Presupposti e requisiti dell'unione civile

Alberto Figone
16 Maggio 2016

Per attribuire giuridica rilevanza alla relazione affettiva intercorrente fra persone del medesimo sesso, è stato introdotto nel nostro ordinamento l'istituto dell'unione civile. Si esaminano pertanto quali siano le condizioni per costituire un'unione civile; nel contempo, sulla scorta della tradizionale distinzione fra atto e rapporto, si effettua un preliminare raffronto tra la nuova disciplina e quella matrimoniale.
Una premessa

All'esito di un dibattito parlamentare lungo ed articolato, lo scorso 11 maggio è stato approvato definitivamente dalla Camera dei Deputati il ddl C.3634 che ha istituito l'unione civile tra persone dello stesso sesso quale “specifica formazione sociale”, costituzionalmente rilevante ai sensi degli artt. 2 e 3. Contrariamente a quanto previsto da altre legislazioni, anche di Paesi membri dell'Unione Europea e del Consiglio d'Europa, il legislatore italiano non ha inteso ammettere al matrimonio le persone dello stesso sesso, ma ha creato un nuovo istituto giuridico, parallelo al matrimonio stesso, sul modello di quanto previsto dall'ordinamento tedesco, già intervenuto al riguardo nel 2001. Del resto, la stessa Corte EDU, pur riconoscendo anche alle persone dello stesso sesso il diritto a contrarre matrimonio ai sensi dell'art. 12 CEDU, ha lasciato alla discrezionalità dei singoli Stati il potere di legiferare in materia, con la specificazione che anche l'unione same sex deve comunque godere della tutela della vita familiare, di cui all'art. 8 della CEDU medesima, (Corte EDU 24 giugno 2010, Schalk e Kopf c. Austria). Una regolamentazione delle unioni civili fra le persone dello stesso sesso era quindi indifferibile, dopo le condanne all'Italia da parte della citata Corte (Corte EDU 21 luglio 2015, n. 36030/11; 21 luglio 2015, n. 18766/11) ed i solleciti della Corte costituzionale, per cercare di eliminare (ovvero attutire) inaccettabili discriminazioni basate sull'orientamento sessuale nella costituzione di una famiglia (cfr. in particolare C. cost., 11 giugno 2014, n. 170). Al pari del matrimonio, la nuova legge non fornisce una definizione dell'unione civile, che peraltro può qualificarsi come la relazione ufficializzata di natura affettiva, intercorrente tra due persone maggiorenni dello stesso sesso, che si estrinseca in una convivenza, connotata da un progetto comune di vita e dalla reciproca assistenza morale e materiale.

Introduzione alla nuova legge

L'unione civile per molti aspetti dà luogo ad un vincolo, analogo al matrimonio. Essa infatti determina la costituzione di uno status familiare, che impedisce a ciascuna delle parti di contrarre matrimonio, pena la ricorrenza del reato di bigamia, pure configurabile ove fosse costituita un'unione civile da un soggetto, già unito in matrimonio con altra persona. Nel contempo essa pare rappresentare un minus rispetto al matrimonio. Di tanto si ha conferma nel fatto che, proprio in aderenza a quanto affermato dalla Consulta con la pronuncia da ultimo richiamata, in caso di mutamento di sesso di uno degli sposi, il matrimonio si converte in unione civile, quando entrambi i coniugi abbiano manifestato la volontà di mantenere in essere il vincolo; di contro, la sentenza di rettificazione di sesso di uno dei componenti dell'unione civile ne determina lo scioglimento. In quest'ultimo caso, le parti, se lo vorranno, potranno allora contrarre matrimonio (cfr. commi 26 e 27 art. 1).

Il testo originario del disegno di legge n. 2081, antecedente al c.d. maxiemendamento approvato dapprima dal Senato e poi dalla Camera, si componeva di due capi: il primo, appunto, relativo alle unioni civili ed il secondo alla disciplina della convivenza di fatto, per complessivi 23 articoli. La legge come approvata si compone, invece, di un unico articolo, suddiviso in 69 commi, dei quali quelli da 1 a 35 riguardano appunto l'unione civile.

L'unione civile come atto

L'unione civile è stata strutturata sulla falsariga del matrimonio, sia con la previsione di specifiche norme mutuate pedissequamente dal regime matrimoniale, sia con un richiamo espresso ad altre disposizioni proprie di detto regime; ciò con la precisazione, ex comma 20 dell'art. 1 della legge in esame (vera e propria clausola generale di equivalenza), che la normativa del codice civile, ove si fa riferimento ai coniugi e al matrimonio, si applica solo ove espressamente richiamata dalla legge stessa. Occorre distinguere, riprendendo tradizionali classificazioni dottrinali proprie del matrimonio, tra unione civile, intesa come atto e come rapporto. L'unione civile come atto, nella sostanza, diverge in modo relativamente limitato rispetto al matrimonio (ovviamente civile). La differenza più eclatante è rappresentata dal fatto che la sua costituzione non è preceduta dalle pubblicazioni; l'unione civile postula la maggiore età delle parti (e dunque non potrà essere costituita da soggetti minorenni, non applicandosi la disciplina autorizzatoria di cui all'art. 84 comma 2 c.c., come vieppiù confermato dal mancato richiamo dell'art. 165 c.c., quanto alla convenzioni matrimoniali sottoscritte dal minore: si tratta di previsione del tutto condivisibile, che valorizza la necessaria maturità delle persone nella costituzione del vincolo). I requisiti soggettivi sono gli stessi (stato libero, necessariamente esteso pure alla mancata costituzione di preesistente unione civile con altra persona, insussistenza di vincoli di parentela o affinità fra le parti, esclusione dell'impedimento ex delicto). Il consenso, necessariamente proveniente da soggetti capaci di intendere e volere, deve essere formalizzato alla presenza di due testimoni, davanti all'ufficiale dello stato civile, che provvederà alla successiva registrazione nell'archivio dello stato civile, senza l'istituzione, allo stato, di uno specifico registro ad hoc; il Governo dovrà peraltro intervenire sul punto, con apposito decreto legislativo, in forza della delega prevista nel comma 28 lett. a). Manca invece una norma, in qualche modo omogenea all'art. 112 c.c. (circa il rifiuto dell'ufficiale di stato civile di celebrare il matrimonio, in difetto dei presupposti di legge), il che potrebbe indurre ad un possibile vizio di costituzionalità.

Alla base dell'unione civile, come per il matrimonio, vi è l'accordo, e dunque la negozialità; il consortium vitae si costituisce tramite una manifestazione formale di volontà; eventuali impegni che fossero assunti, non obbligano alla costituzione dell'unione civile. Ad essa non trova peraltro applicazione, siccome non richiamata, la speciale disciplina sulla promessa di matrimonio, di cui agli artt. 79 ss. c.c.; eventuali affidamenti che fossero maliziosamente indotti sulla conclusione di un'unione civile, poi non stipulata, potrebbero dare luogo a responsabilità aquiliana, in base alla clausola generale dell'art. 2043 c.c..

Analogo al matrimonio è il regime dell'invalidità dell'unione civile, per mancanza dei presupposti soggettivi (con conseguente nullità del vincolo) e per difetto di un valido e libero consenso (a causa di incapacità, legale o naturale, ovvero in conseguenza di errore, violenza o timore reverenziale), come pure della conseguenziale impugnazione in sede giudiziale. Anzi, la normativa è più precisa di quella matrimoniale, che si riferisce, in maniera promiscua alla nullità o all'annullabilità dell'atto, piuttosto che al profilo processuale dell'impugnazione. Preme solo evidenziare come l'errore essenziale sulle qualità personali dell'altra parte, in base al comma 7 dell'art. 1, non si estenda anche all'«esistenza di un'anomalia o deviazione sessuale», come dispone l'art. 122 n. 1) c.c. (previsione spesso richiamata dalla giurisprudenza, proprio in caso di invalidità del matrimonio, contratto da persona omosessuale, ma disattesa da pronunce recenti, che hanno invece richiamato l'errore sull'identità della persona: Trib. Milano 13 febbraio 2013).

Negli stessi termini del matrimonio, la prolungata coabitazione ha efficacia sanante di eventuali anomalie del consenso. Il rapporto dunque prevale sull'atto, e ciò in ogni relazione formalizzata di coppia, a prescindere dall'orientamento sessuale dei suoi componenti.

...e come rapporto

Maggiori differenze rispetto al matrimonio si evidenziano invece quanto all'unione civile come rapporto. Va in primo luogo premesso come essa non dia luogo alla instaurazione di un legame di affinità fra ciascuna delle parti ed i parenti dell'altra, non essendo richiamata la disciplina di cui all'art. 78 c.c. (e dunque non sussistono impedimenti a che i reciproci parenti contraggano matrimonio o unione civile fra loro). Le persone legate da un'unione civile possono scegliere di acquisire un cognome comune, per tutta la durata dell'unione, anche se non è previsto espressamente un eventuale successivo mutamento, su istanza congiunta o di una sola delle parti. Il cognome scelto potrà essere anteposto o posposto da colui che non ne è titolare (a condizione che le parti non abbiano lo stesso cognome), tramite apposita dichiarazione all'ufficiale di stato civile. Diversa è invece la disciplina del matrimonio: l'art. 143 bis c.c. prevede infatti che la moglie assuma il cognome del marito e lo mantenga anche durante lo stato vedovile: la mancanza di una diversità di genere all'interno dell'unione civile impedisce l'estensione di questa regola e si pone nella direzione di una tante volte dibattuta radicale riforma del cognome, all'interno della coppia matrimoniale, anche con possibilità di scelta di quello da attribuire ai figli (e considerazioni analoghe dovranno valere anche per i figli nati da coppia non coniugata). Come è noto, la donna mantiene il cognome del marito anche se separata, mentre lo perde, di regola, con il divorzio; ciò salvo che il giudice non l'autorizzi espressamente a mantenerlo, in presenza di un interesse suo o dei figli meritevole di tutela (cfr. art. 5 comma 3 l. 898/1970). In forza del comma 23, su cui si tornerà, detta previsione, in quanto compatibile, è estensibile all'unione civile. Ne consegue che, con la pronuncia che dispone lo scioglimento di questa, il giudice ben potrebbe autorizzare il mantenimento del cognome acquisito, ove richiesto.

Anche le persone dello stesso sesso devono concordare l'indirizzo della loro vita familiare, in forza del comma 12 dell'art. 1, con riguardo pure alla fissazione della comune residenza. Non risulta peraltro applicabile, per mancanza di esplicito richiamo, l'art. 145 c.c., che prevede un procedimento giudiziale semplificato in caso di disaccordo tra i coniugi (con possibilità per il giudice di decidere, se richiesto da entrambi). Si tratta di previsione che ha incontrato un'applicazione pratica pressoché inesistente, onde si è verosimilmente ritenuto espungerla nella disciplina dell'unione civile.

Nel contesto dell'unione civile come rapporto, al pari del matrimonio, il regime patrimoniale legale è quello della comunione dei beni, derogabile attraverso una convenzione matrimoniale, che le parti potranno stipulare già al momento della costituzione dell'unione, ovvero successivamente; la disciplina del codice civile si applica nella sua interezza (cfr. comma 13 dell'art. 1 della l. in esame). Le parti potranno costituire altresì un fondo patrimoniale, per far fronte ai bisogni della famiglia; anche in questo caso trova applicazione la disciplina codicistica. Pure all'interno dell'unione civile opera l'istituto dell'impresa familiare, di cui al titolo VI del primo libro del codice civile; ciò peraltro con una doverosa precisazione. L'art. 230 bis c.c. individua tra i soggetti che possono far parte dell'impresa familiare, oltre che il coniuge ed i parenti dell'imprenditore, anche gli affini entro il secondo grado. Come già si è anticipato, l'unione civile, contrariamente al matrimonio, non determina legami di affinità; ne consegue che i parenti del partner, i quali collaborino con l'imprenditore a lui unito da un'unione civile non potranno beneficiare del regime speciale.

Cessazione dell'unione civile

Analogamente al matrimonio, l'unione civile viene meno a seguito della morte (anche solo presunta) di una delle parti, dell'annullamento, ovvero dello scioglimento dell'unione medesima. Il vincolo si caduca, quindi, ex se, ovvero a seguito di un provvedimento giudiziale (piuttosto che con una negoziazione assistita), in conseguenza di eventi che incidono sull'unione come atto, ovvero come rapporto.

In conclusione

Come si è visto, tra matrimonio ed unione civile maggiori sono le convergenze che non le divergenze, a cominciare dall'atto costitutivo del vincolo. Sarebbe stato peraltro più opportuno che, sulla scorta di altre legislazioni straniere, anche l'Italia avesse esteso il matrimonio alle coppie del medesimo sesso, per evitare problemi di coordinamento e di richiamo con la disciplina matrimoniale, che – è facile ritenere – avranno a verificarsi nella pratica. Ad ogni buon conto, una legislazione in materia era indifferibile per il rispetto dovuto ai cittadini, a prescindere dal loro orientamento sessuale.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario