Favor veritatis o favor minoris?

Valeria Mazzotta
12 Settembre 2017

Nel giudizio di disconoscimento prevale il favor veritatis (ossia della verità della filiazione)? Come opera il contemperamento tra quest'ultimo e l'interesse del minore?
Massima

Il principio del favor veritatis non si pone in conflitto con quello del favor minoris, poiché la verità biologica della procreazione costituisce una componente essenziale dell'interesse del minore, che si traduce nell'esigenza di garantire ad esso il diritto alla propria identità personale, la cui tutela rientra nell'ambito dei diritti fondamentali della persona riconosciuta dalla Costituzione.

È indubbio il valore positivo dell'accertamento della verità, allorché non contrastata da elementi idonei a far presumere il rischio di concreto pregiudizio, nel caso in cui non è posto in discussione il valore della positiva relazione genitoriale con il padre legale, né è possibile compiere alcuna valutazione negativa in ordine al profilo del padre biologico.

Il padre “sociale” non è legittimato a chiedere che il figlio conservi il proprio cognome, trattandosi di una decisione spettante esclusivamente al minore interessato, in considerazione della natura personalissima del diritto al nome.

Il caso

Il sedicente padre biologico di un minore faceva istanza al Tribunale affinchè venisse nominato un curatore speciale per il presunto figlio, che esercitasse, ai sensi dell'art. 244, u.c., c.c., l'azione di disconoscimento della paternità, essendo il bambino nato durante il matrimonio tra la madre e il padre legale, ma concepito nell'ambito di relazione extraconiugale intrattenuta dalla donna con il padre biologico.

Radicatosi il giudizio, la madre e il padre sociale si opponevano. Il Tribunale con sentenza parziale dichiarava inammissibile l'intervento in causa del padre biologico e con sentenza definitiva dichiarava che il minore non era figlio del marito della madre, il quale non era quindi legittimato a chiedere che il bambino conservasse il suo cognome.

Contro la sentenza della Corte d'appello che confermava la decisione di primo grado, il padre “legale” presentava ricorso per Cassazione.

La questione

La questione principale che la sentenza in commento solleva attiene alla prevalenza, nel giudizio di disconoscimento, del favor veritatis (ossia della verità della filiazione), e come operi il contemperamento tra quest'ultimo e l'interesse del minore.

Dal punto di vista procedurale, in quale fase va valutato l'interesse del minore?

Altro profilo d'interesse riguarda il cognome del minore: il padre legale è legittimato a chiederne la conservazione a seguito del positivo esperimento del disconoscimento della paternità?

Infine, seppure la questione non rientri tra quelle di cui la Corte di legittimità è investita, essendo stata risolta in primo grado con sentenza parziale, merita un cenno l'intervento in causa del padre naturale, ossia se e come il padre biologico può intervenire nell'azione di disconoscimento della paternità.

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte afferma la rilevanza della verità biologica su quella legale, optando per la prevalenza del principio del favor veritatis rispetto al favor minoris, con il quale il primo non si porrebbe in conflitto.

Al rilievo del ricorrente secondo cui il principio del favor veritatis non avrebbe importanza preminente alla luce dell'art. 30, comma 4, Cost. secondo cui «la legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità», con ciò demandando al legislatore ordinario il potere di privilegiare la paternità legale rispetto a quella naturale al fine di ricercare la soluzione più idonea per la realizzazione dell'interesse del minore», la Corte oppone una interpretazione restrittiva sostenendo che l'assunto vada riferito alle sole modalità procedurali con cui i soggetti interessati possono ottenere l'accertamento della verità biologica «com'è quella ragionevolmente demandata al curatore speciale del minore nominato dal giudice (art. 244, u.c., c.c.)», ma non anche che al legislatore spetti il potere di prevedere l'accertamento della verità biologica all'esito di valutazioni di opportunità effettuate in astratto e preventivamente.

La Corte opera quindi un bilanciamento degli interessi coinvolti nel procedimento di disconoscimento concludendo per la prevalenza del favor veritatis (confermata da plurime sentenze, tra cui C. cost. n. 7/2012 e Cass. n. 19599/2016), che tuttavia non si porrebbe in conflitto con il favor minoris poiché, all'opposto, «la verità biologica della procreazione costituisce una componente essenziale dell'interesse del minore medesimo traducendosi nell'esigenza di garanzia del diritto alla propria identità e segnatamente all'affermazione di un rapporto di filiazione veridico» (C. cost. nn. 322/2011, 216/1997 e 112/1997).

