Applicabilità dello “stato di necessità” in caso di violazione del provvedimento del giudice sull'affidamento del minore

12 Luglio 2016

Il genitore che non ottempera al provvedimento del giudice civile che dispone l'affidamento del minore per alcuni giorni alla settimana all'altro genitore, temendo l'incapacità di quest'ultimo di accudire la figlia, non può invocare la scriminante putativa dello stato di necessità di salvaguardare il minore dal pericolo attuale per la sua salute, se l'idoneità dell'altro genitore nella cura del minore è già stata valutata positivamente dal giudice civile e non sopravvengono circostanze nuove.
Il caso in esame

La vicenda posta all'attenzione della Corte di cassazione vedeva come imputata una donna, madre di una minore affetta da un grave ritardo mentale che limitava le sue capacità di alimentarsi e deambulare autonomamente, la quale aveva rifiutato di affidare al padre la minore in violazione di quanto previsto dal provvedimento reso giudice civile in sede di separazione coniugale, in cui era previsto che il padre potesse tenere con sé la bambina per alcuni pomeriggi ed alcuni giorni della settimana, dopo aver valutato, anche a mezzo di una C.T.U., l'idoneità dell'uomo a fronteggiare le particolari esigenze di cura della minore.

La donna si era difesa sostenendo di aver agito così in ragione del timore per la salute della figlia, in considerazione della “scarsa” idoneità dell'altro genitore a prendersi cura della minore portatrice di un grave handicap.

L'imputata era stata assolta sia in primo sia in secondo grado, ritenendo l'esistenza dell'ipotesi dell'eccesso colposo nella scriminante dello stato di necessità di salvaguardare la vita o la salute della minore, tenendo conto anche della condizione psicologica di fragilità in cui versava la madre.

La parte civile proponeva ricorso per cassazione al fine di ottenere, ai soli effetti civili, l'annullamento della sentenza assolutoria, ritenendo l'erronea applicazione da parte della Corte di appello degli artt. 54 e 55 c.p.

La sentenza della Cassazione n. 15971/2016

La suprema Corte ha annullato la sentenza impugnata ritenendo che nella specie non potesse trovare applicazione la causa di giustificazione dello stato di necessità (art. 54 c.p.), neppure nell'ipotesi putativa, in quanto la valutazione in ordine alla idoneità del padre ad avere con sé la figlia minore era già stata operata dal giudice civile (peraltro con l'ausilio di una C.T.U.) e non risultavano circostanze sopravvenute che potessero giustificare il rifiuto della madre di affidare la minore all'altro genitore, sull'assunto, del tutto soggettivo, che ciò avrebbe messo in pericolo la salute della bambina. Inoltre la Cassazione ha ribadito che l'erronea supposizione circa la sussistenza dello stato di necessità, si fondi non già su un mero criterio soggettivo, riferito al solo stato d'animo dell'agente, bensì su dati di fatto concreti, tali da giustificare l'erroneo convincimento in capo all'imputato di trovarsi in tale stato (in questi termini si veda cass. Sez.VI, 21 marzo 2012, n.18711).

In altri termini la Cassazione ha affermato che nell'ipotesi di mancata esecuzione di un provvedimento del giudice civile concernente l'affidamento di un figlio minore, il motivo plausibile che può escludere la colpevolezza è solo quello che, pur senza configurare la scriminante dello stato di necessità, deve comunque essere stato determinato dalla volontà di tutela dell'interesse del minore in situazioni transitorie e sopravvenute non ancora devolute al giudice per l'eventuale modifica del provvedimento di affidamento ma integranti i presupposti di fatto per ottenerla.

La giurisprudenza sulla mancata esecuzione del provvedimento del giudice in ordine ai minori

In via preliminare va ricordato che la portata applicativa della fattispecie prevista dall'art. 388, comma 2, c.p., è stata oggetto, in termini generali, di un fondamentale arresto giurisprudenziale dato dalla sentenza delle Sezioni unite, 27 settembre 2007, n. 36692, la cui massima ha affermato: Il mero rifiuto di ottemperare ai provvedimenti giudiziali previsti dall'articolo 388, comma secondo, cod. pen. non costituisce comportamento elusivo penalmente rilevante, a meno che l'obbligo imposto non sia coattivamente ineseguibile, richiedendo la sua attuazione la necessaria collaborazione dell'obbligato, poiché l'interesse tutelato dall'art. 388 cod. pen. non è l'autorità in sé delle decisioni giurisdizionali, bensì l'esigenza costituzionale di effettività della giurisdizione. (In applicazione del principio, le SS.UU. hanno ritenuto che il mero rifiuto del soggetto passivo di adempiere un'ordinanza di reintegrazione del possesso, eseguibile coattivamente, non integri gli estremi della "elusione" penalmente rilevante).

In particolare in tema di affidamento di figli minori e nell'ottica di tutela di questi ultimi, la dottrina, tenuto conto dei principi espressi dalle Sezioni unite di cui sopra, ha osservato che il termine elude, indicato quale elemento materiale dal comma 2 dell'art. 388 c.p., nella sua ampia portata semantica, è comprensivo di qualunque comportamento, positivo o negativo, attivo o inerte; eludere significa frustrare, rendere vane le legittime pretese altrui e ciò anche attraverso una mera omissione, osservando, inoltre, che, in tema di provvedimento concernente l'affidamento di minore, è di intuitiva evidenza il ruolo centrale che assume il genitore affidatario nel favorire l'incontro del figlio minore con l'altro genitore e ciò a prescindere dall'osservanza burocratica del relativo obbligo imposto con il provvedimento giurisdizionale.

