Riparto di competenza tra Tribunale dei minorenni e Tribunale ordinario nei procedimenti de potestate

Rosa Muscio
09 Giugno 2017

Il Tribunale dei minori di Potenza affronta la questione del riparto di competenza tra Tribunale dei minorenni e Tribunale ordinario per i procedimenti c.d. de potestate, ossia quelli previsti dagli artt. 330 e 333 c.c., in pendenza di giudizi c.d. del conflitto familiare.
Massima

Sussiste l'incompetenza per materia del Tribunale dei minorenni per essere competente il Tribunale ordinario presso il quale pende il giudizio di separazione tra le stesse parti, iniziato prima del procedimento aperto avanti al Tribunale dei minorenni avente ad oggetto le reciproche istanze di decadenza dalla responsabilità genitoriale o di adozione degli opportuni provvedimenti a tutela dei figli minori.

Il caso

Un padre, premettendo di avere lasciato l'abitazione coniugale a causa dell'intollerabilità della convivenza con la moglie che da quel momento aveva posto in essere comportamenti ostruzionistici e manipolatori impedendogli di vedere i figli, chiedeva al Tribunale dei minorenni di pronunciare la decadenza della moglie dalla responsabilità genitoriale e, in subordine, l'adozione di tutte le misure idonee a tutela dei minori. In sede di audizione il ricorrente dava atto di avere già proposto avanti al Tribunale ordinario il giudizio per separazione personale, promosso anche dalla moglie. Costituendosi nel procedimento avanti al Tribunale dei minorenni la moglie chiedeva la decadenza dalla responsabilità genitoriale del marito e, in via subordinata, ogni altro provvedimento a tutela dei minori.

Il Tribunale dei minorenni di Potenza, dopo aver effettuato una dettagliata ricostruzione degli arresti della giurisprudenza della Suprema Corte in ordine all'interpretazione dell'art. 38, disp. att., c.c. come modificato dal d.lgs. n. 219/2012 ai fini del riparto di competenza tra il Tribunale per i minorenni e il Tribunale ordinario per i procedimenti de potestate, ha dichiarato la propria incompetenza per essere competente il Tribunale ordinario, ritenendo operante la vis actrativa del giudice del conflitto familiare, avendo le parti anteriormente proposto avanti al Tribunale ordinario il giudizio per separazione personale.

La questione

La pronunzia in esame affronta la questione del riparto di competenza tra Tribunale dei minorenni e Tribunale ordinario per i procedimenti c.d. de potestate, ossia quelli previsti dagli artt. 330 e 333 c.c., in pendenza di giudizi c.d. del conflitto familiare, questione apertasi all'indomani della riformulazione dell'art. 38 disp. att. c.c ad opera del d.lgs. n. 219/2012.

Le soluzioni giuridiche

La pronuncia in questione offre una puntuale e dettagliata ricostruzione del dibattito dottrinale e giurisprudenziale apertosi subito dopo l'entrata in vigore dell'art. 38, disp. att., c.c come riformulato dal d.lgs. n. 219/2012 e illustra poi la posizione ermeneutica, che può ritenersi ormai chiara, cui è pervenuta la Suprema Corte di Cassazione.

È noto che l'art. 38, disp. att., c.c. ha previsto in via generale la competenza del Tribunale dei minorenni per i provvedimenti ex art. 330 c.c (dichiarazione di decadenza dalla responsabilità genitoriale, c.d. provvedimenti ablativi) e art. 333 c.c. (provvedimenti più convenienti a tutela dei minori nel caso di comportamenti pregiudizievoli del genitore, c.d limitativi o conformativi della responsabilità genitoriale).

La norma ha però introdotto una deroga a tale competenza generale, là dove testualmente recita «Per i procedimenti di cui all'art. 333 c.c. resta esclusa la competenza del tribunale per i minorenni nell'ipotesi in cui sia in corso, tra le stesse parti, giudizio di separazione o divorzio o giudizio ai sensi dell'art. 316 c.c.; in tale ipotesi per tutta la durata del processo la competenza, anche per i provvedimenti contemplati dalle disposizioni richiamate nel primo periodo, spetta al giudice ordinario».

Ha, cioè, previsto la competenza del Tribunale ordinario qualificata come competenza c.d per attrazione, derivante dall'attrazione in capo al Tribunale ordinario dei procedimenti de potestate, quando avanti a tale Tribunale pendono i giudizi di separazione, di divorzio, ex art. 316 c.c. e di modifica ex art. 710 c.p.c, art. 337-quinquies c.c. e art. 9 l. n. 898/1970.