L'art. 30, comma 3 e 4 Cost. va così interpretato, secondo la Corte, anche alla luce dell'evoluzione giurisprudenziale e dell'impianto normativo attuale (introdotto con l. n. 219/2012 e d.lsg. n. 154/2013), che ha attuato il superamento definitivo dell'impostazione che attribuiva preminenza al favor legitimitatis mediante l'equiparazione tra la filiazione naturale e quella legittima (Corte cost. n. 170/1999).

Oggi, quindi, secondo la Suprema Corte il principio della verità biologica prevale, almeno potenzialmente, in quanto espressione del diritto fondamentale all'identità personale che si esplica anche attraverso la ricerca della propria origine biologica.

Relativamente alla valutazione dell'interesse del minore, che secondo il ricorrente andava svolta nella fase di merito, la Corte sottolinea che tale interesse deve essere valutato solo in sede di nomina del curatore speciale ai sensi dell'artt. 244 c.c. e 737 c.p.c., essendo in detta fase possibile acquisire i necessari elementi di valutazione e dovendosi, con il decreto finale, motivare adeguatamente le conclusioni raggiunte in ordine alla sussistenza di tale interesse. Una diversa conclusione difetta di basi normative e rappresenterebbe un'inutile duplicazione di una indagine già svolta dal Giudice.

Relativamente alla conservazione del cognome, la Corte di legittimità ritiene corretta la sentenza di primo grado che aveva negato al padre sociale la legittimazione a richiedere che il bambino mantenesse il suo cognome, a seguito dell'annotazione della sentenza di disconoscimento nell'atto di nascita. L'art. 95, comma 3, d.P.R. n. 396/2000, infatti, conferisce solo all'interessato, e quindi al figlio, la facoltà di chiedere il mantenimento del cognome originariamente attribuitogli, se esso costituisce un autonomo segno distintivo dell'identità personale, avendo il diritto al nome natura personalissima.

Osservazioni

La sentenza in commento pone alcuni interrogativi: in primis, la Corte sostanzialmente afferma che il favor veritatis sarebbe coerente con il favor minoris perché la verità biologica della procreazione rappresenta una componente fondamentale dell'interesse del minore, che si esplica nell'esigenza di garantire al minore il diritto alla propria identità e all'affermazione di un rapporto di filiazione veridica.

In secondo luogo, la valutazione dell'interesse del minore è deputata alla fase preliminare di nomina del curatore speciale.

Sotto entrambi i profili la decisione si pone in contrasto con la sentenza della Corte di Cassazione n. 26767/2016, di poco risalente, che, nelle azioni di stato, attribuisce prevalente rilievo all'interesse del minore.

Con detta sentenza, la Corte di legittimità, afferma che «nel giudizio di disconoscimento della paternità si impone un bilanciamento fra l'esigenza di affermare la verità biologica, con l'interesse alla stabilità dei rapporti familiari, nell'ambito di una sempre maggiore considerazione del diritto alla identità non necessariamente correlato alla verità biologica, ma ai legami affettivi e personali sviluppatisi all'interno di una famiglia». Inoltre, «tale bilanciamento, guardato nell'ottica dell'interesse superiore del minore, non può costituire il risultato di una valutazione astratta, ma richiede un accertamento in concreto dell'interesse del minore nelle vicende che lo riguardano, con particolare riferimento agli effetti del provvedimento richiesto in relazione all'esigenza di uno sviluppo armonico dal punto di vista psicologico, affettivo, educativo e sociale».

In pratica, la stessa sezione I della Corte di Cassazione, pochi mesi prima, aveva ritenuto errato ridurre la questione al mero dato biologico, senza operare una contestuale valutazione dell'interesse del minore. Il favor minoris, secondo Cass. civ. n. 26767/2016, deve prevalere anche sulla verità della procreazione, che non rappresenterebbe «un valore di rilevanza costituzionale assoluta da affermarsi comunque». In questo caso la Corte interpreta il 4 comma dell'art. 30 Cost. diversamente da quanto fatto con la sentenza n. 4020/2017, ritenendo che al legislatore ordinario sia demandato «il potere di privilegiare, nel rispetto degli altri valori di rango costituzionale, la paternità legale rispetto a quella biologica, nonché di fissare le condizioni e le modalità per far valere quest'ultima, così affidandogli anche la valutazione in via generale della soluzione più idonea per la realizzazione dell'interesse del figlio».

Quindi, l'equiparazione tra figli matrimoniali e figli “naturali” e l'oggettivo minor valore “sociale” oggi attribuito allo status legale a fronte della verità biologica, non escludono che, allorchè venga chiesta la rimozione dello status originariamente acquisito, l'interesse del minore rivesta importanza fondamentale.

