L'aggravamento delle misure cautelari per i minorenni

12 Gennaio 2016

In caso di minore sottoposto alla misura cautelare del collocamento in comunità ed in presenza di nuovi e specifici elementi, quale ad esempio un mutamento in peius delle esigenze cautelari ex art. 274 c.p.p., la norma di riferimento cessa di essere l'art. 22 ult. co. d.P.R. n. 448/1988 e torna ad essere la norma generale dell'art. 299 comma 4 c.p.p..
Il quadro normativo

In ambito minorile si applicano solo le misure cautelari tassativamente previste dal d.P.R. n. 448/1988, che tuttavia non costituisce un sistema chiuso ed autonomo, rinviando per tutto quanto non espressamente previsto alle norme del codice di procedura penale, delineando così una serie di deroghe in melius rispetto alla disciplina ordinaria. Una di queste riguarda specificamente la sostituzione delle misure cautelari: mentre per quanto riguarda la revoca e la sostituzione in generale è applicabile l'art. 299 c.p.p., per la sostituzione in peius vige una particolare disciplina che, in parziale deroga all'art. 276 c.p.p., esclude la possibilità di un aggravamento per saltum e ribadisce l'assoluta gradualità nella scelta delle misure; richiede presupposti più stringenti per l'aggravamento, dovendo ricorrere violazioni alla misura in atto da ritenersi sia gravi che ripetute, non essendo sufficiente solo una delle citate caratteristiche nella condotta dell'indagato o dell'imputato; esclude l'applicabilità della norma penale in bianco di cui all'art. 650 c.p. atteso il suo valore sussidiario che recede in presenza di una specifica disciplina "sanzionatoria". Questo equilibrio dinamico tra autonomia e specialità del sistema cautelare minorile si snoda attraverso alcuni perni fondamentali: da un lato la tipicità delle misure cautelari previste dal decreto citato e la non obbligatorietà in nessun caso dell'applicazione di una misura cautelare con una caratteristica di residualità assoluta della custodia cautelare in carcere; dall'altro la necessaria valutazione della idoneità della misura scelta a tutelare le esigenze cautelari in ipotesi sussistenti e la necessaria proporzionalità rispetto alla gravità del reato e all'entità della sanzione irrogabile. Ne consegue una normativa tecnicamente semplice nella individuazione delle disposizioni applicabili che può tuttavia dar luogo a dubbi ed incertezze anche significative, risolvibili alla luce dei principi orientativi generali. Ad esempio, è vero che va data preferenza alle misure cautelari che favoriscono il reinserimento sociale (R(87)20, Regole di Pechino), in un sistema che prevede misure cautelari dal contenuto non meramente negativo e passivo ma anche positivo ed impositivo di obblighi di fare, per sollecitare il soggetto verso nuovi impegni personali e sociali. È anche vero però che ciò non implica affatto che debbano prevalere le esigenze educative senza o al di là di esigenze cautelari (C. Cost., sent. n. 4/1992): il processo penale resta luogo di accertamento della responsabilità penale e non luogo della rieducazione tout court non potendosi mai sovvertire il principio della presunzione di non colpevolezza. Ne consegue la necessità che, per l'applicazione di una misura cautelare, ricorrano tanto presupposti generali, comuni al sistema processuale ordinario, quanto presupposti speciali tipici del rito minorile. Vale a dire, da un lato, i gravi indizi di reità, le gravi ed inderogabili esigenze attinenti alle indagini in relazione a situazioni di concreto pericolo per l'acquisizione o la genuinità della prova, il pericolo di reiterazione del reato o di commissione di gravi delitti con uso di armi o di violenza alla persona; dall'altro la prognosi negativa in merito all'applicabilità del perdono giudiziale o della sospensione condizionale della pena, la sussistenza di elementi atti a dimostrare l'imputabilità, mai presunta, ex art. 98 c.p., la ricorrenza di limiti edittali minimi di pena per la fattispecie contestata, in relazione ai parametri di cui all'art. 19 comma 5 d.P.R. n. 448/1988, tenuto conto, nella determinazione della pena, dei criteri indicati dall'art. 278 c.p.p. e della diminuente obbligatoria della minore età. Dottrina e giurisprudenza maggioritaria ritengono doveroso anticipare, sebbene con maggiore sommarietà, il giudizio di bilanciamento delle circostanze attenuanti, sicuramente sussistenti (almeno la diminuente della minore età) con le aggravanti (Cass. 21 ottobre 1997, p.m. in c. Salkanovic, Cass.,sez. V pen., 7 luglio 1993, Gaini).

