Il Tribunale si pronuncia a favore del principio di “concentrazione delle tutele”

Antonio Scalera
10 Marzo 2017

La questione che il Tribunale di Roma si trova a dover affrontare riguarda la competenza del giudice ordinario a decidere sulla domanda di decadenza dalla responsabilità genitoriale in pendenza di un giudizio ex art. 316 c.p.c..
Massima

In applicazione del principio della concentrazione delle tutele, l'art. 38 disp. att. c.c., nel testo in vigore dal 1 gennaio 2013, prevede che qualora siano in corso, tra le stesse parti, giudizi di separazione o divorzio o giudizi ai sensi dell'art. 316 c.c., per tutta la durata del processo, la competenza, per i provvedimenti c.d. de potestate (ex artt. 330 e 333 c.p.c.), prima del 2013 attribuiti alla competenza del giudice specializzato, è ora attribuita al giudice ordinario.

Il caso

Una donna ha chiesto che venissero adottati i provvedimenti concernenti l'affidamento ed il mantenimento del figlio minore, nato dalla relazione intrattenuta con un collega di lavoro.

La ricorrente ha esposto che l'uomo, coniugato e padre di due figli, alla nascita del minore si rifiutava di riconoscerlo, e solo a distanza di alcuni anni procedeva al riconoscimento, dopo aver eseguito test genetici attestanti la paternità, senza, tuttavia, adempiere ai doveri nascenti dalla filiazione seppure formalmente diffidato a contribuire al mantenimento e all'educazione del figlio.

Tanto premesso, la ricorrente ha chiesto che venisse disposto l'affidamento esclusivo a sé del figlio, con conseguente collocazione del minore presso l'abitazione materna determinando, previo esperimento dei necessari accertamenti, stante la mancata conoscenza tra il resistente e il minore, le modalità di frequentazione padre figlio e che fosse posto a carico del padre un assegno mensile di € 800,00 quale contributo al mantenimento del minore, oltre al 50% delle spese straordinarie necessarie per il figlio.

La ricorrente ha, inoltre, chiesto la condanna del P. al pagamento della somma di € 67.200,00 a titolo di concorso alle spese dalla stessa sostenute per la crescita e l'accudimento del minore, dalla nascita al momento della proposizione della domanda

Si è costituito il resistente, il quale, preliminarmente, ha dato atto di aver proceduto al riconoscimento del figlio, chiarendo, tuttavia, alla donna di non aver alcuna intenzione di instaurare una relazione personale con il minore per non danneggiare la propria famiglia fondata sul matrimonio.

Ciò posto, il resistente ha chiesto di determinare l'importo a suo carico per il mantenimento del figlio, previo rigetto della domanda della controparte di condanna al pagamento di € 67.200,00 a titolo di concorso alle spese dalla stessa sostenute per il mantenimento del minore dalla nascita, ovvero di rideterminare tale importo tenendo conto degli importi già versati dal P..

Il Collegio, con provvedimento provvisorio, preso atto del rifiuto del padre di conoscere il figlio, ha disposto l'affidamento esclusivo del minore alla madre con collocamento presso la stessa e, valutata la mancanza di rapporti padre-figlio dal momento della nascita e la manifestata indisponibilità del padre ad instaurare una relazione con il figlio, ha richiesto al competente Servizio socio-assistenziale di porre a disposizione del padre un percorso genitoriale per accertare se sussistesse una reale motivazione ad assumere un ruolo paterno.

Quanto agli aspetti connessi al contributo dei genitori al mantenimento del minore è stato posto a carico del padre un assegno mensile di € 800,00 da corrispondere alla ricorrente a decorrere dalla data della domanda, onerando le parti di produrre copia di documentazione reddituale e bancaria (dichiarazioni dei redditi aggiornate e di copia dei conti correnti, conti titoli, e di ogni altra forma di risparmio o investimento intestata o cointestata) degli ultimi tre anni.

Successivamente, il procuratore di parte ricorrente ha rappresentato la mancata ottemperanza da parte del resistente al percorso di avvicinamento al figlio, nonché all'obbligo di corrispondere l'assegno mensile di € 800,00 posto a suo carico per il mantenimento del figlio, chiedendo la trasmissione degli atti al Tribunale dei minorenni affinché venisse disposta ex art. 330 c.c. la decadenza del resistente dalla responsabilità genitoriale sul minore e la corresponsione diretta dell'assegno dovuto dal padre per il mantenimento del figlio da parte del datore di lavoro del P., stante l'inadempienza all'obbligo di corrispondere quanto dovuto.

Fissata apposita udienza per la discussione sull'istanza ex art. 330 c.c., la ricorrente ha insistito nella domanda di decadenza della responsabilità genitoriale e in quella di ordine diretto per il versamento dell'assegno di mantenimento del figlio; il resistente non si è opposto alla domanda di decadenza, ma ha insistito nella domanda di riduzione dell'assegno di mantenimento per il figlio, chiedendone la riduzione ad € 400,00 mensili.

