Affido condiviso non praticabile: la risposta della giurisprudenza alla gestione del conflitto
10 Novembre 2016
Il quadro normativo
Nella crisi familiare l'autorità giudiziaria è investita, in virtù dell'art. 337-ter c.c., della soluzione dei conflitti genitoriali: secondo l'opinione preferibile soltanto di quelli in ordine alle questioni di maggiore interesse per il minore (così Trib. Milano, sez. IX civ., 23 marzo 2016; Trib. Milano, sez. IX, 9 luglio 2015), mentre, ad avviso di altro orientamento, indistintamente di tutte le controversie relative all'affidamento (v. Cass. 22 ottobre 2010, n. 21718). La prima tesi appare preferibile, tenuto conto della formulazione della disposizione in esame, in cui l'intervento giudiziario - sostitutivo ai genitori nell'esercizio della loro responsabilità - è previsto subito dopo la prescrizione della regola decisionale per i problemi di maggiore importanza, che altrimenti non avrebbe avuto senso esplicitare in modo così solenne. Del resto, il giudice non disporrebbe di alcun criterio giuridico per decidere polemiche banali e di dettaglio, come il taglio dei capelli o l'acquisto di un gelato. Relativamente a tale tipologia di controversie può osservarsi che:
Una parte della dottrina ha avanzato forti perplessità sull'opportunità della previsione legislativa di cui all'art. 337-ter c.c. (prima art. 155 c.c.), in base alla quale, nelle famiglie in crisi, il giudice si sostituisce ai genitori nell'esercizio della loro responsabilità, adottando le decisioni di maggior interesse in loro vece, a differenza di quanto avviene nelle famiglie non disgregate, ove l'intervento esterno consiste nella mera individuazione del genitore più idoneo alla decisione. In effetti, l'eventuale conflitto tra genitori viene risolto con le stesse modalità di cui all'art. 316 c.c., addirittura in via preventiva e generale, nelle ipotesi di affido esclusivo rafforzato o super – esclusivo, in cui il provvedimento giudiziario, come oggi espressamente consentito dall'art. 337-quater, comma 3, c.c. riserva anche le decisioni di maggiore interesse al solo genitore affidatario, data l'inidoneità, l'assenza, il disinteresse o addirittura l'irreperibilità dell'altro (ad esempio, nel provvedimento del Trib. Roma, 13 dicembre 2013, si legge «il padre della minore è irreperibile, ciò impone di prevedere che l'esercizio della responsabilità genitoriale in tutte le sue componenti debba essere attribuito in via esclusiva alla madre alla quale sarà demandata ogni decisione sulla cura, l'istruzione l'educazione, la salute, la residenza abituale della figlia, al padre residueranno solo obblighi di vigilanza»). L'affido esclusivo comporta, difatti, la tendenziale partecipazione del genitore non affidatario nelle decisioni di maggiore interesse per la vita del figlio, che costituiscono il nucleo essenziale della responsabilità genitoriale. Risulta, tuttavia, giustificata la deroga a tale regola ove l'esclusione del genitore dall'affidamento sia dovuta ai suoi comportamenti gravemente pregiudizievoli per il minore o ad una sua assoluta impossibilità partecipativa (si pensi ad un'importante patologia). Alla luce della difficoltà di gestire la conflittualità genitoriale, che, peraltro, si traduce spesso in un pregiudizio per il minore, stanno emergendo prassi che tendono al superamento del conflitto con modalità alternative all'intervento dell'autorità giudiziaria. L'attribuzione delle decisioni di maggiore interesse ad un solo genitore
Esistono precedenti di merito che concentrano alcune decisioni di maggior interesse - in via preventiva e generale - in capo ad uno solo dei genitori, nonostante l'affido condiviso: in particolare v. due decisioni del Trib. Roma 3 luglio 2015, l'una che ha riservato alla mamma tutte le scelte relative alla dislessia del figlio, documentata con certificati medici, ma negata e non accettata dal padre, al fine di evitare che le resistenze paterne si traducano in uno stallo decisionale con effetti pregiudizievoli; l'altra che attribuisce in via esclusiva alla madre la decisione di sottoporre il minore a percorso psicoterapeutico, anche senza il consenso del padre, ma pur sempre con costi a carico di entrambi nella misura del 50%, a condizione di indicazioni in tal senso dei Servizi sociali ovvero del pediatra. Invero, non sembrano potersi nutrire dubbi circa la legittimità di tali