Autonomia e specialità del sistema cautelare minorile

Tutte le norme caratterizzanti il sistema cautelare minorile evidenziano il carattere eccezionale da attribuire alla custodia in carcere ed all'arresto in flagranza, cui è sempre da preferire lo strumento precautelare parallelo dell'accompagnamento in flagranza (art. 18 bis d.P.R. 448/1988) in cui la condizione dell'accompagnato non è equiparabile a quella dell'arrestato, vigendo solo l'obbligo per l'affidatario di tenere il minore a disposizione del pm, ma l'eventuale allontanamento del minore non costituisce evasione.

Di fatto - diversamente dal sistema ordinario e nonostante i dubbi di costituzionalità che possono sorgere con riferimento ad esempio al caso di indagato/imputato adulto ritenuto totalmente o parzialmente infermo - tutte le misure cautelari possono essere applicate ai minorenni solo se è prevedibile possa essere irrogata sanzione penale e, dunque, non nel caso in cui si prevede, o non si esclude, possano essere concessi sentenza di non luogo a procedere per perdono giudiziale, o per irrilevanza sociale del fatto ovvero ancora proscioglimento o assoluzione per immaturità ai sensi dell'art. 98 c.p. Ma le caratteristiche di residualità sopra accennate in merito alla custodia in IPM, confermano che, in assenza di ulteriori specifiche esigenze, i presupposti generali delineati dall'art. 274 lett. c) ult. cpv. c.p.p. sono necessari ma non ancora sufficienti a ritenere applicabile la misura custodiale, extrema ratio in un sistema ancor più stringentemente graduato rispetto a quello ordinario.

Tribunale per i Minorenni di Milano 9 ottobre 2014: il fatto

Con ordinanza sostitutiva della misura cautelare della custodia in IPM, in corso di esecuzione, il Tribunale per i minorenni di Milano aveva disposto l'applicazione del collocamento in comunità nei confronti di un sedicenne imputato dei reati di tentato omicidio, tentata estorsione, lesioni aggravate, porto abusivo di armi e ricettazione; durante la pendenza dei termini per l'appello, dopo aver riportato condanna alla pena di sette anni di reclusione, il minore si allontanava dalla comunità per cui gli veniva applicato l'aggravamento della misura con la custodia cautelare in carcere per un mese ai sensi dell'art. 22 ult.co. d.P.R. n. 448/1988. All'esito del predetto mese di aggravamento, il minore veniva nuovamente collocato in comunità in base alla precedente ordinanza cautelare, mai revocata, e se ne allontanava nuovamente. Il pm dunque avanzava richiesta di aggravamento della misura ai sensi dell'art. 299 c.p.p. (e solo in subordine nuovo aggravamento ex art. 22 ult.co. d.P.R. cit.). Per ben due volte il giudice rigettava l'aggravamento ex art. 299 c.p.p. applicando invece un mese di custodia cautelare in aggravamento del collocamento in comunità ai sensi dell'art. 22 ult.co. d.P.R. n. 448/1988, nonostante la sostanziale impossibilità di dare esecuzione al provvedimento vista la fuga del minore anche in seguito alla commissione di ulteriori reati (della stessa indole di quelli già commessi, sebbene non direttamente oggetto del provvedimento cautelare perché fuori dai limiti edittali di pena per l'applicazione di misure cautelari minorili).

