procedimento penale e al di fuori di esso. Allo scopo di consentire alla vittima di prendere parte attiva mediante un consapevole esercizio dei propri diritti, dunque, si prevede che la stessa possa ricevere informazioni in modo agevole e comprensibile sin dal primo momento in cui intrattiene un contatto con le autorità competenti. Si tratta della tutela da riconoscersi alla vittima “nel” processo penale, che include, primi tra tutti, il diritto di comprendere in un linguaggio semplice ed accessibile ed essere compresa, i diritti sussistenti al momento della denuncia, il diritto di ottenere informazioni sul proprio caso; tutti diritti da cui discende la necessità di un servizio di interpretariato e traduzione gratuito, così come gratuita deve essere l'assistenza legale nel caso in cui la vittima non disponga di redditi sufficienti. Ebbene, se queste sono le illuminanti previsioni della direttiva UE (Capo II, artt. 3 - 7), si deve del pari dare atto di come a livello interno si sia faticato a riconoscere effettività a tali previsioni. Un significativo intervento in materia si è avuto con il d.lgs n. 212/2015 che ha innovato il sistema con l'introduzione dell'art. 90 bis al codice di procedura penale, rubricato “Informazioni alla persona offesa”, con il quale si prevede che essa debba essere destinataria di una serie di informazioni funzionali all'esercizio dei propri diritti. La stessa dovrà, dunque, ricevere informazioni in merito: a) alle modalità di presentazione degli atti di denuncia o querela, al ruolo che assume nel corso delle indagini e del processo, al diritto ad avere conoscenza della data, del luogo del processo e della imputazione e, ove costituita parte civile, al diritto a ricevere notifica della sentenza, anche per estratto; b) alla facoltà di ricevere comunicazione dello stato del procedimento e delle iscrizioni di cui all'art. 335, commi 1 e 2 c.p.p.; c) alla facoltà di essere avvisata della richiesta di archiviazione; d) alla facoltà di avvalersi della consulenza legale e del patrocinio a spese dello Stato; e) alle modalità di esercizio del diritto all'interpretazione e alla traduzione di atti del procedimento; f) alle eventuali misure di protezione che possono essere disposte in suo favore; g) ai diritti riconosciuti dalle legge nel caso in cui risieda in uno Stato membro dell'Unione europea diverso da quello in cui è stato commesso il reato; h) alle modalità di contestazione di eventuali violazioni dei propri diritti; i) alle autorità cui rivolgersi per ricevere informazioni sul procedimento; l) alle modalità di rimborso delle spese sostenute in relazione alla partecipazione al procedimento penale; m) alla possibilità di chiedere il risarcimento dei danni derivanti da reato; n) alla possibilità che il procedimento sia definito con remissione di querela di cui all'art. 152 c.p., ove possibile, o attraverso la mediazione; o) alla facoltà ad essa spettanti nei procedimenti in cui l'imputato formula richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova o in quelli in cui è applicabile la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto; p) alle strutture sanitarie presenti sul territorio, alle case famiglia, ai centri antiviolenza e alle case rifugio. Sotto il profilo cautelare, poi, si prevede la comunicazione di tutti i provvedimenti di scarcerazione, di cessazione della misura di sicurezza detentiva e anche in caso di evasione a favore della vittima di reati commessi con violenza alla persona che ne abbia fatto richiesta. Si tratta di una informativa di particolare rilievo che risponde all'indicazione contenuta nell'art. 6, comma 5, direttiva UE volta al chiaro scopo di consentire alla persona lesa dal reato perpetrato con modalità violente ai suoi danni l'apprestamento di adeguate cautele nell'eventualità in cui il presunto autore sia tornato in libertà e che opera sempre, salvo che risulti il pericolo concreto di un danno per l'autore del reato (art. 90 ter c.p.p.). Per quanto concerne, infine, l'assistenza linguistica, deve darsi atto di come anche quello relativo all'interpretazione e traduzione gratuita degli atti nei procedimenti penali sia un