Anche la giurisprudenza maggioritaria, sia di merito sia di legittimità, ha fornito un'interpretazione ampia del termine eludere, sostenendo quindi che: L'elusione dell'esecuzione di un provvedimento del giudice civile che riguardi l'affidamento di minori può concretarsi in un qualunque comportamento da cui derivi la "frustrazione" delle legittime pretese altrui, ivi compresi gli atteggiamenti di mero carattere omissivo. Ad esempio è stata riconosciuta la responsabilità penale del genitore affidatario, il quale cambiando continuamente il luogo di dimora senza darne preavviso al marito separato, gli aveva di fatto impedito l'esercizio del diritto di visita e di frequentazione dei figli (in questi termini si veda Cass. pen., Sez. VI, 9 ottobre 2013 , n.43292; Cass. pen., Sez. VI, 11 maggio 2010, n.33719; in senso contrario si veda però Cass. pen., Sez. fer., 14 settembre 2010, n.34024).

In un caso la Cassazione si è spinta a da affermare che: La mancata sensibilizzazione del minore ad accettare e coltivare il rapporto anche col genitore non affidatario e il creare, per di più, un clima di estraneità, se non di vera e propria ostilità verso costui, concretizzano la mancata collaborazione, l'inerzia e, a volte, anche un comportamento attivo del soggetto obbligato (…) e, quindi, un rifiuto di fatto a rispettare il comando giudiziale, con l'effetto che tale situazione non può non riverberarsi negativamente sulla psicologia del minore, indotto così a contrastare l'incontro col genitore non affidatario(così Cass. pen., Sez. VI, 10 giugno 2004, n. 37118).

I limiti applicativi della scriminante putativa dello stato di necessità

Quanto invece alle ipotesi di esclusione di responsabilità si richiamano numerose sentenze della Cassazione in cui è stato ritenuto che il motivo plausibile e giustificato che può costituire valida causa di esclusione della colpevolezza, anche senza integrare i presupposti dell'esimente dello stato di necessità, deve comunque essere stato determinato dalla volontà di esercitare il diritto-dovere di tutela dell'interesse del minore, con riguardo a situazioni che non si siano potute devolvere al giudice per l'eventuale modifica del provvedimento (in questi termini di recente Cass. pen., Sez. VI, n. 7611/2014; in precedenza Cass. pen., n. 17691/2004; Cass. pen., n. 4439/2005; Cass. pen., n. 27613/2006).

Ne consegue che non può giustificare l'elusione del provvedimento giudiziale una mera valutazione soggettiva di situazioni preesistenti (siano esse note, dedotte o deducibili al giudice) circa la inopportunità dell'esecuzione, in quanto il dissenso sul merito del provvedimento manifesta la volontà del soggetto agente di eluderne l'esecuzione.

Appare di particolare interesse sottolineare che la giurisprudenza ha nel tempo configurato un'ipotesi “atipica” di scriminante, al di là della possibile sussistenza dello stato di necessità, che si fonda sull'assunto che l'obbligo del genitore è per così dire elastico, in quanto non deve essere valutato in termini burocratici ma piuttosto attraverso la considerazione del reale interesse del minore. Ovviamente la finalità di tutela dell'interesse del minore della condotta incriminata deve essere apprezzata dal giudice ex ante, al momento dell'azione elusiva, secondo un criterio di giudizio quanto più oggettivo possibile, quindi svincolato dalle suggestioni e pregiudizi di cui a volte sono portatori i genitori in conflitto tra loro.

In conclusione

Si può affermare che la sentenza in esame limita i casi di esclusione della responsabilità penale del genitore che dolosamente non dà esecuzione a quanto previsto nel provvedimento del giudice civile sull'affidamento del minore, alla sola ipotesi in cui risultino concrete circostanze sopravvenute di pericolo o di pregiudizio per gli interessi del minore che consentirebbero la modifica del provvedimento giudiziario, quando non si sia potuto ottenere tempestivamente l'intervento del giudice civile. Si pensi a titolo di esempio alla madre che rifiuti di affidare il minore al coniuge in possibile stato di ebbrezza alcolica, circostanza sopravvenuta e transitoria non valutata in precedenza dal giudice civile. In questa ipotesi sarebbe corretta l'assoluzione anche a prescindere dalla sussistenza di tutti i presupposti per la scriminante dello stato di necessità.

Guida all'approfondimento

PITTARO, Quando la moglie impedisce al marito di incontrare il figlio al fine di indurlo a corrisponderle l'assegno di separazione, in Famiglia e diritto, 2010, 2, 143 e ss.;

PAVICH, Le conseguenze penali della violazione dei provvedimenti in favore del coniuge e della prole, inRiv. pen., 2009, 11, 1203;

nonché si veda l'approfondimento sul tema di :

DI CHIARA, in Il diritto di famiglia e delle persone, 1992, 2, pt. 1, 264-265.

Tratto da "ilPenalista.it"

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