Il demonio non c’entra: non si può addebitare la separazione se le violazioni non sono consapevoli

Alessandro Simeone
10 Aprile 2017

La separazione può essere addebitata al coniuge solo qualora i comportamenti contrari ai doveri del matrimonio, causa dell'intollerabilità della prosecuzione della convivenza, siano stati assunti in maniera consapevole; consapevolezza che deve ritenersi esclusa qualora proprio il coniuge istante abbia sostenuto in giudizio trattarsi di agìti non voluti effettivamente da chi li ha posti in essere.

Il caso. Tizia e Caio formulano reciproche domande di addebito nel giudizio di separazione. Tizia assume di aver subito in costanza di convivenza violenza economica, avendo il marito gestito in modo autoritario ed esclusivo le risorse di casa”, nonché “violenze morale, psicologiche o fisiche”; Caio chiede l'addebito alla moglie che, a partire dal 2007, avrebbe posto in essere “devastanti comportamenti compulsivi, frutto di ossessione religiosa”.

L'istruttoria orale aveva accertato continui comportamenti della mogliecaratterizzati da violenta convulsione motoria, ore e ore di preghiera, frequentazione sistematica di un frate cappuccino, uso di saio anche per occupazioni domestiche”. Il Tribunale ha però respinto entrambe le domande di addebito.

Per essere causa di addebito i comportamenti contrari al matrimonio devono essere volontari e causa dell'impossibilità di prosecuzione della convivenza. Il Tribunale ha respinto la domanda di addebito del marito, ribadendo un principio costante in giurisprudenza «la dichiarazione di addebito della separazione implica la imputabilità al coniuge del comportamento, volontariamente e consapevolmente contrario ai doveri del matrimonio» (Cass. n. 25843/2013); nel caso di specie, per i giudici milanesi, non vi era alcun dubbio che i comportamenti della donna, assolutamente provati, fossero difficilmente compatibili con i doveri nascenti dal matrimonio” e che avessero causato la frattura coniugale (c.d. nesso di causalità); pur tuttavia si trattava di comportamenti che lo stesso marito aveva assunto non essere stati volontariamente posti in essere dalla donna; difettando la consapevolezza e, dunque, l'imputabilità, la richiesta di addebito non poteva che essere respinta.

Inaccoglibile anche la domanda di addebito formulata dalla donna giacché: i) l'asserita violenza economica era, in realtà, inesistente; ii) gli episodi rubricati come “violenza morale o psicologica” tali non potevano qualificarsi; iii) gli episodi di violenza fisica non risultavano provati e, in ogni caso, erano collocati successivamente alla crisi coniugale, così difettando il nesso di causalità.