problema fortemente sentito nella logica del superamento delle barriere interne tra gli Stati, già parzialmente risolto con il d.lgs n. 32/2014 quanto alla posizione di imputati, arrestati e fermati che non conoscono la lingua italiana e oggi completato con il d.lgs n. 212/2015 anche per la persona offesa che non parli la lingua italiana. Come sopra esposto, la vittima – ai sensi di quanto prescritto dall'art. 90 bis, comma 1, lett. e), c.p.p. – deve essere da subito informata circa il suo diritto all'interpretazione e alla traduzione degli atti del procedimento. A questo scopo, è stato inserito nel codice di procedura penale l'art. 143 bis, rubricato “Altri casi di nomina dell'interprete”, che prevede l'assistenza di un interprete per l'audizione della persona offesa o per l'eventualità in cui la stessa intenda partecipare all'udienza e ne abbia fatto richiesta (assistenza che può essere assicurata anche mediante l'utilizzo delle tecnologie di comunicazione a distanza), nonché la traduzione gratuita di atti o parti di essi contenenti informazioni utili all'esercizio dei suoi diritti. Altre previsioni di tutela linguistica sono poi inserite, a completamento di quanto prescritto, anche nelle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie, mediante l'introduzione dell'art.107 ter, a norma del quale si consente alla persona offesa che non conosca la lingua italiana di presentare denuncia o querela e di ottenere l'attestazione di ricezione delle stesse in una lingua a lei conosciuta. In ultimo, ai sensi del nuovo art. 108 ter disp. att. c.p.p., nel caso in cui il denunciante o querelante risieda o dimori in Italia, si prevede una comunicazione del procuratore della Repubblica al procuratore generale presso la Corte d'Appello delle denunce o querele per reati commessi in altri Stati dell'Unione europea affinché ne curi l'invio all'autorità giudiziaria competente. Segue: la condizione di particolare vulnerabilità della vittima
Il nuovo d.lgs 212/2015 risponde, poi, all'esigenza rappresentata in sede europea di prevedere una normativa peculiare e di maggior favore nella tutela delle vittime che si trovino, per ragioni oggettive o soggettive, in condizioni tali da richiedere “specifiche esigenze di protezione”. La direttiva del 2012, infatti, nonostante la dicitura preferita a livello interno, che evoca il concetto di “vulnerabilità” della persona offesa, aveva di fatto attribuito centrale rilievo alla “valutazione individuale”, il cd. “individual assessment”, attraverso cui determinare nel caso concreto la vittima da proteggere, le specifiche esigenze di protezione e le misure più idonee alla sua tutela, tenendo in particolare considerazione i suoi desideri, compresa l'ipotetica volontà di non avvalersi di tali cautele (Allegrezza S.-Belluta H.-Gialuz M.-Luparìa L., “Lo scudo e la spada, Esigenze di protezione delle vittime nel processo penale tra Europa e Italia”, Torino, 2012). Ebbene, con la recente previsione normativa è stata inserita una disposizione ad hoc, ossia l'art. 90 quater c.p.p., rubricato “Condizione di particolare vulnerabilità”, che traduce a livello interno tale esigenza di valutazione individualizzata, stabilendo che la condizione di particolare vulnerabilità della persona offesa sia desunta, oltre che dall'età e dallo stato di infermità o di deficienza psichica, dal tipo di reato, dalle modalità e circostanze del fatto per cui si procede e si tenga conto di una serie di altri indici, tra cui il fatto che il reato sia commesso con violenza alla persona o che la persona offesa sia affettivamente, psicologicamente o economicamente dipendente dall'autore del reato. Segue: l'estensione delle misure di protezione nell'audizione delle vittime particolarmente vulnerabili