Il Pubblico Ministero, comparso in udienza, ha concluso per la declaratoria di decadenza dalla responsabilità genitoriale del resistente, chiedendo la conferma dell'importo dell'assegno di mantenimento per il figlio posto a carico del padre con il decreto provvisorio e l'ordine diretto di pagamento stante il perdurante inadempimento.

La questione

La questione che il Tribunale capitolino si trova a dover affrontare riguarda la competenza del giudice ordinario a decidere sulla domanda di decadenza dalla responsabilità genitoriale in pendenza di un giudizio ex art. 316 c.p.c..

Le soluzioni giuridiche

Il Collegio romano risolve la questione sopra delineata riconoscendo la competenza del giudice ordinario.

A tal riguardo, l'organo giudicante ha osservato che la novella introdotta con la l. 10 dicembre 2012, n. 219, perseguendo lo scopo di superare le discriminazioni tra figli, con conseguente eliminazione di ogni diverso trattamento sostanziale e processuale nella disciplina dell'affidamento e del contributo al mantenimento dei figli nati fuori da matrimonio, ha introdotto una nuova formulazione dell'art. 38, R.d. 30 marzo 1942, n.318.

In applicazione del c.d. principio della concentrazione delle tutele, l'art. 38 disp. att. c.c., nel testo in vigore dal 1 gennaio 2013, prevede che qualora siano in corso tra le stesse parti giudizi di separazione o divorzio o giudizio ai sensi dell'art. 316 c.c., per tutta la durata del processo, la competenza per i provvedimenti c.d. de potestate (ex artt. 330 e 333 c.p.c.), prima del 2013 attribuiti alla competenza del giudice specializzato, è ora attribuita al giudice ordinario.

Il “principio della concentrazione delle tutele” è stato ritenuto dalla Suprema Corte conseguenze diretta del principio costituzionale di ragionevole durata del processo (Cass.civ., sez. I, 3 aprile 2007, n. 8362), in quanto, oltre a garantire l'emissione di una decisione in tempi più rapidi, tende - come già statuito dal medesimo Tribunale romano - a «scongiurare il rischio di strumentalizzazioni finalizzate a distogliere la decisione dal giudice naturale, rischio che si concretizza con la formulazione di domande solo apparentemente diverse ma nella sostanza fondate sui medesimi elementi fattuali (si pensi ad allegazioni relative a comportamenti pregiudizievoli posti a fondamento sia di richiesta di affidamento esclusivo siadi provvedimenti de potestate); la concentrazione è un valido rimedio per evitare che il minore sia sottoposto all'ascolto, a indagini sulla sua situazione psico-sociale da parte di diverse autorità giudiziarie, ma soprattutto è rimedio necessario per scongiurare il rischio che vengano adottate decisioni di contenuto diverso con pericolo di contraddittorietà di giudicati e intuibili difficoltà al momento dell'esecuzione. A fronte delle diverse opzioni interpretative emerse nella giurisprudenza di merito, e di legittimità (Cass.,ord. 26 gennaio 2015, n. 1349 nella quale è stata affermata la competenza del tribunale ordinario per i procedimenti de potestate; Cass., ord. 12 febbraio 2015 n.2837 nella quale la Suprema Corte ha ritenuto rientrante nella competenza del Tribunale per i minorenni la domanda ex art. 330 c.c.) il Collegio reputa che la norma abbia attribuito al tribunale ordinario la competenza per l'adozione di provvedimenti di decadenza della responsabilità genitoriale, se adottati in pendenza di procedimenti di separazione e divorzio, o di affidamento dei figli nati fuori del matrimonio» (in termini, Trib. Roma, sez I civ., dec. 15 aprile 2016, n. 15322).

Il Collegio, pur consapevole della presenza di orientamenti non concordi sull'interpretazione del novellato art. 38 dip. att. c.c., ritenendo che la scelta del legislatore di attribuire la competenza per i procedimenti ex art. 330 c.c. al giudice ordinario, qualora sia pendente tra le stessi parti giudizio di separazione, divorzio, di modifica delle condizioni di separazione o divorzio, ovvero di affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio, sia idonea a consentire al Pubblico Ministero di partecipare a tali procedimenti, quando sia proposta domanda di decadenza, rivestendo il ruolo di parte, con possibilità di spiegare autonome domande e di proporre impugnazione.

