Falso riconoscimento del figlio, impugnazione e risarcimento del danno
09 Novembre 2016
Massima
Va risarcito il danno non patrimoniale, risentito dal figlio nato al di fuori del matrimonio, a seguito dell'accoglimento dell'impugnazione del riconoscimento, proposta da chi effettuò il riconoscimento stesso nella consapevolezza della mancanza di veridicità; all'uopo il danno deve essere liquidato in via equitativa. Il caso
Un uomo riconosce come propria la figlia che la compagna, poi divenuta moglie, aveva già avuto prima di conoscerlo. Dopo la separazione personale, l'uomo impugna il riconoscimento per difetto di veridicità. La figlia, nel frattempo divenuta maggiorenne, chiede il risarcimento dei danni conseguenti al mutamento dello status. Il Tribunale accoglie la domanda dell'uomo, che però viene condannato a risarcire il danno in favore della figlia, nella misura, liquidata in via equitativa, di € 40.000,00. La questione
La questione affrontata dalla sentenza in commento riguarda la risarcibilità del danno patito da colui che, riconosciuto falsamente come figlio nato fuori del matrimonio, si trovi a mutare lo status, a fronte dell'accoglimento dell'impugnazione del riconoscimento, proposta da chi a suo tempo si dichiarò genitore. Ciò nel presupposto dell'ammissibilità della domanda di impugnazione del riconoscimento stesso. Le soluzioni giuridiche
Come è noto, l'art. 263 c.c. prevede che il riconoscimento di figlio nato fuori del matrimonio possa essere impugnato per difetto di veridicità. L'azione è esperibile dall'autore del riconoscimento, da colui che fu riconosciuto e da tutti coloro che vi abbiano interesse (e, dunque, la legittimazione diverge da quella propria del regime dell'azione di disconoscimento di paternità, per i figli nati all'interno del matrimonio). Prima della riforma della filiazione, di cui alla l. n. 219/2012 e d.lgs. n. 154/2013, l'azione di impugnazione del riconoscimento era imprescrittibile e, dunque, come osserva il Tribunale di Milano, lo status di figlio (in allora “naturale”) poteva essere sempre messa in discussione. In oggi, anche questa azione (come già quella di disconoscimento di paternità) è soggetta a rigorosi termini decadenziali (e non può essere comunque proposta oltre cinque anni dall'annotazione del riconoscimento nell'atto di nascita), salvo che per il figlio, il quale continua a beneficiare del regime di imprescrittibilità. Una delle fattispecie che si è presentata con maggior frequenza all'esame della giurisprudenza, riguarda l'impugnazione di riconoscimenti non veritieri, fatti per compiacenza da chi già sapeva, al momento dell'atto, di non essere il padre biologico del figlio riconosciuto. Le ragioni potrebbero essere le più varie: dall'intento di formalizzare un legame affettivo in essere, sia pur contra jus, piuttosto che altro (nella specie, come risulta dalla sentenza, dalla dedotta finalità di evitare il servizio militare piuttosto che di assecondare le richieste della compagna o della famiglia). In ogni caso quel comportamento può integrare la fattispecie delittuosa contemplata dall'art. 495 c.p.. Parte della giurisprudenza di merito ritiene in questo caso inammissibile la domanda di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, assumendo trattarsi di una revoca del riconoscimento (Trib. Napoli, 11 aprile 2013; Trib. Roma, 17 ottobre 2012). La riforma della filiazione nulla di specifico ha disposto; sta di fatto che l'attuale formulazione dell'art. 263, comma 3, c.c. sembra appieno legittimare l'impugnazione del riconoscimento, effettuato nella consapevolezza della non veridicità, purchè la domanda sia proposta entro un anno dall'annotazione del riconoscimento stesso. La sentenza in esame non aderisce all'indirizzo sopra richiamato ed accoglie la domanda principale dell'attore, ancorchè nella specie non trovi applicazione il testo novellato dell'art. 263 c.c., ratione temporis. Assai sovente alla domanda di impugnazione del riconoscimento di figlio nato fuori del matrimonio, si accompagna quella riconvenzionale (del figlio se maggiorenne o di un suo curatore speciale, se minore) di risarcimento del danno conseguente