Diritto di visita e nuovo partner

Francesco Logoluso
09 Luglio 2015

Il presente focus esamina la più recente giurisprudenza di legittimità e di merito con cui è stato superato l'iniziale ostracismo interpretativo in materia di diritto di visita da parte del genitore non collocatario alla presenza del nuovo partner. La Corte di Cassazione, infatti, nel 2009 ha statuito la legittimità di tale visita, con l'unico temperamento rappresentato dalla tutela del supremo interesse del figlio minore, per il quale tale situazione andrà evitata allorché possano derivarne conseguenze deleterie (o anche solo rischi).
Inquadramento

Uno dei più importanti approdi giurisprudenziali in materia di diritto di visita è, senza dubbio, il principio affermato dalla Suprema Corte con la sentenza 9 Gennaio 2009, n. 283, secondo cui il diritto di visita del genitore separato con i figli, che coabitano con l'ex coniuge, non può prevedere il divieto che agli incontri sia presente anche il nuovo partner del padre o della madre, con cui non coabitano.

Questo rilevante principio finisce per intersecarsi con quei diritti che sono stati più volte riconosciuti ed affermati ad appannaggio della famiglia di fatto e più in generale con il diritto del genitore non collocatario di frequentare i figli senza particolari limitazioni e senza pregiudicare il concreto interesse del minore.

Ed è proprio l'interesse supremo del minore a rappresentare il fulcro della complessa questione posta all'attenzione della Suprema Corte, la quale ha ritenuto conciliabile, quanto meno in astratto, il diritto del genitore non collocatario di incontrare i figli anche alla presenza del nuovo partner, con la tutela dell'interesse dei figli che non devono subire alcun pregiudizio da tale tipologia di frequentazione.

Inquadrata la questione, è utile esaminare quali sono state nello specifico le motivazioni che la Suprema Corte ha seguìto per giungere all'affermazione di tale principio generale e quali sono state le ulteriori pronunce sull'argomento.

La sentenza che apre le porte al diritto di visita con il nuovo partner

Il caso posto all'attenzione della Cassazione traeva origine dalla pronuncia del Tribunale di Napoli 4 giugno 2004, con cui il Giudice partenopeo, nel pronunciare la sentenza di separazione tra due coniugi con addebito a carico del marito, affidava la figlia minore alla madre con diritto di visita del padre e divieto per quest'ultimo di incontrare la figlia in presenza della nuova compagna di lui, la cui relazione adulterina, tra l'altro, era stata alla base della crisi coniugale.

Avverso tale pronuncia proponeva appello il coniuge e, a seguito di detto gravame la Corte di Appello di Napoli, accogliendo in parte qua le sue richieste, revocava il divieto di incontro tra la figlia e la convivente.

Tale pronuncia era impugnata nuovamente dallo stesso ex coniuge e con controricorso dalla ex moglie con specifico riferimento anche alla questione afferente alla partecipazione della nuova convivente agli incontri con la figlia.

Il controricorso della coniuge veniva rigettato dalla Suprema Corte, la quale riteneva del tutto condivisibili gli argomenti a cui aveva fatto ricorso la Corte di Appello. In particolare, quest'ultima aveva affermato che se la nuova relazione era ormai “stabile”, la conoscenza della compagna del padre non poteva essere vietata, né poteva avere “effetti negativi” sullo sviluppo “psicofisico” dei figli.

Con la sentenza n. 283 del 9 Gennaio 2009 la Corte di Cassazione ha voluto affrancare il diritto del genitore non collocatario di fare visita ai figli anche in presenza di un nuovo partner, ferma restando la tutela del minore e, nello specifico, del corretto sviluppo psico-fisico dello stesso in un clima di serenità.

L'obiettivo deve essere quello di far sì che possano esserci tutti i presupposti per ricreare una struttura familiare in cui, al di là del legame biologico, possano svilupparsi relazioni interpersonali positive, che possano agevolare la crescita sana ed equilibrata del minore.

Per converso, nel momento in cui il Giudice dovesse accertare, con un adeguato approfondimento istruttorio, che la frequentazione del nuovo partner da parte del figlio possa nuocere in modo significativo al suo benessere psico-fisico o comunque ledere la sua sensibilità, può prevedere un'espressa limitazione al rapporto.

È ovvio che ogni previsione che il Giudice dovesse adottare in punto di frequentazione del figlio, anche da parte del nuovo partner, sarà soggetta alla regola generale del rebus sic stantibus: infatti, è di tutta evidenza che anche tale regolamentazione potrà essere rivisitata allorché dovessero cambiare le circostanze e dovessero svilupparsi nuove dinamiche e “traiettorie” comportamentali tra i figli e il nuovo partner.