L'ambigua formulazione della norma ha creato problemi interpretativi soprattutto con riferimento ai provvedimenti ablativi della responsabilità genitoriale, nessuna incertezza sussistendo, invece, quanto ai provvedimenti limitativi ex art. 333 c.c che già il Giudice ordinario adottava nei giudizi di separazione, di divorzio e di revisione delle condizioni sulla base di un consolidato orientamento della Suprema Corte (Cass. civ.,sez. I, 5 ottobre 2011, n. 20354).

Con riguardo, invece, ai provvedimenti ablativi ex art. 330 c.c. si erano formati, subito dopo l'entrata in vigore del d.lgs. n. 219/2012, due orientamenti in dottrina e nella giurisprudenza di merito.

Un orientamento optava per una interpretazione restrittiva della deroga alla competenza generale del Tribunale dei minorenni e affermava che rimanevano estranei alla vis actractiva della competenza del Tribunale ordinario in ogni caso i provvedimenti ablativi della responsabilità genitoriale ex art. 330 c.c., facendo leva sul tenore letterale della norma che fa espresso riferimento solo ai procedimenti ex art. 333 c.c., sulla diversa natura dei provvedimenti ablativi e di quelli conformativi della responsabilità genitoriale e sul diverso ruolo del PM nei giudizi avanti al Tribunale dei minorenni ove ha potere di domanda e di impulso del procedimento e nei giudizi avanti al Tribunale ordinario ove è unicamente interventore necessario senza autonomo potere di domanda (Trib. Milano, sez. IX, sent. 11 dicembre 2013; Trib. min. Catania, 22 maggio 2013; Trib. min. Brescia 1 agosto 2013; Trib. min. Palermo, 11 dicembre 2013).

Altro orientamento, invece, ha sin da subito affermato che per tutta la durata dei giudizi del c.d. conflitto familiare opera l'attrazione alla competenza del Tribunale ordinario dei provvedimenti sia limitativi ex art. 333 c.c sia ablativi ex art. 330 c.c, facendo leva sulla considerazione che i procedimenti de potestate si fondano su fatti costitutivi inscindibilmente connessi e sulla ratio sottesa al nuovo art. 38 disp. att c.c. individuata nel principio di concentrazione delle tutele nell'interesse del minore (Trib. min. Bari, decr. 30 marzo 2013, Trib. min. Sassari, ord. 14 gennaio 2014, Trib. Pordenone decr. 21 maggio 2015).

La Suprema Corte è, quindi, intervenuta con una serie di pronunce che sembrano avere ora fatto chiarezza, tracciando una linea di demarcazione in relazione ai criteri di riparto della competenza tra Tribunale dei minorenni e Tribunale ordinario che appare ormai chiara e costante a partire dalla sentenza, nota come sentenza Acerno (Cass., sez. VI-I,ord., 26 gennaio 2015, n. 1349).

Ha affermato il Supremo Collegio in tale pronuncia che «L'art. 38, comma, disp. att. c.c. (come modificato dall'art. 3, comma 1, l. 10 dicembre 2012, n. 219, applicabile ai giudizi instaurati a decorrere dall'1 gennaio 2013), si interpreta nel senso che, per i procedimenti di cui agli artt. 330 e 333 c.c., la competenza è attribuita in via generale al tribunale dei minorenni, ma, quando sia pendente un giudizio di separazione, di divorzio o ex art. 316 c.c., e fino alla sua definitiva conclusione, in deroga a questa attribuzione, le azioni dirette ad ottenere provvedimenti limitativi o ablativi della responsabilità genitoriale, proposte successivamente e richieste con unico atto introduttivo dalle parti (così determinandosi un'ipotesi di connessione oggettiva e soggettiva), spettano al giudice del conflitto familiare, individuabile nel tribunale ordinario, se sia ancora in corso il giudizio di primo grado, ovvero nella corte d'appello in composizione ordinaria, se penda il termine per l'impugnazione o sia stato interposto appello».

La Corte valorizza un'interpretazione complessiva della norma, partendo dalla formulazione testuale senza procedere ad una suddivisione atomistica di ciascuna parte o locuzione al fine di farne emergere soltanto le incoerenze, pur se riscontrabili e individua quale principale chiave interpretativa il principio di concentrazione delle tutele.

La concentrazione, nella prospettiva della Suprema Corte, è valido rimedio per evitare che il minore sia sottoposto all'ascolto, a indagini sulla sua situazione psico-sociale da parte di diverse autorità giudiziarie, ma soprattutto è rimedio necessario per scongiurare il rischio che vengano adottate decisioni di contenuto diverso con pericolo di contraddittorietà di giudicati e intuibili difficoltà quanto alla loro esecuzione.

