Anche le coppie fertili ma affette da malattie genetiche trasmissibili possono accedere alla PMA

Redazione Scientifica
12 Giugno 2015

La Corte Costituzionale con la sentenza del 5 giugno 2015, n. 96, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del divieto di accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita da parte di coppie fertili portatrici di malattie genetiche trasmissibili accertate da apposite strutture pubbliche.

Il caso. Due coppie di coniugi, nel corso di altrettanti procedimenti civili ante causam ex art. 700 c.p.c., chiedevano al Tribunale ordinario di Roma di essere ammesse a procedure di procreazione medicalmente assistita, con diagnosi preimpianto, per evitare di trasmettere ai figli malattie genetiche da cui, in entrambi i casi, uno dei componenti della coppia era risultato affetto in occasione di precedente gravidanza spontanea, interrotta con aborto terapeutico.

Il Tribunale adito, premesso che la richiesta era ostacolata da quanto disposto dagli artt. 1, commi 1 e 2, e 4, comma 1, della l. 19 febbraio 2004, n. 40, che consente alle sole coppie sterili o infertili l'accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita e che tale normativa non può essere oggetto di interpretazione adeguatrice né di diretta “non applicazione” per contrasto con gli artt. 8 e 14 CEDU, riteneva rilevante e non manifestamente infondata, ed ha, quindi, sollevato questione di legittimità costituzionale degli articoli citati per contrasto con gli artt. 2, 3 e 32 Cost. oltre che con l'art. 117, comma 1, Cost. in relazione agli artt. 8 e 14 CEDU.

Secondo il tribunale rimettente, la normativa censurata, non includendo le coppie fertili ma a rischio di trasmissione ai figli di malattie genetiche di cui sono portatori uno o entrambi i coniugi,:

  • «contrasterebbe con il diritto inviolabile della coppia ad avere un figlio “sano” e con il diritto ad autodeterminarsi nella scelta procreativa»;
  • «violerebbe il diritto alla salute (fisica e psichica) della donna (costretta a subire l'interruzione volontaria della gravidanza nel caso di accertata trasmissione al feto di patologie genetiche)»;
  • «contrasterebbe con il principio di ragionevolezza con riferimento al quadro normativo risultante dalla combinazione della l. n. 40/2004 con la l. n. 194/1978»;
  • «comporterebbe, infine, una indebita e non proporzionata ingerenza nella vita privata e familiare delle coppie suddette, in violazione anche degli artt. 8 e 14 CEDU e quindi, per interposizione, dell'art. 117, comma 1, Cost..

La pronuncia della Corte Costituzionale. Riassunti gli elementi fondamentali della causa e ritenuta ammissibile la questione, la Corte Costituzionale ha concordato con il tribunale rimettente sull'impossibilità di disapplicare direttamente la normativa nazionale in contrasto con la CEDU poiché quest'ultima «diversamente dal diritto comunitario (…) non crea un ordinamento giuridico sovranazionale ma costituisce un modello di diritto internazionale pattizio» e, inoltre, non è praticabile un'interpretazione correttiva delle disposizioni censurate a causa dell'«univoco e non superabile tenore letterale della prescrizione».

«Nel merito», comunque, «la questione è fondata in relazione al profilo, assorbente di ogni altra censura, che attiene al vulnus effettivamente arrecato, dalla normativa denunciata, agli artt. 3 e 32 Cost.».

In primo luogo, la Corte rileva «un insuperabile aspetto di irragionevolezza» del divieto di accesso alla procreazione medicalmente assistita, con diagnosi preimpianto, per le coppie fertili affette da gravi malattie genetiche ereditarie in quanto «con palese antinomia normativa» (già evidenziata dalla Corte di Strasburgo nella sentenza Costa e Pavan contro Italia) il nostro ordinamento permette a tali coppie di perseguire comunque l'obiettivo di avere figli sani attraverso l'interruzione volontaria di gravidanza, anche reiterata. «Vale a dire che il sistema normativo (…) non consente (pur essendo scientificamente possibile) di far acquisire “prima” alla donna una informazione che le permetterebbe di evitare di assumere “dopo” una decisione ben più pregiudizievole per la sua salute». Il vulnus arrecato al diritto alla salute della donna non trova neanche un «positivo contrappeso, in termini di bilanciamento, in una esigenza di tutela del nascituro, il quale sarebbe comunque esposto all'aborto».

Tale disciplina si configura quindi come il risultato di un «irragionevole bilanciamento degli interessi in gioco» poiché esclude che coppie affette da malattie genetiche ereditarie possano ricorrere alla PMA «al fine esclusivo della previa individuazione di embrioni cui non risulti trasmessa la malattia del genitore comportante il pericolo di rilevanti anomalie o malformazioni (se non la morte precoce) del nascituro».

Accertato il contrasto delle norme in questione con i parametri costituzionali, la Corte auspica, l'intervento del legislatore per l'introduzione di apposite disposizioni che individuino le patologie in grado di giustificare l'accesso alla PMA di coppie fertili e di forme di autorizzazione e controllo delle strutture abilitate ad effettuarle.

Dichiara, infine, l'illegittimità costituzionale degli artt. 1, commi 1 e 2, e 4, comma 1, della l. 19 febbraio 2004, n. 40 nella parte in cui non consentono il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita alle coppie fertili portatrici di malattie genetiche trasmissibili, rispondenti ai criteri di gravità ex art. 6, comma 1, lett. b) l. n. 194/1978, accertate da apposite strutture pubbliche.

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