Il decreto legislativo in commento amplia anche lo strumentario di tutela previsto a favore delle vittime di reato che, trovandosi nella suindicata condizione di “particolare vulnerabilità”, siano chiamate a rendere il proprio contributo dichiarativo in seno al procedimento penale. In particolare, con la modifica agli artt. 351, comma 1-ter e 362, comma 1-bis, c.p.p., si è prevista l'estensione del ricorso all'ausilio di un esperto in psicologia o in psichiatria infantile per la loro audizione in sede di indagini ad opera della polizia giudiziaria o del pubblico ministero. Sul punto, giova osservare come fino alla recente novella tale previsione operasse solo a vantaggio dei soggetti minorenni che si trovassero coinvolti in procedimenti per particolari ipotesi di reato tutte attinenti alla sfera dei reati sessuali o di natura intrafamiliare. Ebbene, oggi, non solo gli adulti ma anche i minori vittime di altre gravi fattispecie delittuose prima non menzionate, potranno essere approcciati fin dalla fase investigativa «da o tramite operatori formati a tale scopo» per usare le parole della direttiva (art. 23), qualora siano stati ritenuti in condizione di “particolare vulnerabilità”. Inoltre, al fine di evitare che tale vittima si trovi esposta al meccanismo della c.d. “vittimizzazione secondaria”, connesso alla necessaria riedizione giudiziale dell'evento traumatico primario subito, con la stessa modifica si prevede altresì che la stessa non abbia contatti con la persona sottoposta ad indagini, che non debba essere sentita più volte, se non sia assolutamente necessario per le indagini, e che si ricorra alla riproduzione audiovisiva delle sue dichiarazioni, da consentirsi ora in ogni caso e anche al di fuori delle ipotesi di assoluta indispensabilità, così come statuito con l'aggiunta di un ultimo periodo al comma 4 art. 134 c.p.p.. Anche in questo caso, è agevole osservare come il legislatore italiano non abbia fatto altro che trasporre a livello interno le indicazioni contenute nella direttiva, la quale da tempo sollecitava le limitazioni dei contatti non necessari, «ricorrendo ad esempio a registrazioni video delle audizioni e consentendone l'uso nei procedimenti giudiziari» (considerando n. 53). Ancora, si deve osservare come, nel nostro codice di rito, le previsioni di tutela specifica apprestate a favore della vittima di un reato “dal” processo penale e dai suoi meccanismi potenzialmente dannosi siano state storicamente calibrate sulla figura del minorenne vittima di determinate e specifiche ipotesi delittuose di natura sessuale o intra-familiare; cosa che ha costituito a lungo un limite significativo non essendo dato comprendere come si potesse escludere a priori la necessità di predisporre adeguate guarentigie anche nelle evenienze in cui i minorenni fossero lesi da altre, gravi, fattispecie di reato o allorquando anche soggetti adulti si trovassero in condizioni di particolare vulnerabilità a cagione delle proprie condizioni personali o della natura e delle circostanze del reato asseritamente subito. Tali meccanismi di tutela prevedevano ampie possibilità di accesso all'istituto del c.d. “incidente probatorio”, ove acquisita la testimonianza dei soggetti deboli in casi tassativamente determinati. Con le modifiche apportate dal d.lgs n. 212/2015 il favor nei confronti del suddetto istituto viene ad essere riconfermato con la previsione che consente l'accessoall'incidente probatorio atipicoanche per l'assunzione della testimonianza della persona offesa che si trovi in condizione di “particolare vulnerabilità” (art. 392, comma 1 bis, c.p.p.). Anche in questo i caso, i vantaggi appaiono molteplici: da una parte, tale istituto, intervenendo in una fase ancora embrionale del procedimento, consente l'acquisizione del contributo probatorio del soggetto vulnerabile, scongiurando il pericolo che lo stesso rimuova dalla memoria il ricordo degli episodi traumatici subiti o che, data la sua potenziale labilità psichica, possa subire condizionamenti da parte degli autori materiali del reato finalizzati ad impedirne la deposizione o a minarne la genuinità. Da un'altra parte, permette di ridurre lo stress da esposizione al processo, evitando al dichiarante il trauma della rievocazione dibattimentale di episodi carichi di implicazioni di natura psicologica negative. Tale disciplina, poi, consente anche una maggiore tutela per l'acquisizione genuina della prova nell'interesse dell'indagato, poiché costui avrà garantita la possibilità di accedere, quanto prima e nel rispetto del diritto al