Tale pronuncia poi introduce un ulteriore sottile distinguo, individuando una circoscritta categoria di situazioni in cui residuerebbe sempre ed in ogni caso la competenza del Tribunale dei minorenni, ovverosia quelle situazioni sussumibili nelle fattispecie previste dalla l. n. 184/1983, quelle cioè che possono portare all'apertura di un procedimento volto alla dichiarazione di adottabilità o a misure quali l'affido etero familiare da quei comportamenti genitoriali pregiudizievoli per il minore che si collocano, invece, sempre nell'alveo degli art. 333 e 330 c.c. di cui deve occuparsi il Tribunale ordinario quando è in corso davanti allo stesso un giudizio c.d. del conflitto familiare.

Tale pronuncia poi supera la questione del diverso ruolo del Pubblico Ministero presso l'Ufficio Giudiziario Minorile e del PM presso il Tribunale ordinario, affermando che i due uffici devono trovare modalità e strumenti di coordinamento e scambio delle informazioni.

Con pronunce successive del medesimo tenore la Corte di Cassazione ha meglio esplicitato il principio per cui la deroga alla competenza del Tribunale dei minorenni per i procedimenti di cui agli artt. 330 e 333 c.c., sancita in via generale dall'art. 38, disp. att., c.c, e quindi la c.d vis actrattiva di tali procedimenti alla competenza del Tribunale Ordinario nell'ambito dei giudizi c.d. del conflitto familiare (separazione, divorzio, art. 316 c.c e procedimenti di revisione) presuppone che tali ultimi giudizi siano “pendenti”, non potendo in alcun modo derogarsi al principio della perpetuactio jurisdictionis.

In tal senso si è pronunciato, infatti, il Supremo Collegio affermando che «ai sensi dell'art. 38, disp. att., c.c. come novellato dall'art. 3, l. 10 dicembre 2012, n. 219, il Tribunale per i minorenni resta competente a conoscere della domanda diretta ad ottenere la declaratoria di decadenza o la limitazione della responsabilità dei genitori ancorché, nel corso del giudizio, sia stata proposta, innanzi al Tribunale ordinario, domanda di separazione personale dei coniugi o di divorzio, trattandosi di interpretazione aderente al dato letterale della norma, rispettosa del principio della perpetuatio jurisdictionis di cui all'art. 5 c.p.c., nonché coerente con ragioni di economia processuale e di tutela dell'interesse superiore del minore, che trovano fondamento nell'art. 111 Cost., nell'art. 8 CEDU e nell'art. 24 della Carta di Nizza» (Cass.,sez. VI-I, 12 febbraio 2015, n. 2833).

E in modo ancor più chiaro nell'ultima pronuncia richiamata dalla sentenza di merito in esame la Cassazione ribadisce che «L'art. 38, comma 1, disp. att., c.c. (come modificato dall'art. 3, comma 1, l. 10 dicembre 2012, n. 219, applicabile ai giudizi instaurati a decorrere dall'9 gennaio 2013), si interpreta nel senso che, per i procedimenti di cui agli art. 330 e 333 c.c., la competenza è attribuita in via generale al Tribunale dei minorenni, ma, quando sia pendente un giudizio di separazione, di divorzio ex art. 316 c.c., e fino alla sua definitiva conclusione, in deroga a questa attribuzione, le azioni dirette ad ottenere provvedimenti limitativi o ablativi della responsabilità genitoriale, proposte successivamente e richieste con unico atto introduttivo dalle parti (così determinandosi un'ipotesi di connessione oggettiva e soggettiva), spettano al Giudice del conflitto familiare, individuabile nel Tribunale ordinario, se sia ancora in corso il giudizio di primo grado, ovvero nella Corte d'appello in composizione ordinaria, se penda il termine per l'impugnazione o sia stato interposto appello». Con riferimento al diverso caso in cui il procedimento diretto ad ottenere provvedimenti limitativi o ablativi della responsabilità genitoriale sia proposto prima di quello di separazione, di divorzio o ex art. 316 c.c. va affermato il principio, complementare a quello sopra enunciato secondo cui «il tribunale per i minorenni resta competente a conoscere della domanda diretta ad ottenere la declaratoria di decadenza o la limitazione della potestà dei genitori ancorché, nel corso del giudizio, sia stata proposta, innanzi al tribunale ordinario, domanda di separazione personale dei coniugi o di divorzio, trattandosi di interpretazione aderente al dato letterale della norma, rispettosa del principio della perpetuatio jurisdictionis" di cui all'art 5 c.p.c., nonché coerente con ragioni di economia processuale e di tutela dell'interesse superiore del minore, che trovano fondamento nell'art. 111 Cost., nell'art. 8 CEDU e nell'art. 24 della Carta di Nizza». (Cass. Civ, sez. VI, 12 settembre 2016, n. 17931).