Il nuovo partner non è equiparabile al “mero ospite”

Con la sentenza n. 7214 del 21 marzo 2013 la Suprema Corte in materia di famiglia di fatto ha affermato il principio secondo cui il convivente del genitore, il quale abiti con questi in modo permanente, non è qualificabile come mero “ospite”. Infatti, a parere della Cassazione, poiché la famiglia di fatto rientra tra le formazioni sociali che l'art. 2 Cost. considera la sede di svolgimento della personalità individuale, il convivente gode della casa familiare, di proprietà del compagno o della compagna, per soddisfare un interesse proprio, oltre che della coppia, sulla base di un titolo a contenuto e matrice personale, la cui rilevanza sul piano della giuridicità è custodita dalla Costituzione, sì da assumere i connotati tipici della detenzione qualificata.

Su questo presupposto, la Corte di Cassazione ha affermato che, in mancanza di una qualsivoglia forma di pregiudizio per il minore, il genitore, con le opportune cautele, ha diritto di coinvolgere il proprio figlio nella nuova relazione sentimentale, che dà origine a quella famiglia di fatto che costituisce una formazione sociale costituzionalmente riconosciuta e protetta.

Per altro verso, si è sancito il principio per cui il divieto di frequentazione del nuovo convivente del genitore non collocatario, di fatto può trasformarsi in una lesione del diritto di visita ivi compresa la facoltà del pernotto all'interno di un appartamento nel quale il nuovo partner non è da considerare un “mero ospite”, privo di qualsivoglia diritto personale in relazione all'abitazione dello stesso.

Ragionando diversamente dovrebbe ipotizzarsi che il genitore non collocatario debba decidere se convivere con il o la nuova partner ovvero frequentare e pernottare con i figli. Ma questa sarebbe una vera e propria superfetazione logico-giuridica, che configurerebbe una situazione che urta contro quella logica, ampiamente condivisa, di ripristinare un clima di nuova serenità e complessivo equilibrio nel nuovo assetto di relazioni familiari allargate.

La giurisprudenza di merito e gli elementi ostativi alla frequentazione tra il figlio e il nuovo partner

Sulla scia dell'orientamento della Corte di Cassazione, il Tribunale di Milano (sez. IX, sent., 23 marzo 2013) ha affermato che, in assenza di pregiudizio per il minore, e sempre con le opportune cautele, il genitore non collocatario ha diritto di coinvolgere il proprio figlio nella sua nuova e stabile relazione affettiva.

Un aspetto di particolare interesse della sentenza in questione è rappresentato dalla valutazione da parte del Giudice di merito di quelli che possano risultare gli elementi ostativi a tale frequentazione.

In particolare, è interessante notare che la frequentazione tra i figli ed il nuovo partner è stata consentita dal Giudice sulla scorta di un giudizio “negativo” sulle prove che, di contro, si riteneva consigliassero di evitare i suddetti incontri.

Il Giudicante ha osservato che il genitore collocatario – che nel caso di specie si opponeva a tali incontri – non ha allegato alcuna circostanza che si palesasse ostativa a tale frequentazione, ed in particolare che «…non si rintracciano deduzioni in fatto idonee a far ritenere al giudicante che la presenza della nuova compagna potrebbe rivelarsi di pregiudizio (o anche meramente rischiosa) per il minore».

Lo stesso Tribunale milanese ha aggiunto come: «…la relativa istanza si fonda su un assioma privo di sostegno motivazionale e, dunque, si traduce in una mera opinione soggettiva della madre, che non trova riscontro nemmeno nei fatti notori di cui il giudice potrebbe tenere conto a prescindere dalle allegazioni».

Non solo. Ma sempre nella parte motiva della sentenza in commento il Giudice ha rimarcato come «…nella relazione dei Servizi Sociali…gli osservatori esterni danno atto dell'intenzione del padre di poter far frequentare la sua nuova compagna al figlio e si astengono da qualunque giudizio, così non attribuendo all'evento alcun rilievo negativo».

Di talché il Tribunale di Milano è giunto alla conclusione per cui: «…alla luce dello sfoglio probatorio sin qui condotto, manca in modo assoluto, allo stato, alcuna prova o indizio che la frequenza del figlio con la nuova compagna del padre possa nuocere al minore. In assenza di elementi circostanziati che suggeriscano la distanza tra figlio e nuova compagna del genitore, quest'ultima non può essere esclusa dal rapporto di vita del padre con (il figlio)».

Appare di tutta evidenza, pertanto, la sintesi raffinata tra le esigenze di tutela del minore e la salvaguardia dei legittimi diritti della famiglia di fatto.