Osservazioni

L'interpretazione dell'art. 38 disp. att. c.c., cui aderisce il Tribunale di Roma è stata già accolta in alcune pronunce di merito (cfr. Trib. Roma, dec. 15 aprile 2016; Trib. Roma, dec. 5 giugno 2015; Trib. Pordenone, dec. 21 maggio 2015; Trib. min. Bari, dec. 30 marzo 2013) ed è conforme a quanto statuito da Cass. civ., ord., sez. VI-1, 26 gennaio 2015, n. 1349 (in Fam. e Dir., 2015, 7, 653, con commento di G. Buffone, Riparto di competenza tra T.O. e T.M. in materia di provvedimenti ablativi: iudicium finium regundorum della Cassazione) ove si legge: «L'art. 38, comma 1, disp. att. c.c. (come modificato dall'art. 3, comma 1, legge 10 dicembre 2012, n. 219, applicabile ai giudizi instaurati a decorrere dall'1 gennaio 2013), si interpreta nel senso che, per i procedimenti di cui agli artt. 330 e 333 c.c., la competenza è attribuita in via generale al tribunale dei minorenni, ma, quando sia pendente un giudizio di separazione, di divorzio o ex art. 316 c.c.., e fino alla sua definitiva conclusione, in deroga a questa attribuzione, le azioni dirette ad ottenere provvedimenti limitativi o ablativi della responsabilità genitoriale, proposte successivamente e richieste con unico atto introduttivo dalle parti (così determinandosi un'ipotesi di connessione oggettiva e soggettiva), spettano al giudice del conflitto familiare, individuabile nel tribunale ordinario, se sia ancora in corso il giudizio di primo grado, ovvero nella corte d'appello in composizione ordinaria, se penda il termine per l'impugnazione o sia stato interposto appello».

Peraltro, l'interpretazione del novellato art. 38, comma 1, disp. att. c.p.c. fornita dalla Suprema Corte ha trovato conferma nelle successive ordinanze Cass. civ., sez. VI-1, 14 gennaio 2016, n. 432 (in Foro Italiano, 2016, 3, I, 860) e Cass. civ., sez. VI-1, 19 maggio 2016, n. 10365.

Occorre, al riguardo, segnalare che Cass. civ., sez. VI-1, 14 ottobre 2014, n. 21633 (in Fam. e Dir., 2015, 2, 105, con nota di Liuzzi, Provvedimenti de potestate e vis actractiva della Suprema Corte) aveva offerto una lettura più restrittiva della norma, affermando che «risponde a una interpretazione logica, oltre che diretta a salvaguardare la coerenza testuale della norma, ritenere, come ha fatto il P.G. nella requisitoria, che l'effetto attrattivo previsto dall'art. 38, si riferisce alla ipotesi della proposizione di un ricorso ex art. 333 c.c. e ai casi in cui l'esame di tale ricorso renda necessaria la pronuncia dei citati provvedimenti e specificamente della decadenza dalla responsabilità genitoriale».

Favorevole a questa soluzione si è mostrata parte della dottrina.

G. Scarselli, La recente riforma in materia di filiazione: gli aspetti processuali, in Il giusto proc. civ., 2013, 676, pur ritenendo tale scelta discutibile, la reputa però chiara sotto il profilo esegetico. Nello stesso senso M. Velletti, Il novellato art. 38 disp. att. c.c. e le ulteriori disposizioni a garanzia dei diritti dei figli, in Nuove leggi civ. comm., 2013, 619. Si tratta della soluzione preferita anche da G. Buffone, Riparto di competenza tra T.O. e T.M. in materia di provvedimenti ablativi: iudicium finium regundorum della Cassazione, op. cit., il quale, nelle conclusioni del suo commento all'ordinanza n. 1349/2015, pur dimostrando di condividere la scelta della Cassazione circa la concentrazione di tutele davanti al giudice ordinario, quantomeno al fine di scongiurare il rischio dell'incertezza sull'individuazione del giudice competente a decidere dei provvedimenti de potestate, mostra, comunque, di preferire la soluzione cui si è fatto riferimento nel testo, distinguendo tra i provvedimenti e i procedimenti de potestate, gli uni eventualmente di competenza del tribunale ordinario, gli altri invece sempre di competenza del tribunale specializzato minorile.

In senso contrario alla vis actractiva del Tribunale Ordinario sui provvedimenti limitativi e/o ablativi della responsabilità genitoriale si segnala Cass.Civ., sez. VI-1, 12 febbraio 2015 n.2837 e Trib. Milano, sent. 11 dicembre 2013.

Guida all'approfondimento

C. M. Cea, Profili processuali della legge n. 219/2012, in Il giusto proc. civ., 2013, 227

G. De Marzo, Novità legislative in tema di affidamento e di mantenimento dei figli nati fuori del matrimonio: profili processuali, in Foro it., 2013, V, 14

G. Impagnatiello, Profili processuali della nuova filiazione. Riflessioni a prima lettura sulla l. 10 dicembre 2012, n. 219, in Nuove leggi civ. comm., 2013, 715 ss.

A. Proto Pisani, La giurisdizionalizzazione dei processi minorili c.d. de potestate, in Foro it., 2013, V, 74

R. Russo, La competenza nei procedimenti de potestate dopo la novella dell'art 38 disp. att. cod. civ; il principio di concentrazione delle tutele e i rapporti tra giudice specializzato e giudice ordinario, in Fam. e Dir., 2014, I, 60

F. Tommaseo, I procedimenti de potestate e la nuova legge sulla filiazione, in Riv. dir. proc., 2013, 563