Affidamento condiviso e tempi ridotti di permanenza del figlio con il genitore non collocatario
12 Aprile 2016
Massima
Non contrasta con i principi dell'affidamento condiviso un regime, stabilito dal giudice, in cui un figlio minore trascorre con il genitore collocatario un periodo di tempo ben superiore rispetto all'altro genitore. Il caso
In un procedimento di separazione personale, la Corte d'appello, confermando la pronuncia di primo grado, affidava la figlia minore della coppia ad entrambi i genitori in forma condivisa, con collocazione presso la madre; prevedeva un regime che attribuiva al padre ridotti tempi di frequentazione con la figlia. Ricorre per cassazione il padre stesso, lamentando, tra l'altro, violazione dei principi dell'affidamento condiviso; la Suprema Corte premette il principio di cui alla massima, ma accoglie il ricorso, addebitando al giudice a quo di non aver in alcun modo motivato quanto alla reiezione delle istanze istruttorie paterne, volte a comprovare condotte pregiudizievoli per la minore, a carico della madre. La questione
La questione dibattuta riguarda il contenuto intrinseco dell'affidamento condiviso. Ci si chiede, infatti, se esso imponga una paritaria, ovvero un' omogenea, permanenza dei figli presso entrambi i genitori, ovvero sia compatibile con una suddivisione dei tempi nettamente favorevole al genitore c.d. “collocatario”. Le soluzioni giuridiche
Molto si era discusso, dopo l'entrata in vigore della l. n. 54/2006, sulla natura e sull'oggetto dell'affidamento condiviso, inteso, nelle sue versioni più radicali, come regime che “salomonicamente” avrebbe comportato tempi di permanenza paritari dei figli presso i genitori (magari accompagnati da un contributo al loro mantenimento solo in forma diretta). Questa interpretazione è stata da subito disattesa dalla giurisprudenza e dalla dottrina, che hanno evidenziato come l'affidamento condiviso imponga in realtà ai genitori l'adozione di un progetto comune, finalizzato alla miglior crescita del figlio: l'affidamento condiviso non presuppone un agire congiunto nell'assunzione di tutte le decisioni relative ai figli (purchè comunque ispirate a criteri uniformi e coerenti), ma solo in ordine a quelle di maggior interesse per i figli stessi. Del pari si è escluso che l'affidamento condiviso presupponga una rigorosa suddivisione paritaria dei tempi di permanenza del figlio presso entrambi i genitori (cfr., per tutte, Trib. Messina 27 dicembre 2012, in Corr.mer. 2013, 495). Nella prassi si è così elaborata la figura del genitore “collocatario”, presso cui il minore ha la residenza prevalente (rilevante anche sotto l'aspetto anagrafico), contrapposta a quella del genitore “non collocatario”; ciò nel presupposto che, di regola, risponde all'interesse del minore individuare un luogo che lo stesso possa vivere e percepire come la propria “casa”. Al genitore collocatario dei figli minorenni (ovvero convivente con figli maggiorenni non autosufficienti) spetterà l'assegnazione della casa familiare. Al genitore non collocatario deve essere garantito il diritto (che, in primo luogo è diritto del figlio stesso) di poter mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con la prole; ciò che avviene con un regime di permanenza e di visita, che consenta il mantenimento e favorisca l'incremento della relazione; non vi sono regole predeterminate, quello che conta è che il regime non risulti contrastante con dette finalità. Del pari, la giurisprudenza, già sulla scorta dell'abrogato art. 155 c.c. (il cui testo è stato trasfuso nell'art. 337 ter c.c.) ha ripetutamente affermato la piena compatibilità tra affidamento condiviso ed obbligo per il genitore non collocatario di contribuire in forma indiretta al mantenimento del figlio, tramite corresponsione all'altro genitore di somme di denaro predeterminate (per tutte cfr. Cass. 1° luglio 2015, n. 13504; Cass. 10 dicembre 2014, n. 26060; Cass. 8 giugno 2012, n. 9372); coerentemente la giurisprudenza ha ritenuto assoggettato a tale obbligo pure il genitore collocatario (che si trovava in posizione economica privilegiata rispetto all'altro), in modo da garantire al figlio un adeguato tenore di vita in occasione della permanenza presso quello non collocatario (Trib. Milano 19 marzo 2014). Nel contempo, l'art. 337 quater c.c., introdotto con il d.lgs. n. 154/2013, ha avuto cura di individuare il confine fra affidamento condiviso ed esclusivo, con la previsione che, nel primo, tutte le decisioni di tipo ordinario sono assunte dal genitore affidatario, mentre quelle di maggiore interesse (istruzione, educazione, salute, scelta della residenza) sono comunque adottate da entrambi, salvo che il giudice non disponga diversamente (si tratta del c.d. affidamento “superesclusivo”). Nulla peraltro la riforma della filiazione ha previsto circa i tempi di frequentazione dei figli con il genitore non collocatario o non affidatario, pur ribandendo la necessità del mantenimento di un rapporto equilibrato e continuativo del figlio con ciascuno dei genitori (ma pure con i componenti del relativo ramo parentale), e ciò anche nell'ipotesi estrema in cui il genitore sia stato dichiarato decaduto dalla responsabilità ex art. 330 c.c. (cfr. Trib. Bologna 25 settembre 2009, ined.). E' allora compito del giudice individuare un regime che sia rispettoso di quel rapporto, tanto più necessario in regime di affidamento condiviso (che si presume rispondente agli interessi del figli) sì da permettere la partecipazione di entrambi i genitori alla crescita del figlio, anche nella quotidianità. Certamente, in tesi, non sarebbero conformi all'art. 337 ter c.c. (specie in un situazioni di affidamento condiviso) regimi che limitassero pesantemente la relazione tra uno dei genitori ed i figli (salvo individuare caso per caso le ragioni della decisione). Osservazioni
La pronuncia in commento ha il pregio di confermare in modo preciso una prassi giudiziale che si va consolidando. Afferma infatti la Cassazione come l'affidamento condiviso non solo non richieda necessariamente una suddivisione paritaria dei tempi di permanenza dei figli presso ciascun genitore, ma nemmeno tempi simili. L'affidamento condiviso è dunque compatibile con un regime nel quale la prole rimanga con la madre (genitore collocatario) “per un periodo di tempo ben superiore rispetto al padre”. La determinazione di quel regime rientra nella discrezionalità del giudice di merito, di per sé incensurabile in sede di legittimità, senza che possa in qualche modo indursi violazione di legge. Nel contempo, la Corte osserva come il giudice a quo avesse correttamente evidenziato come la relazione tra la prole ed il padre avrebbe potuto essere mantenuta ed incrementata anche in modo differente, rispetto ad una revisione dei tempi di permanenza presso il genitore non collocatario (uso del telefono o altri mezzi di comunicazione, quali skype). Il rispetto del fondamentale diritto del minore alla bigenitorialità non è dunque necessariamente subordinato ai tempi di permanenza del figlio presso ciascuno dei genitori. Come è noto, alla base di ogni decisione che riguarda i figli, il giudice deve fare riferimento all'esclusivo interesse degli stessi. In questo contesto, dopo avere espresso l'importante principio di cui si è dato atto, la Corte di Cassazione annulla la decisione impugnata con la quale il giudice a quo aveva ritenuto di collocare la figlia minore presso la madre, solo ed esclusivamente sulla base del dato di fatto della prevalente convivenza della stessa, senza aver nemmeno motivato quanto alle istanze istruttorie dedotte dal padre, volte a comprovare condotte materne pregiudizievoli per la figlia. Dunque, fermo restando il principio circa i tempi di permanenza della prole presso il genitore non collocatario, a monte si impone un doveroso accertamento circa l'individuazione del genitore collocatario, in funzione unicamente del perseguimento dell'interesse della prole. |