soluzioni, che non esautorano il genitore affidatario dalla sua responsabilità genitoriale relativamente alla salute del figlio, ma piuttosto risolvono un contrasto limitato ad una specifica problematica, suscettibile, però, di determinare una serie indefinita di questioni di dettaglio nella vita quotidiana. Del resto, viene seguito il modello di cui all'art. 316 c.c. e, cioè, viene individuato il genitore più idoneo, rispetto al singolo caso, a curare l'interesse del figlio. Tale possibilità, pur non essendo espressamente prevista con riferimento alla crisi familiare, non appare preclusa, consistendo, pur sempre, nel superamento del contrasto con modalità non suppletive dei genitori, ma anzi rispettose della loro genitorialità. Difatti, l'obiettivo perseguito dal legislatore è la composizione del conflitto e non certamente la sostituzione del giudice ai genitori. A ciò va aggiunto che, di regola, il giudice decide aderendo alla proposta di uno dei due genitori, il che, nella sostanza, non presenta differenze dal conferire allo stesso il potere decisionale. L'attribuzione delle decisioni di maggiore interesse ai Servizi Sociali o ad un terzo
Di fronte ai casi di conflittualità più esasperata dei genitori, caratterizzata dalla molteplicità delle istanze, spesso relative a questioni banali e di dettaglio, sta emergendo in alcuni uffici giudiziari la prassi di procedere all'affidamento del minore ai Servizi Sociali, pur preservandone la collocazione presso un genitore e la frequentazione con l'altro. In questo senso si sono pronunciati:
In proposito va ricordato che, anche dopo la l. n. 54/2006, nonostante l'eliminazione della espressa previsione della eventuale collocazione presso terzi o presso un istituto di educazione, si è sempre ritenuto ammissibile, nelle situazioni più gravi, l'affidamento dei minori ai Servizi Sociali territorialmente competenti (in questo senso, cfr. Cass., sez. I, 22 maggio 2014, n. 11412, che ha confermato la sentenza con cui è stato disposto l'affidamento del minore al Servizio Sociale, in ragione della consumata violazione del suo diritto alla bigenitorialità e della conflittualità in atto tra i genitori, essendo competente il giudice della separazione, anche ultra petitum, ad assumere i provvedimenti relativi alla prole, con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale di essa). Deve, inoltre, aggiungersi che l'art. 38 disp. att. c.c., nell'attuale formulazione, espressamente attribuisce, ove sia in corso un giudizio di separazione o divorzio o ex art. 316 c.c. e per tutta la durata del processo, al competente tribunale ordinario l'adozione dei provvedimenti di cui agli artt. 330 e 333 c.c., che possono incidere, limitandola, sulla responsabilità genitoriale e che di regola, invece, ricadono nella competenza del tribunale per i minorenni. In particolare, l'art. 333 c.c. lascia ampia discrezionalità all'autorità giudiziaria nell'individuazione della soluzione adeguata al caso di specie, prevedendo in modo generico l'adozione dei provvedimenti convenienti di fronte alle condotte che non siano tali da dare luogo alla decadenza di cui all'art. 330 c.c., ma siano comunque pregiudizievoli. Tale peculiare regime di affidamento ad un ente pubblico, disgiunto dalla collocazione del minore, non appare, pertanto, precluso (già in passato App. Milano 30 marzo 2001). Si tratta, però, di una scelta che, sebbene risulti giuridicamente ammissibile, crea una serie di problemi collegati, da un lato, alla ripartizione dei poteri tra i soggetti coinvolti nella cura ed educazione del minore e, dall'altro, alla tutela dei genitori rispetto all'autorità amministrativa, investita di significativi poteri d'intervento. É, tuttavia, possibile che nella pratica il modulo suggerito risulti proficuo, in quanto i Servizi Sociali dovrebbero riuscire a seguire e supportare la famiglia - in modo forse più adeguato del giudice - considerata la loro presenza sul territorio e le specifiche competenze non giuridiche, ma psicologiche e sociali. Ciò induce, comunque, ad una riflessione sull'importanza del corretto funzionamento e del potenziamento di tali strutture e probabilmente anche sull'opportunità di allontanare, pur conservando le adeguate tutele giudiziarie, alcuni conflitti familiari dalle aule dei tribunali ed, in particolare, di rimettere la soluzione delle problematiche concernenti