alla sottrazione dello status acquisito. Si è così formata una giurisprudenza, che riconosce la risarcibilità del danno non patrimoniale arrecato all'identità personale del figlio e alla sua “agenda esistenziale”, in conformità ai nuovi orientamenti interpretativi dell'art. 2059 c.c., in diretta connessione con i diritti fondamentali della persona ex art. 2 Cost., non senza dimenticare, ai fini del risarcimento del danno morale, la già evidenziata rilevanza penale del falso riconoscimento (cfr. in termini Cass.,31 luglio 2015, n. 16222; ma già prima v. Trib. Torino, 31 marzo 1992). Si tratta di un danno, necessariamente da liquidarsi in via equitativa, alla luce di tutti gli elementi della singola fattispecie, come ricorda il Tribunale di Milano. Osservazioni
La sentenza in commento, accertata la mancanza di veridicità del riconoscimento paterno, ritiene ammissibile e fondata la domanda di impugnazione dello stesso, tenuto conto anche dell'adesione della figlia maggiorenne, la quale aveva peraltro chiesto di poter mantenere il cognome acquisito, segno distintivo della sua personalità. Nel contempo evidenzia come nella specie sussistano «tutti gli elementi propri della responsabilità aquiliana: il fatto ingiusto (non jure), il danno, il nesso di causa tra gli stessi, l'elemento soggettivo». Anche l'esercizio di un diritto (potestativo), quale l'azione di riconoscimento di figlio non matrimoniale, può essere fonte di responsabilità extracontrattuale, quando cagioni ad un terzo (il figlio) un danno di maggior gravità, all'interno di una valutazione comparativa degli interessi contrapposti. Nel bilanciamento tra il favor veritatis (l'attribuzione dello status filiationis quale conseguenza di un legame biologico di consanguineità) ed il diritto all'identità personale del figlio, è prevalente quest'ultimo, quando la stessa identità sia stata creata dal genitore con un riconoscimento consapevolmente non veritiero, oggetto di impugnazione. In altri termini, dalla perdita dello status consegue un danno di natura non patrimoniale per il figlio, configurabile pure quando, come nel caso in esame, lo stesso sia autorizzato a mantenere il cognome con il quale è conosciuto ed individuato. Come emerge dalla decisione annotata, problemi non agevoli si pongono in ordine alla quantificazione di tale danno (prettamente di natura non patrimoniale). Osserva al riguardo il Tribunale milanese come esso, unitariamente inteso nelle sue componenti (morale ed esistenziale) non possa che essere liquidato in via equitativa, senza poter fare riferimento ai parametri oggettivi elaborati dalla giurisprudenza quanto ai danni da perdita del rapporto parentale. É indubbia infatti «l'oggettiva diversità del danno conseguente al falso riconoscimento e successiva impugnazione dello stesso dal ben più grave danno conseguente alla morte del familiare (evento quest'ultimo irreversibile)». Proprio in ragione della natura equitativa della quantificazione del danno, sarà necessario tener conto degli elementi fattuali della singola fattispecie, che potrebbero anche dare adito alla liquidazione di un danno biologico, in presenza di una compromissione della salute psico-fisica del figlio, a seguito della privazione dello status. (cfr. Cass. 31 luglio 2015, n. 16222). Il Tribunale perviene così a liquidare il danno nella misura di € 40.000,00, affrontando nel contempo la pertinente questione della “correità” della madre e della nonna della figlia (quantomeno della prima, che aveva dato il suo consenso al riconoscimento della minore, ben sapendo che lo stesso non proveniva dal padre biologico). Osserva all'uopo la sentenza che nell'ambito dell'azione risarcitoria non sussiste litisconsorzio necessario e che dunque la figlia ben poteva richiedere il risarcimento del danno ad uno solo dei genitori. Ciò non esclude un'eventuale azione di regresso in altro e diverso procedimento. In conclusione, può dirsi che la pronuncia esaminata si inquadri in quell'orientamento volto a valorizzare i diritti della persona in caso di mutamento dello status, per fatti addebitabili ad un comportamento contra jus di chi si professi falsamente genitore. |