Coppie omosessuali: è possibile adottare il figlio della compagna
11 Novembre 2015
Il caso. Una donna chiedeva al Tribunale per i minorenni di Roma di poter adottare la figlia minore della propria convivente ai sensi dell'art. 44 comma 1, l. 184/1983. La realizzazione del progetto di genitorialità costituiva il frutto di una scelta condivisa raggiunta dalle due donne che convivevano stabilmente da diversi anni. Nel corso del procedimento, i Servizi Sociali redigevano una relazione sulle condizioni di vita di coppia, sul rapporto con la bambina e su ogni aspetto rilevante e utile a valutare la domanda di adozione della minore. Dalla relazione emergeva che la minore viveva in un ambiente solido, affettivamente rassicurante ed in grado di garantirle una crescita armonica, frequentava con continuità i nonni ed i parenti delle due donne e risultava ben inserita all'asilo nido. La madre e la convivente dimostravano di saper costruire un equilibrio adeguato alle esigenze della bambina.
È ammessa la richiesta di adottare la figlia della propria convivente. Nel caso di specie, viene in rilievo l'applicazione dell'art. 44 comma 1, lett. d), l. 184/1983 che disciplina l'adozione del minore in casi particolari e nello specifico quando non sia possibile l'affidamento preadottivo. Nel prevedere questa particolare ipotesi, il legislatore ha voluto favorire il consolidamento dei rapporti tra il minore e i parenti o le persone che si prendono cura dello stesso, essendo però necessario verificare che l'adozione realizzi il preminente interesse del minore. L'impossibilità di affidamento preadottivo può non essere solo una impossibilità di fatto, che consente di realizzare l'interesse preminente del minore in stato di abbandono, ma - secondo l'interpretazione emersa nella giurisprudenza di merito - anche una impossibilità di diritto che consente di tutelare l'interesse del minore - anche in stato di non abbandono - a vedere riconosciuto giuridicamente un rapporto di genitorialità completo e compiuto. Suddetta interpretazione è conforme alla lettera della norma, la quale prevede quale presupposto per l'adozione solo l'impossibilità di affidamento preadottivo senza specificare che si tratti di un'impossibilità di fatto. Una diversa lettura della disposizione non consentirebbe di tutelare l'interesse del minore in situazioni, come quella in esame, in cui il minore convive con l'adottante e ha instaurato con questo un rapporto uguale a quello normalmente instaurato con un genitore. Alla luce delle considerazioni svolte il Collegio ritiene che, nel caso di specie, si sia realizzata la condizione dell'impossibilità dell'affidamento preadottivo di diritto, trovandosi l'adottanda in uno stato di non abbandono.
Adozione consentita nei rapporti di convivenza, anche omosessuale. Non è ostativa all'adozione la circostanza che non sussista un rapporto di coniugio fra genitore dell'adottando e l'adottante. Tale requisito non è richiesto dall'art. 44, lett. d), della l. 184/1983, bensì dalla lett. b). Già la Corte Costituzionale ha avuto modo di affermare, con sentenza n. 198/1986, che il giudice debba sempre individuare la soluzione più idonea a realizzare gli interessi primari del minore e debba tutelare i rapporti creati col tempo tra il minore stesso e gli affidatari. Ne consegue che l'adozione in casi particolari ex lett. d), art. 44 della legge sull'adozione possa essere disposta a favore del convivente del genitore dell'adottando, anche a conviventi del medesimo sesso. Tale norma, infatti, non discrimina fra coppie conviventi eterosessuali od omosessuali. Un'interpretazione della norma in senso discriminatorio sarebbe contraria: a) alla ratio legis che è quella di consentire la realizzazione del preminente interesse del minore, che non è detto non possa realizzarsi all'interno di contesto familiare omosessuale; b) al dettato costituzionale, poiché l'esclusione della possibilità di adottare per le coppie omosessuali solo in ragione di tale omosessualità (riconosciuta invece alle coppie eterosessuali) sarebbe lesiva del diritto di uguaglianza (art. 3 Cost.) e della tutela dei diritti fondamentali (art. 2 Cost.); c) agli artt. 14 e 8 della CEDU. e con quanto affermato recentemente dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, secondo la quale il canone da tenere in maggiore considerazione è costituito dal miglior interesse del minore. Pertanto, nulla fa presumere che l'interesse del minore non possa realizzarsi in un nucleo familiare costituito da una coppia omosessuale, tanto più che nel caso di specie la minore è nata e cresciuta con la ricorrente, ha instaurato con lei un rapporto inscindibile e che le due donne convivono stabilmente dedicandosi insieme alla bambina che le vive entrambe come figure di riferimento.
Alla luce di questi ragionamenti, il Tribunale «ritiene che il ricorso proposto dalla ricorrente debba essere accolto in quanto sussistono tutti i presupposti di diritto e di fatto, atteso che risponde all'interesse della minore essere adottata dalla ricorrente, la quale costituisce un riferimento stabile e significativo, ed in considerazione che la madre della bambina, con la quale la ricorrente vive in perfetta armonia, ha espresso il suo consenso a tal fine. Per l'effetto, l'adottata aggiungerà il cognome dell'adottante al proprio cognome di origine». Il Tribunale conferma così l'orientamento inaugurato con proprio precedente, reso in data 30.7.2014. |