Il diritto di visita con il nuovo partner nel contesto di una relazione omosessuale

Un'ipotesi di particolare rilevanza che è stata posta all'attenzione dell'interprete è quella che si verifica allorché il genitore non collocatario, all'indomani della crisi coniugale e della separazione dal coniuge, intraprenda una nuova relazione sentimentale, ma con un partner dello stesso sesso.

Quid iuris in questo caso con riferimento alla frequentazione del figlio?

La questione appare di sicuro interesse, atteso che in questo caso vanno adeguatamente valutate da un lato le ragioni di tutela della famiglia di fatto tout court; dall'altro, quelle riconducibili all'opportunità di garantire al figlio una crescita sana ed equilibrata da un punto di vista psicologico e di orientamento sessuale.

Va subito detto che oggi la convivenza è un fenomeno sociale in crescente diffusione e rappresenta uno dei presupposti per identificare la famiglia di fatto (c.d. convivenza more uxorio), tipologia di formazione sociale che, però, per avere rilevanza nel nostro ordinamento deve connotarsi anche per la stabilità, la durata e la solidarietà reciproca.

Tra le forme di convivenza ritenute meritevoli di tutela è da annoverare anche quella tra coppie omosessuali: in tal senso si è pronunciata qualche anno fa la Corte Costituzionale, con una sentenza di indiscutibile pregio giuridico ed avanguardia socio-culturale.

Infatti, i giudici della Consulta con la sentenza n.138 del 15 aprile 2010 – a cui avrebbe fatto seguito la sentenza del 24 giugno 2010 della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (caso Schalk e Kopf contro Austria), secondo cui il diritto al rispetto della vita privata e familiare garantito dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali impone la qualifica di famiglia anche alle unioni formate da persone dello stesso sesso - hanno affermato che, ai sensi di quanto previsto dall'art. 2 Cost., nella nozione di formazione sociale è da annoverare anche l'unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso.

Se, dunque, la famiglia di fatto è meritevole di tutela per il nostro ordinamento anche quando è composta da coppie omosessuali; per altro verso, con riferimento al diritto di visita, va preso in esame l'interesse del minore e va valutato se lo stesso può risultare ipoteticamente “a rischio” allorché il nuovo partner del genitore non collocatario sia dello stesso sesso.

All'uopo, sono di estremo interesse due pronunce di merito, ancorché non più recenti (Trib. Bologna, sez. I civ., 15 luglio 2008; Trib. Napoli 28 giugno 2006), in cui si è affermato che la contrarietà all'interesse del minore non può certo ritenersi insita nella identità omosessuale del genitore, così come non può esserlo nelle «opzioni politiche, culturali, religiose, che pure sono di per sé irrilevanti ai fini dell'affidamento», poiché «l'omosessualità, infatti, e beninteso, è una condizione personale, e non certo una patologia, così come le condotte – relazioni omosessuali non presentano, di per sé, alcun fattore di rischio o di disvalore giuridico, rispetto a quelle eterosessuali».

Se trasliamo questo principio in materia di diritto di visita, si osserva come, usando le parole del Giudice bolognese: «…Il semplice fatto che uno dei genitori sia omosessuale non giustifica – e non consente di motivare – la scelta restrittiva dell'affidamento esclusivo» (e del diritto di visita).

Invero, le valutazioni che il giudice dovrebbe compiere onde, eventualmente, porre dei divieti al diritto di visita del genitore non collocatario alla presenza del nuovo partner - con cui ha instaurato una relazione sentimentale duratura e stabile - sono altre e di ben altro tenore.

Che anzi, proprio nella richiamata sentenza il Tribunale partenopeo, nella parte motiva, tra l'altro, invitava gli operatori del diritto a mettere da parte “stereotipi pseudoculturali, espressione di moralismo e non di principi etici condivisi”, badando solo ed esclusivamente all'interesse di quest'ultimo.

Che anzi, il Tribunale di Bologna, nella indicata pronuncia del Luglio 2008, si spingeva anche oltre, autorizzando il padre a condurre con sé la bambina in vacanza, in una località osteggiata dalla madre in quanto, a suo dire, frequentata esclusivamente da gay e, quindi, pericolosa per l'equilibrio della minore che avrebbe potuto assistere a scene “non adeguate” (sic!).

Il Giudice bolognese, di contro, affermava che questo tipo di pregiudizi e mediocri moralismi non dovevano trovare spazio in tribunale, ove l'idoneità del genitore in rapporto alla tutela dell'interesse dei figli era l'unica questione da affrontare nel decidere dell'affidamento e della frequentazione.