contraddittorio (art. 393 comma 2 bis c.p.p.), all'escussione diretta della vittima che può rappresentare senz'altro la principale, se non esclusiva, fonte d'accusa. Infatti, pur nella necessità di tutela della persona offesa, non si deve mai dimenticare che l'obiettivo principe del processo è quello dell'accertamento della verità, nell'ambito di un processo equo che garantisca la pienezza ed effettività del contraddittorio, in ossequio alle regole auree sancite dagli artt. 111 Cost. e art. 6 CEDU, e nel rispetto della presunzione di innocenza dell'accusato. Ancora, a favore della vittima in condizione di particolare vulnerabilità, si estende anche la possibilità di procedere alla sua audizione con modalità protette (artt. 398, comma 5 quater e 498, comma 4 quater c.p.p.), sia in sede di incidente probatorio che in sede dibattimentale, se la stessa o il suo difensore ne facciano richiesta. Altra previsione di assoluto rilievo è quella che valorizza il meccanismo di sbarramento di cui all'art. 190 bis, comma 1 bis, c.p.p., che limita la possibilità di procedere nuovamente in sede dibattimentale all'audizione della persona offesa particolarmente vulnerabile che sia già stata sentita solo ai casi in cui tale testimonianza«riguardi fatti o circostanze diversi da quelli oggetto delle precedenti dichiarazioni» ovvero «se il giudice o taluna delle parti lo ritengano necessario sulla base di specifiche esigenze». Si tratta, ancora una volta, di una previsione che, pur animata da giuste ambizioni, ha mostrato per lungo tempo di non riuscire a catalizzare nella pratica i propri obiettivi, anche per il mancato interessamento della stessa da parte delle molteplici riforme in materia e per le incongruenze del sistema. Di tale disarmonia legislativa si è fatto carico il legislatore interno che, con il d.lgs n. 212/2015, ha esteso la previsione in disamina ai casi in cui l'esame testimoniale riguardi una persona offesa in condizione di particolare vulnerabilità. Data, però, la natura ancora settoriale della modifica – che, per esempio, non riguarda coloro che siano solo testimoni ma non offesi dal reato – non pare errato dubitare della necessità di un razionale intervento legislativo volto a disciplinare la materia in maniera organica ed uniforme e non più secondo una logica contingente e frammentaria, di modo da scongiurare il pericolo che si realizzi un quadro di disuguaglianza sostanziale, con situazioni uguali trattate in maniera difforme e con livelli di tutela disomogenei. In conclusione
Nonostante le indicazioni provenienti dall'Unione europea e le parziali e progressive modifiche dell'ordinamento interno, uno sguardo attento alle norme del codice di rito mostra come l'impianto legislativo presenti ancora disarmonie ed incongruenze. Spesso alla mancanza di cogenza del sistema sopperisce la precipua attenzione e sensibilità dei soggetti che di volta in volta si rapportano con le vittime di reato. Infatti, com'è stato correttamente osservato, «molto spesso, al di là dei principi magniloquenti e dei congegni processuali ad alto contenuto tecnico, la protezione delle vittime passa attraverso pratiche quotidiane e corrette linee di comportamento da parte degli operatori» (Luparìa L., Lo statuto europeo delle vittime di reato. Modelli di tutela tra diritto dell'Unione e buone pratiche nazionali, Padova, 2015). A tutto ciò deve aggiungersi la sempre più frequente predisposizione di protocolli virtuosi, raccomandazioni e buone prassi tra le procure, i tribunali, le forze dell'ordine e le asl, cui, tuttavia, dovrebbe aggiungersi la creazione di una rete istituzionale di collaborazioni e conoscenze e l'apprestamento di programmi di sensibilizzazione diffusa tra la popolazione. Tuttavia, la particolare delicatezza della materia non può che suggerire un nuovo sforzo da parte del legislatore volto a colmare le lacune ancora esistenti, così da addivenire alla configurazione di un vero e proprio statuto unitario di tutela delle vittime di reato, attento alle peculiarità e ai differenti interessi in gioco, ma, allo stesso tempo, dotato di organica coerenza con il sistema processualpenalistico vigente. |