Ciò che occorre bilanciare è la verità biologica con l'interesse del figlio alla stabilità familiare: il favor veritatis va integrato con valutazioni, relative al figlio, inerenti il contesto in cui questi è inserito. In altre parole si tratta di valutare, caso per caso, se corrisponde all'interesse del minore perdere il legame genitoriale già esistente, e se ciò corrisponda realmente alla salvaguardia della sua identità personale.

Detto assunto trova indiretta conferma nell'art. 244, u.c., c.c., che prevede il termine decadenziale di cinque anni dalla nascita del figlio per l'esercizio dell'azione di disconoscimento da parte della madre o del padre legale. Si presume, in pratica, che decorso un certo arco temporale, il figlio abbia acquisito una propria identità, il cui mutamento potrebbe recargli pregiudizio. In tal caso, la verità biologica è destinata a soccombere.

Non solo: le azioni di stato sono tutte imprescrittibili riguardo al figlio, che quindi è arbitro del proprio destino, potendo decidere in qualsiasi momento se cambiare il proprio stato giuridico una volta divenuto adulto o, viceversa, conservarlo. Spetta esclusivamente a lui, quindi, compiere un bilanciamento, del tutto personale, tra i diversi interessi, quello alla verità biologica ma anche quello a mantenere lo stato non veridico, al fine di conservare rapporti sociali e affettivi già consolidati.

Relativamente alla fase processuale preposta alla valutazione dell'interesse del minore: il richiamato art. 244 c.c., nell'ultimo comma, disciplina l'azione esercitata nell'interesse del figlio minore da un curatore speciale nominato dal Giudice, dopo aver assunto sommarie informazioni, su istanza del figlio ultra quattordicenne, ovvero del PM o dell'altro genitore, se di età inferiore. La Corte Costituzionale ha confermato la corrispondenza ai principi costituzionali della disposizione, specificando che il Giudice, chiamato a nominare il curatore speciale, deve valutare l'interesse del minore alla proposizione dell'azione e darne conto nel provvedimento di nomina (C. cost. 27 novembre 1991. n. 429 in Giur. It. 1992, I, 1, 382).

Tendenzialmente, nel caso di figlio infraquattordicenne, il Giudice dovrebbe valutare attentamente la sussistenza dell'interesse del figlio all'azione, poiché la rimozione dello status acquisito è definitiva e non potrebbe più essere oggetto di ripensamento da parte del figlio divenuto maggiorenne. Allorchè la norma richiede che vengano assunte sommarie informazioni, essa impone un adeguato approfondimento anche dei motivi per cui l'altro genitore non abbia proposto azione di disconoscimento.

La nomina del curatore avviene con procedimento camerale definito con decreto motivato ai sensi dell'art. 737 c.p.c.. Quanto alle sommarie informazioni esse avrebbero lo scopo di verificare il fumus boni iuris riguardo alla fondatezza dell'azione, mentre, nel caso che l'istanza provenga dal PM, per il figlio infraquattordicenne, lo scopo dell'indagine riguarderà la rispondenza dell'azione di disconoscimento all'interesse del minore (come specificato dalla già citata C. cost., 27 novembre 1991, n. 429). Il problema si pone, appunto, relativamente all'individuazione della fase processuale in cui detto interesse va valutato.

Come anzidetto la sentenza in commento anche sotto questo profilo si pone in contrasto con Cass. n. 26767/2016 con la quale i Giudici di legittimità avevano evidenziato che il procedimento ex art. 737 c.p.c. ss. non è idoneo a garantire l'interesse del minore, non esonerando quindi il Giudice del merito dalla valutazione della rispondenza o meno degli effetti del disconoscimento all'interesse del minore, perché già effettuata in relazione all'istanza del pubblico ministero in relazione alla nomina del curatore speciale stesso. La Corte, con questa sentenza, richiama lo stesso precedente cui fa cenno Cass. n. 4020/2017 (individuandolo come attuale riferimento), ossia la sentenza Cass.civ., 5 gennaio 1994, n. 71, identificandolo tuttavia come un arresto, superato alla luce delle successive pronunce che hanno affermato la carenza di definitività e decisorietà del provvedimento di nomina del curatore speciale ai sensi dell'art. 244, u.c., c.c. (Cass., 25 novembre 1998, n. 11947), carente della garanzia offerta dal contraddittorio, trattandosi di un procedimento in cui soltanto il pubblico ministero assume la qualità di parte (Cass., 19 settembre 2003, n. 13892).

D'altro canto, pare intuitivo che il giudizio sulla valutazione dell'interesse del minore, anche considerata la materia peculiare di cui trattasi, possa conseguire solo all'esito di un giudizio di cognizione piena, e non all'esito di "sommarie informazioni", relative all'opportunità o meno di nominare un curatore che promuova l'azione di disconoscimento in nome e per conto del minore.

Il contrasto tra le due sentenze della Corte di Cassazione è tanto evidente se si considera che entrambe fondano la rispettiva tesi sui principi affermati dalla Corte costituzionale con sentenza additiva n. 429/1991, che ha dichiarato infondata la questione di legittimità dell'art. 244 c.c. in relazione agli artt. 30, comma 3 e 4, Cost. «poiché, quando l'azione di disconoscimento di paternità del minore di sedici anni è proposta su istanza del Pubblico Ministero, la valutazione dell'interesse del minore all'esperimento dell'azione è affidata al Giudice».

Con la sentenza n. 26767/2016 la Suprema Corte richiamava la decisione del Giudice delle Leggi da ultimo citata laddove affermava che «se si tratta di un minore di età inferiore ai sedici anni, la ricerca della paternità, pur quando concorrono specifiche circostanze che la fanno apparire giustificata ai sensi dell'art. 235 c.c. o art. 274, comma 1, c.c. non è ammessa ove risulti un interesse del minore contrario alla privazione dello stato di figlio legittimo o, rispettivamente, all'assunzione dello stato di figlio naturale nei confronti di colui contro il quale si intende promuovere l'azione: interesse che dovrà essere apprezzato dal giudice soprattutto in funzione dell'esigenza di evitare che l'eventuale mutamento dello status familiare del minore possa pregiudicarne gli equilibri affettivi e l'educazione».

La sentenza n. 4020/2017, invece, richiama la stessa pronuncia della Corte Costituzionale ritenendola coerente con l'orientamento della Corte di Cassazione espresso nella pronuncia n. 71/1994, per cui la valutazione dell'interesse del minore anche nella fase di merito non troverebbe alcun riferimento normativo e sarebbe un'inutile duplicazione.

Pare quindi che su questo punto, ma anche sull'altro citato, ovvero se l'accertamento della verità biologica sia espressione di un interesse costituzionale sempre prevalente rispetto ad altri interessi potenzialmente in contrasto, come, appunto, quello del figlio minore a non veder modificato lo status allorchè ciò sia contrario al suo interesse, non possa prescindersi da un intervento chiarificatore delle Sezioni Unite.

Infine, merita un accenno un'ultima questione, ossia quella della mancata previsione legislativa della legittimazione attiva del padre naturale. Solo la madre, il padre legale e il figlio sono legittimati a chiedere il disconoscimento: è una disposizione che consegue al principio, tutt'ora vigente, del favor legitimitatis, che impone ai terzi di astenersi dalla possibilità di rimuovere lo status acquisito, per non esporre la famiglia “legittima” a turbamenti provenienti dall'esterno. Diversamente, si porrebbe in essere una violazione del principio sancito dall'art. 30, comma 3, Cost.: solo chi è titolare del rapporto filiale può rimuovere lo status essendo già venuta meno l'affettività tra i membri della famiglia legittima.

L'esclusione del padre biologico dal novero dei legittimati attivi è stata oggetto anche della già citata sentenza C. cost. n. 429/1991, che tuttavia ha ritenuto la questione inammissibile, poiché implica scelte discrezionali proprie del legislatore inerenti l'equilibrio tra verità legale e verità biologica.

Il padre biologico può accertare il rapporto di filiazione naturale solo se prima è stato rimosso lo stato di figlio “matrimoniale” contrario alla verità della procreazione da parte dei soggetti indicati dall'art. 243-bis c.c. (madre, padre e figlio). La conseguenza, paradossale, è che se i membri della famiglia matrimoniale si disinteressano del figlio ma non esercitano l'azione di disconoscimento, il bambino potrebbe ritrovarsi in una situazione di sostanziale abbandono senza che il padre biologico possa fare alcunché.

L'unica tutela per il padre naturale è data dallo strumento individuato dall'art. 244, u.c., c.c., ossia, appunto, egli può rivolgersi al PM affinchè domandi la nomina di un curatore speciale che promuova il disconoscimento. Quindi: il PM può intervenire sulla famiglia unita, che abbia superato la crisi ingenerata dalla scoperta dall'adulterio, con intuibili effetti che potrebbero demolire il legame famigliare ed affettivo e comportare sconvolgimenti emotivi violenti nella vita del minore, ma il padre biologico, portatore di un interesse assai rilevante, ossia quello di veder riconosciuta la propria figura di genitore, non può agire direttamente. Soluzione, a parere di chi scrive, discutibile.