Questione collegata a quella principale affrontata dalla pronuncia del Tribunale dei minorenni in esame attiene alle modalità di traslazione della domanda de potestate tra i due uffici giudiziari.

Il Tribunale dei minorenni di Potenza, richiamando una pronuncia della Suprema Corte che ha ritenuto ammissibile la trasmissione degli atti dal Giudice incompetente al Giudice ritenuto competente in considerazione dei poteri di intervento di ufficio attribuiti al Giudice investito di questioni attinenti ai minori (Cass.,sez. I, 16 ottobre 2008, n. 25290), applica tale soluzione, in alternativa al meccanismo della riassunzione ex art. 50 c.p.c..

Lo considera uno strumento di primaria importanza, in quanto idoneo ad accelerare la decisione delle questioni prospettate, rendendo edotto il Giudice del conflitto familiare di elementi relativi alla dinamica conflittuale tra i genitori che gli stessi potrebbero avere interesse a non portare alla sua attenzione ed evitando che l'inerzia delle parti nella riassunzione si traduca in un vuoto di tutela a danno del minore.

Argomenti in tale senso sembrano potersi ricavare anche da una recente pronuncia della Suprema Corte che ha affermato «Nei procedimenti che tendono all'ablazione o alla limitazione della potestà genitoriale, ai sensi degli artt. 330 ss. c.c., siano essi promossi d'ufficio o ad istanza di parte, la mera trasmissione del fascicolo processuale da un ufficio giudiziario ad un altro, con finalità di dismissione della propria competenza ed attribuzione della stessa al destinatario, è di per sé sufficiente a legittimare quest'ultimo, ove si ritenga a sua volta incompetente, a sollevare il conflitto di competenza ed a chiedere il regolamento d'ufficio, indipendentemente dall'intervenuta riassunzione del processo, nei modi e nei tempi previsti dall'art. 50 c.p.c., vertendosi in una materia nella quale il giudice competente dispone di poteri officiosi d'iniziativa ai fini tanto dell'instaurazione e della prosecuzione del procedimento quanto della pronuncia di merito» (Cass., sez. VI-I, 12 aprile 2016, n. 7160).


Osservazioni

La sentenza del Tribunale dei minorenni ha fatto puntuale e condivisibile applicazione dei principi sopra esposti al caso affrontato, avendo declinato la propria competenza a favore del Tribunale ordinario ove era già stato incardinato il giudizio di separazione ed evidenziando la stretta connessione tra le ragioni portate a sostegno della domanda di decadenza avanzata dalle stesse parti al Tribunale minorile e la situazione di conflittualità legata alla vicenda separativa già avviata avanti al Tribunale ordinario.

In conclusione, da una combinata lettura delle pronunce della Suprema Corte può ricavarsi un insegnamento che allo stato appare quello forse più rispettoso dell'interpretazione di una norma, la cui formulazione non brilla certo per chiarezza e che sarebbe auspicabile il legislatore intervenisse quanto prima a modificare, come per inciso indicato dalla pronuncia della C. cost. n. 134/2016 che ha dichiarato inammissibile la questione di costituzionalità dell'art. 38, disp. att, c.c. sollevata su tale aspetto dal Tribunale di Firenze.

La Corte di Cassazione giunge a bilanciare il principio di concentrazione delle tutele con quello in ogni caso ritenuto preminente della perpetuactio jurisdictionis e della «conservazione dell'attività processuale svolta a tutela del superiore interesse del minore».

Si determina cioè la deroga alla competenza generale del giudice specializzato (il Tribunale dei minorenni) e la competenza viene attratta al Giudice ordinario per i provvedimenti ex art. 333 e 330 c.c, adottabili anche d'ufficio, nel caso in cui tali domande vengano proposte contestualmente o quando è già in corso il giudizio del conflitto familiare; resta ferma la competenza del Tribunale dei minorenni in tutti i casi in cui i procedimenti de potestate siano già stati avviati presso il giudice specializzato e ciò soprattutto ove siano già state delegate e/o svolte attività istruttorie e/o adottati provvedimenti istruttori e provvisori.

Criterio questo che vale ad evitare la proposizione delle c.d. azioni di disturbo, azioni volte cioè a paralizzare l'efficacia di procedimenti e/o statuizioni non gradite, puntando sulla mancata completa conoscenza delle situazioni pregiudizievoli per i minori da parte dei due uffici giudiziari (Trib. Milano, sez. IX civ., 22 febbraio 2017, App. Catania decreto 26 gennaio 2017).