la crescita e l'educazione dei minori a personale specializzato in tale settore. Difatti, l'affidamento ai Servizi Sociali, come configurato nei provvedimenti in esame, si traduce in una modalità di risoluzione dei contrasti che possono insorgere relativamente alle questioni di maggiore interesse, atteso che, di solito, l'esercizio della responsabilità genitoriale limitatamente alle questioni di ordinaria amministrazione viene rimesso ai genitori separatamente. In pratica, da un lato, si cerca di prevenire il contrasto, paventando l'intervento dei Servizi Sociali, e dall'altro, lo si risolve fuori degli uffici giudiziari. Sicuramente questo peculiare regime si traduce in una limitazione della responsabilità genitoriale, i cui confini non risultano, però, di facile individuazione. In particolare, sorge il dubbio sulle sorti dell'usufrutto legale di cui all'art. 324 c.c. e della rappresentanza del minore, di cui all'art. 320 c.c., nelle questioni patrimoniali. L'aspetto de quo dovrebbe probabilmente essere affrontato espressamente, stante il possibile adattamento ex art. 333 c.c. del comando giudiziale alla situazione concreta, in cui l'inidoneità dei genitori è collegata soprattutto alla crescita del minore e non necessariamente all'amministrazione dei suoi beni. L'art. 334 c.c. dimostra, peraltro, che la rimozione dall'amministrazione è una sanzione autonoma, il cui presupposto specifico è costituito dalla mala amministrazione. Merita, infine, di essere segnalato il recente provvedimento del Tribunale di Roma, 2 settembre 2015, che ha disposto la sospensione della responsabilità di entrambi i genitori in considerazione delle condotte gravemente pregiudizievoli nei confronti della figlia e l'affidamento della minore, collocata presso un collegio scolastico, oltre che al responsabile del Servizio Sociale, ad un avvocato, a cui è stato attribuito l'esercizio esclusivo della responsabilità genitoriale per tutte le questioni ordinarie, straordinarie e di particolare rilevanza, attinenti alle scelte scolastiche, medico sanitarie, ludico ricreative, sportive etc., con esclusione da tali scelte dei genitori, salva la necessità di condivisione con il responsabile del Servizio Socio assistenziale. L'efficace funzionamento di tale modello, verosimilmente adatto alla situazione concreta, in cui la minore frequentava un collegio – liceo ed in cui, quindi, non era collocata presso i genitori, dovrà, però, essere verificato e dipenderà, in larga parte, dall'impegno e dalla dedizione dell'affidatario prescelto, il quale, pur non percependo alcun compenso, è onerato della gestione, anche economica, di tutti i problemi della minore, con anticipazione a suo carico delle spese, da recuperare successivamente dai genitori. Appare, dunque, indispensabile l'affidabilità e la disponibilità del soggetto nominato quale affidatario, il quale, in applicazione analogica dell'art. 348, u.c., c.c., deve essere persona idonea all'ufficio, d'ineccepibile condotta e che dia affidamento di educare e istruire il minore conformemente a quanto prescritto dall'art. 417 c.c. In caso di diffusione di simili moduli, sembrerebbe opportuno precisare i criteri di scelta dell'affidatario, se possibile, seguendo le indicazioni dell'art. 348, commi 2 e 3, c.c. Le prescrizioni terapeutiche
Il superamento della conflittualità tra i genitori, onde prevenire i contrasti che richiedano l'intervento del giudice ex art. 337-ter c.c., potrebbe essere facilitato da un percorso di tipo terapeutico. L'art. 337-octies c.c. (già art. 155-sexsies c.c.) prevede la possibilità che il giudice, sentite le parti ed ottenuto il loro consenso, rinvii l'adozione dei provvedimenti relativi ai minori al fine di consentire ai genitori, avvalendosi di esperti, di tentare una mediazione per raggiungere un accordo. Il sostegno psicologico risulta, dunque, oggetto di disciplina solo se effettuato nel corso del procedimento. La necessità del consenso delle parti si giustifica, in tale caso, non solo in virtù dell'art. 32, comma 2, Cost., ma anche dell'art. 111 Cost., atteso che l'invito e l'effettivo svolgimento della mediazione comporta uno slittamento dei tempi processuali e, quindi, incide sulla ragionevole durata del processo, dalla cui violazione possono derivare oneri economici per lo Stato. Resta, invece, incerto se, con il provvedimento conclusivo del procedimento, possa imporsi o suggerirsi ai genitori un percorso terapeutico per superare la conflittualità esistente ed, in questo modo, assumere concordemente le decisioni nell'interesse dei figli. In senso positivo sono orientati il Tribunale Roma (v., da ultimo, provvedimento del 13 novembre 2015), secondo cui la prescrizione di un percorso terapeutico non si traduce nella violazione della libertà personale delle parti, in quanto si tratta di una facoltà, prevista nell'interesse dello stesso soggetto onerato, il cui mancato esercizio è privo di conseguenze sanzionatorie personali, ricadendone semmai gli effetti sul regime di affido applicabile, ed è insuscettibile di esecuzione coattiva trattandosi esclusivamente della condizione posta dal giudice per la realizzazione della bi genitorialità e del superiore interesse all'equilibrata crescita del minore; Trib. Milano, sez. IX civ, 15 luglio 2015, secondo cui il giudice ha il potere di onerare i genitori di percorsi di supporto di tipo psicologico e terapeutico se necessari per la sana crescita del minore, atteso che la libertà costituzionale di autodeterminazione e di scelta circa la salute dell'individuo, che è anche genitore, incontra un limite nel diritto del minore ad un equilibrato sviluppo, fondato non solo sulla Costituzione, ma anche sulle convenzioni comunitarie e internazionali, sicché l'inottemperanza all'invito giudiziale rivolto ai genitori può avere delle conseguenze ove si traduca in comportamenti pregiudizievoli per il figlio, come si ricava inequivocabilmente dagli artt. 337-ter e 333 c.c. Tale orientamento della giurisprudenza di merito si pone consapevolmente in contrasto con quello della giurisprudenza di legittimità, di cui è espressione Cass., 1 luglio 2015, n. 13506, secondo cui la prescrizione ai genitori di un percorso psicoterapeutico individuale e di un altro, da seguire insieme, di sostegno alla genitorialità, comporta comunque, anche se ritenuta non vincolante, un condizionamento, per cui è in contrasto con gli artt. 13 e 32, comma 2, Cost., atteso che, mentre l'intervento per diminuire la conflittualità, richiesto dal giudice al servizio sociale, è collegato alla possibile modifica dei provvedimenti adottati nell'interesse del minore, quella prescrizione è connotata dalla finalità, estranea al giudizio, di realizzare la maturazione personale delle parti, rimessa esclusivamente al loro diritto di autodeterminazione. Ad ogni modo, si esclude che l'omessa attivazione di un percorso terapeutico possa essere sanzionata ex art. 709-ter c.p.c., giustificandosi l'eventuale modifica del regime di affido solo in presenza di condotte pregiudizievoli per la prole, che non possono identificarsi in sé nell'inottemperanza all'invito. Del resto, l'eventuale avvio da parte dei genitori di un percorso psico - terapeutico individuale o di coppia, se non fondato sulla convinta e sincera volontà di cura, risulta di scarso ausilio per il paziente. In conclusione
Il compito di cui è investito il giudice della crisi familiare risulta particolarmente delicato e gravoso, atteso che i conflitti genitoriali non si traducono in ordinarie controversie da risolvere in base a regole giuridiche, ma piuttosto al buon senso, con un approccio attento e sensibile alle specifiche dinamiche e alle concrete situazioni e consapevole dell'impatto psicologico di decisioni destinate ad incidere nella vita quotidiana delle persone, non solo dei figli, ma anche dei genitori, i quali devono farsi carico di tutti gli aspetti pratici ed organizzativi. Invero, occorrerebbe tenere conto che nelle questioni esistenziali che riguardano il minore spesso non vi sono scelte giuste o sbagliate, ma piuttosto che rendono sereni o che portano disagio e turbamento, sicché appare verosimilmente più proficuo, rispetto all'etero – imposizione, attribuire la decisioni al genitore che appare più in grado di gestire la situazione. Di fronte alla conflittualità esasperata e pregiudizievole per la prole, i percorsi alternativi elaborati dalla giurisprudenza ne dimostrano la profonda difficoltà: si pensi al ricorso ai Servizi sociali, che, purtroppo, in molte realtà territoriali non presentano struttura e competenza adeguate al ruolo di cui vengono investiti, o al tentativo delle prescrizioni terapeutiche che, però, senza la collaborazione dei soggetti coinvolti, sono destinate all'insuccesso. |