Di qui l'affermazione di principio, secondo cui il genitore omosessuale, salvo non si dimostri di essere persona per altre ragioni inadeguata – non diversamente che un eterosessuale – è non solo genitore meritevole di ottenere l'affidamento condiviso della propria figlia, ma è perfettamente in grado di «rispettare le esigenze e i diritti della figlia, di condurla in ambienti e di garantirle orari e stili di vita adeguati alla sua età» e di «assumere pienamente la responsabilità genitoriale, compito cui è chiamato alla pari della madre».

Tale orientamento della giurisprudenza di merito ha spianato la strada alle più recenti pronunce della Suprema Corte, la quale, in particolare, si è pronunciata in senso favorevole all'affidamento di un figlio al genitore che aveva avviato una relazione omosessuale: nel caso in esame, chi aveva intrapreso una relazione omosessuale era stato, però, proprio il genitore affidatario (Cass. civ., sent., 11 gennaio 2013, n.601). Ancora più di recente il Tribunale di Palermo, con una sentenza di assoluto avanguardismo culturale per il nostro Paese, dimostrando il recepimento di istanze provenienti da una società in continua evoluzione (anche per forme di convivenza), ha ammesso il diritto di visita in capo alla convivente omosessuale con riferimento ad una bambina che l'altra partner – da cui poi si era separata - aveva dato alla luce, nel corso della detta convivenza, con il procedimento di procreazione assistita di tipo eterologo. In particolare il Giudice siciliano ha affermato che «…la relazione “di fatto”, nonostante l'assenza di un rapporto giuridico di parentela, può rientrare nella nozione di vita familiare ai sensi dell'art. 8 CEDU. E, peraltro, valorizzando il criterio guida del superiore interesse del fanciullo, il profilo della discendenza genetica non va più considerato determinante ai fini dell'attribuzione al minore del diritto di mantenere stabili relazioni con chi ha comunque rivestito nel tempo il ruolo sostanziale di genitore, pur non essendo legato da rapporti di appartenenza genetica o di adozione con il minore stesso (cd. genitore sociale). Quando il rapporto instauratosi tra il minore e il genitore sociale è tale da fondare l'identità personale e familiare del bambino stesso, questo rapporto deve essere salvaguardato, alla pari di quanto riconosce oggi l'art. 337-ter c.c. ai figli nei confronti dei genitori biologici. Questa interpretazione evolutiva si impone a maggior ragione nell'ipotesi della separazione personale della coppia omosessuale che abbia convissuto con i figli minori di uno dei due, instaurando un rapporto di genitorialità sociale con l'altro» (Trib. Palermo, sez. I civ., 13 aprile 2015).

Ed allora, se si considera che la convivenza è situazione giuridica di valenza maggiore rispetto al “mero” diritto di visita, laddove la relazione omosessuale dovesse essere avviata dal genitore non collocatario, a maggior ragione non sembra possano configurarsi, almeno in astratto, elementi ostativi al regolare esercizio dello stesso, senza che possano essere frapposti divieti o limitazioni.

Il vero problema sarà rappresentato dalla capacità dei genitori biologici di saper comunicare al figlio il nuovo, ovvero tardivamente disvelato, orientamento sessuale dell'altro genitore.

In conclusione

Il graduale inserimento dei nuovi partners nella vita dei figli di genitori separati corrisponde al loro benessere nel momento in cui la madre ed il padre biologici hanno la sensibilità e la maturità di far comprendere agli stessi che le nuove figure con cui gli stessi hanno instaurato una nuova relazione sentimentale non si sostituiscono né dovranno mai sostituirsi ai genitori.

Su questo approdo socio-pedagogico si sviluppa il nuovo orizzonte giurisprudenziale esaminato, secondo cui il diritto di visita del genitore separato con i figli, che coabitano con l'ex coniuge, non può prevedere il divieto che agli incontri sia presente anche il nuovo partner del padre o della madre con cui non coabitano, anche se con il nuovo partner si sia instaurata una relazione omosessuale.

Infatti, la Suprema Corte, nelle pronunce esaminate, ha affermato il principio per cui la famiglia di fatto è assolutamente compatibile con il diritto di visita tra il genitore non collocatario ed il figlio alla presenza del nuovo partner. Il principio trova temperamento solo nel momento in cui tale frequentazione può determinare conseguenze deleterie (o anche rischi) nella formazione e nella crescita sana ed equilibrata del minore.

All'interprete è demandato, pertanto, il delicato compito di effettuare una valutazionecaso per caso che non deve basarsi sulla pretesa del genitore affidatario contrario “per mera presa di posizione” o sulla presunzione assoluta di lesione del benessere del minore, bensì esclusivamente sull'interesse di quest'ultimo che deve poter subire il minor pregiudizio possibile in conseguenza della disgregazione della sua famiglia d'origine.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario