Scioglimento del matrimonio contratto all'estero: divorzio diretto in Italia

Marta Rovacchi
11 Gennaio 2016

Il divorzio cd. diretto può essere domandato da uno dei due coniugi nei casi in cui l'altro coniuge, cittadino straniero, abbia ottenuto all'estero lo scioglimento del matrimonio, laddove quest'ultimo provvedimento si sia formato in modo unilaterale.
Massima

Il divorzio cd. diretto può essere domandato da uno dei due coniugi nei casi in cui l'altro coniuge, cittadino straniero, abbia ottenuto all'estero lo scioglimento del matrimonio, laddove quest'ultimo provvedimento si sia formato in modo unilaterale su mera domanda del cittadino non italiano con violazione dei diritti di difesa del coniuge italiano.

Il caso

Un cittadino tunisino ed una cittadina italiana hanno contratto matrimonio in Tunisia.

L'atto di matrimonio è stato regolarmente trascritto nei registri dello Stato Civile del Comune di Milano.

In seguito alla rottura de rapporto affettivo, il marito ha chiesto e ottenuto dal Tribunale Tunisino pronuncia di divorzio “per volontà unilaterale del marito”.

Successivamente, dopo circa un anno, i coniugi hanno presentato avanti al Tribunale di Milano ricorso per la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto dalle parti con la conseguente regolamentazione dei rapporti genitoriali, personali e patrimoniali.

Con l'atto depositato avanti l'intestato Tribunale milanese, il ricorrente ha ritenuto che sussista l'interesse ad agire anche dell'ex moglie per fare valere la sentenza straniera come prova della definitiva cessazione della comunione spirituale e materiale tra i coniugi.

Da parte sua, la ricorrente, con il ricorso introduttivo, ha inteso fare valere l'ipotesi di cui all'art. 3 n. 2 lett. e) l. n. 898/1970.

Tale fattispecie prevede che lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio possa essere domandato da uno dei coniugi quando l'altro coniuge, cittadino straniero, abbia ottenuto all'estero l'annullamento o lo scioglimento del matrimonio o abbia contratto all'estero nuovo matrimonio.

La questione

Le questioni giuridiche sottese alla soluzione del caso sono molto interessanti ed il loro esame risulta imprescindibile ai fini di una corretta interpretazione della norma.

Infatti, il primo elemento giuridico da tenere in considerazione è che, nel caso di specie la sentenza del giudice straniero non è contestata da alcuna delle parti ai sensi dell'art. 30 d.lgs n. 150/2011, a sua volta richiamato dall'art. 67 l. n. 218/1995 in ordine alle controversie aventi ad oggetto il riconoscimento e l'attuazione delle sentenze e dei provvedimenti stranieri di giurisdizione volontaria.

A questo proposito ricordiamo che l'art. 30 sopra citato stabilisce che le controversie aventi ad oggetto l'attuazione di sentenze e provvedimenti stranieri di giurisdizione volontaria di cui all'art. 67 l. 31 maggio 1995, n. 218, sono regolate dal rito sommario di cognizione e che la competenza è quella della Corte d'Appello del luogo di attuazione del provvedimento.

A ben vedere, osserva il giudice milanese, nel giudizio in questione resta comunque salva la possibilità di rilevare l'inefficacia del provvedimento straniero nell'ordinamento italiano per contrasto con l'ordine pubblico.

Ciò grazie al comma 3 dell'art. 67 l. n. 218/1995 che testualmente recita «se la contestazione ha luogo nel corso di un processo, il giudice adito pronuncia con efficacia limitata al giudizio».

Non vi è dubbio, infatti, seguendo il ragionamento del giudice milanese, che se la pronuncia di divorzio del giudice tunisino fosse pienamente efficace anche in Italia, le parti avrebbero già acquisito lo stato libero.

E tale efficacia non sarebbe nemmeno inficiata dalla eventuale mancata trascrizione del provvedimento di divorzio negli uffici dello Stato Civile, in quanto è noto che la trascrizione non ha efficacia costitutiva e, quindi, non incide sul riconoscimento, nel nostro territorio, degli effetti del giudizio straniero.

Da quanto fin qui esposto, consegue che il ricorso divorzile su domanda congiunta avanzato dalle parti si dovrebbe ritenere inammissibile per carenza di interesse ad agire delle parti ai sensi e per gli effetti dell'art. 100 c.p.c..

Diverso, sarebbe, invece, se la sentenza tunisina fosse in contrasto con l'ordine pubblico interno: in quest'ultimo caso, infatti, si dovrebbe applicare la lett. e) dell'art. 3 n. 2 l. n. 898/1970 che prevede la possibilità del ricorso nel nostro territorio al divorzio cosiddetto diretto.

Questa norma è dalla dottrina prevalente interpretata nel senso di ammettere il divorzio diretto nei casi in cui il coniuge cittadino italiano abbia subito la scelta unilaterale dell'altro coniuge straniero di liberarsi dal vincolo matrimoniale ricorrendo al giudice straniero con la conseguente applicazione della legge colà vigente.

Le soluzioni giuridiche

Il Tribunale di Milano, nell'esaminare e valutare le suddette norme e le indicate interpretazioni giuridiche dottrinali, ha fondato la propria decisione basandosi su questo iter argomentativo: l'istituto del divorzio diretto, richiesto su pronuncia di divorzio ottenuta dal coniuge straniero all'estero, presuppone un provvedimento formatosi all'estero in modo unilaterale su semplice domanda del cittadino straniero, in palese violazione del diritto di difesa del coniuge italiano.

In questo caso, dunque, il Giudice Italiano, appurata la non riconoscibilità della sentenza straniera, sarebbe legittimato a pronunciare direttamente in Italia lo scioglimento del vincolo.

Ne consegue che l'istituto del divorzio diretto non è utilizzabile nel caso in cui il coniuge italiano abbia partecipato al giudizio straniero di divorzio utilizzando ed avvalendosi delle garanzie previste dalla legislazione straniera. In tale ipotesi, in altre parole, non sarebbe ammissibile il ricorso al divorzio ex art. 3 comma 2 lett. e).

In buona sostanza, l'interpretazione dell'art 3 comma 2 lett. e) che i giudici milanesi hanno adottato nel decreto in commento, è quella secondo la quale il divorzio c.d. diretto è ammesso nel caso in cui il coniuge italiano sia stato escluso dal processo straniero “subendo il divorzio” a causa della domanda unilaterale dell'altro.

Ma a ben vedere, dagli atti di causa del giudizio oggetto del decreto milanese, è emerso che nel processo di divorzio avanti il tribunale tunisino, la moglie, alla quale era stata notificata regolarmente a mezzo ufficiale giudiziario la citazione del marito, è stata anche assistita da un avvocato.
Irrilevante, dunque, rispetto alla regolare costituzione del contradditorio, è che la stessa non sia poi successivamente comparsa personalmente nel processo.

Nel caso di specie non si può dunque parlare di “divorzio subito” nel senso sopra spiegato, limitandosi la moglie ad assumere il ruolo di “convenuto” in giudizio su iniziativa processuale del marito, secondo le comuni regole processuali.

Conseguentemente, con il decreto quivi in esame, il Tribunale milanese ha ritenuto applicabile alla fattispecie l'art. 101 comma 2 c.p.c., con la conseguenza della sollevazione d'ufficio della questione di ammissibilità della domanda.

Alle parti è stato quindi assegnato un termine per la presentazione di eventuale memoria difensiva con contestuale fissazione di altra successiva udienza per la decisione.

Osservazioni

Il corretto inquadramento della questione, ha permesso al Giudice estensore di effettuare alcuni utili chiarimenti in ordine a fattispecie coniugali con elementi di estraneità ed il loro collegamento con la procedura divorzile nazionale disciplinata dalla l. n. 898/1970.

Il primo elemento che il nostro sistema di diritto internazionale privato è chiamato a valutare è rappresentato dall'eccezione dell'ordine pubblico, che obbliga il giudice a non riconoscere le sentenze estere che produrrebbero effetti incompatibili con i principi fondamentali dell'ordinamento italiano.

Ricordiamo, a questo proposito, che l'art. 64 l. n. 218/1995 detta i requisiti indispensabili affinché la sentenza straniera sia riconosciuta in Italia direttamente e senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento. Tra questi requisiti, la lettera b) richiede che l'atto introduttivo del giudizio sia stato portato a conoscenza del convenuto in conformità a quanto previsto dalla legge del luogo dove si è svolto il processo e non siano stati violati i diritti essenziali della difesa.

Ancora più specificamente, l'art. 65 l. n. 218/1995 stabilisce che «hanno effetto in Italia i provvedimenti stranieri relativi alla capacità delle persone nonché all'esistenza di rapporti di famiglia o di diritti della personalità quando essi sono stati pronunciati dalle autorità dello Stato la cui legge è richiamata dalle norme della presente legge o producono effetti nell'ordinamento di quello Stato, anche se pronunciati da autorità di altro Stato, purché non siano contrari all'ordine pubblico e siano stati rispettati i diritti essenziali della difesa».

Questo requisito attiene al cosiddetto “ordine pubblico processuale”, ovvero alla verifica della sussistenza, ai fini della riconoscibilità di una sentenza straniera di divorzio in Italia, di tale presupposto in riferimento ai diritti irrinunciabili della difesa di cui agli artt. 24 e 11 Cost. Trattasi, in altre parole, di esaminare da parte del Giudice se il cittadino italiano abbia potuto godere, nel giudizio straniero del “giusto processo”.

Con la precisazione che il concetto di ordine pubblico processuale è riferibile ai principi inviolabili posti a garanzia del diritto di agire e di resistere in giudizio, non anche alle modalità con cui tali diritti sono regolamentati o si esplicano nelle singole fattispecie.

E' dunque sulla base di tali principi che il giudice milanese ha ritenuto insussistente, nel caso di specie, la violazione dell'ordine pubblico processuale: dagli atti di causa, è infatti, emerso che alla moglie il ricorso per divorzio avanti il tribunale tunisino era stato regolarmente notificato e che la stessa si era avvalsa della rappresentanza di un difensore.

Ne consegue che, posta la carenza dell'interesse ad agire delle parti di cui all'art. 100 c.p.c, lo strumento rimediale che le stesse potrebbero e sarebbero legittimate ad utilizzare è quello di cui all'art. 9 l. div., secondo il quale qualora sopravvengano giustificati motivi dopo la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il Tribunale in camera di consiglio può, su istanza di parte, disporre la revisione delle disposizioni concernenti l'affidamento dei figli e di quelle relative alla misura e alle modalità dei contributi da corrispondere, nonché quello previsto dall'art. 337 quinquies c.c. secondo cui i genitori hanno diritto di chiedere in ogni tempo la revisione delle disposizioni concernenti l'affidamento dei figli, l'attribuzione dell'esercizio della responsabilità genitoriale su di essi e delle eventuali disposizioni relative alla misura e alla modalità del contributo.

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