Le prospettazioni possibili

Parte della giurisprudenza tradizionale sembra escludere tout court nel processo minorile l'applicabilità del meccanismo operativo generale dell'aggravamento delle misure cautelari previsto dall'art. 299 comma 4 c.p.p. (Cass., sez. VI, n. 19784/2009; Cass., sez. I, n. 34640/2013; Cass., sez. V, n. 23260/2014). Il pm richiedente osservava tuttavia che l'esclusione dell'applicabilità del meccanismo operativo ex art. 299 comma 4 c.p.p. appariva frutto di un equivoco e di interpretazione letterale del combinato disposto degli artt. 1, 19, 22 d.P.R. n. 448/1988. Richiamando la costruzione del sistema cautelare minorile come un sistema di deroghe in melius evidenziava che non si trattava di un sistema chiuso e che per tutto quanto non espressamente previsto, e non contrastante con i principi generali del processo minorile, devevano trovare applicazione le norme del codice di procedura penale in base al principio di sussidiarietà. Ne deriva, nell'impostazione assunta, che il meccanismo speciale di aggravamento progressivo previsto dal d.P.R. cit. dovrebbe trovare applicazione solo in caso di violazioni delle misure in atto specificamente indicate (gravi e ripetute violazioni delle prescrizioni imposte o allontanamento ingiustificato dalla comunità). La norma in oggetto (art. 22 d.P.R. n. 448/1988) nulla prevede tuttavia nel caso più generale di aggravamento delle esigenze cautelari, di cui all'art. 299 co. 4 c.p.p.. Conseguenza logica, per il pm, è che in base al rinvio generale dell'art. 1 d.P.R. n. 448/1988, la disciplina applicabile sarà quella dell'art. 299 c.p.p.. Nessun contrasto con la giurisprudenza di legittimità sopra riportata, peraltro, può ravvisarsi in quanto tutte le decisioni della Cassazione sopra citate riguardano casi in cui il minore si è reso responsabile, pendente la misura del collocamento in comunità, esclusivamente delle due condotte specificamente previste dalla norma dell'art. 22 d.P.R. citato: allontanamento dalla comunità o reiterata violazione delle prescrizioni; nell'ambito, oltretutto, di procedimenti aventi ad oggetto reati di per sé esclusi dall'applicabilità della custodia in carcere, attesi i limiti edittali di pena previsti per ciascuno di essi. Nel caso qui in esame, invece, l'aspetto preminente al centro della valutazione di aggravamento delle esigenze cautelari è, esplicitamente e con ogni evidenza, la commissione di nuovi reati.

La decisione

«Alla luce dei nuovi elementi addotti, ed in particolare l'aver commesso mentre si sottraeva alla cattura, ben 6 reati, ritiene il collegio che debba essere accolta la richiesta del pubblico ministero e debba trovare applicazione la disciplina di cui all'art. 299 c.p.p. e non quella prevista dall'art. 22 comma 4 d.P.R. n. 448/1988».

In conclusione

Il quadro ricostruttivo che ne deriva è dunque perfettamente coerente e congruo con i principi logici e giuridici che improntano l'equilibrio dinamico tra autonomia e specialità del sistema cautelare minorile, da un lato, e rispetto dei cardini generali del sistema processuale ordinario per tutto quanto non derogato esplicitamente. Nessuna violazione e nessuna incoerenza giuridica insomma vi è nell'applicazione anche ai minorenni del meccanismo di sostituzione ex art. 299 comma 4 c.p.p. quando a fondamento dell'aggravamento vi è un mutamento in peius delle esigenze cautelari ex art. 274 c.p.p. ed in particolare il pericolo che il minore commetta altri reati della medesima specie di quelli per i quali vi è già procedimento. Unico limite ravvisabile, a parere condivisibile del Tribunale Minorile decidente, è che a fondamento della misura in corso vi sia comunque un reato rientrante nei limiti edittali previsti dall'art. 23 d.P.R. n. 448/1988.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario