Il rapporto tra il reato di maltrattamenti e quello di atti persecutori

Antonio Calaresu
Cristina Cerrato
15 Maggio 2015

Le recenti modifiche introdotte nell'ambito del sistema delle tutele della violenza di genere, rendono critici i rapporti tra la fattispecie prevista dall'art. 572 c.p. e quella relativa agli atti persecutori.L'estensione della fattispecie degli atti persecutori al coniuge, a prescindere dalla convivenza e dal vincolo matrimoniale, attuale o pregresso, rende infatti inafferrabile la distinzione tra il reato di maltrattamenti e quello di atti persecutori, ponendo l'ulteriore problematica per il diverso regime di procedibilità.Gli autori, analizzando i filoni giurisprudenziali creatisi sotto il vigore delle pre-cedenti norme nonché il testo delle modifiche, individuano la sottile linea di confine tra alternatività e coesistenza delle due fattispecie criminose.
Il quadro normativo

Gli interventi adottati con le leggi n. 172/2012 e n. 119/2013 nell'ambito dei reati espressione di violenza domestica, hanno inciso sia sul piano del diritto sostanziale che su quello processuale.

La prima modifica ha esplicitamente intestato in modo nuovo l'art. 572 c.p. (maltrattamenti contro familiari e conviventi), così segnalando il dato della qualità della vittima di maltrattamenti; essa deve necessariamente essere «una persona della famiglia o comunque convivente, o sottoposta alla sua autorità, o affidata a lui per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza, o custodia, o per l'esercizio di una professione o arte».

L'ambito applicativo del delitti di maltrattamenti rende configurabile tale reato a fatti commessi anche all'interno di particolare e specifiche comunità: carcere, scuola, botteghe, caserme, ristretti e specifici ambienti lavorativi.

Ma il dato numericamente più elevato (si ricorda l'enorme cifra oscura del delitto di maltrattamenti) attiene a quelle ipotesi che avvengono all'interno della famiglia; quest'ultima intesa sia nel senso più tradizionale, sia alla luce delle crescenti aperture giurisprudenziali alla riconoscimento delle stabili comunità di vita tra soggetti dello stesso sesso, irrilevante che derivi da matrimonio o da convivenza stabile.

Il punto è fondamentale per escludere dall'ambito applicativo del delitto di cui all'art. 572 c.p. tutte quelle condotte, sempre penalmente rilevanti e frequentemente fortemente lesive dell'integrità della vittima, che però scaturiscano da un rapporto interpersonale tra reo ed vittima mai caratterizzato da convivenza; è la convivenza che consente alla abitualità delle condotte umilianti e prevaricatrici di cagionare l'evento tipico del delitto di maltrattamenti.

È però necessario ricordare che è sufficiente che la convivenza (intesa come comunità morale e materiale tra i due soggetti) sia insorta nella realtà materiale e che la sua interruzione non osta alla configurabilità del delitto di maltrattamenti: da tempo la giurisprudenza di legittimità ha infatti statuito che la cessazione della convivenza (matrimoniale o concernente le coppie di fatto) non fa venire meno l'obbligo di rispetto dell'altro soggetto della coppia o della ex coppia (Cass. pen., sez. VI, 8 luglio 2014, n. 33882; Cass. pen., sez. VI, 18 marzo 2014, n. 31123; Cass. pen., sez. VI, sent., 21 gennaio 2009, n. 16658).

La legge n. 119/2013 ha dato particolare rilevanza alla relazione affettiva tra autore del reato e vittima. Con l'introduzione dell'aggravante per il reato di atti persecutori commesso dal coniuge, ha esteso l'area di applicabilità della fattispecie anche a condotte persecutorie poste in essere da un coniuge non legalmente separato o divorziato. La valutazione della relazione affettiva come presupposto per l'applicazione di aggravanti nei reati di violenza di genere ha il pregio di stigmatizzare l'orientamento (sub) culturale che tende a dare una giustificazione della violenza agita su persone legate da relazione interpersonale.

Il problema del rapporto dell'art. 572 c.p. con il reato di atti persecutori

Tra le due fattispecie vi sono alcune interferenze dovute alla struttura di reato a forma libera dell'art. 572 c.p. e all'ampia varietà di condotte riconducibili alla condotta di maltrattamenti, tra le quali possono rientrare anche possibili atti persecutori.

Le due leggi di modifica dell'art. 572 c.p. prima hanno introdotto una aggravante specifica del fatto commesso in danno di minore degli anni 14; poi, previa abrogazione del comma 2 dell'art. 572 c.p., hanno introdotto l'aggravante di carattere generale dell'art 61 n. 11-quinquies c.p. prevedendo l'aumento di pena alla commissione del fatto in danno di minorenne ed alla presenza di minorenne; contestualmente è stata introdotta l'aggravante dell'art. 612-bis c.p. commesso in danno di coniuge o del convivente; di qui gli attuali interrogativi in ordine alla linea di confine tra le fattispecie penali.

Ferma restando la possibilità di un concorso di norme che renda concorrenti entrambi i reati di maltrattamenti e atti persecutori, il reato di cui all'art. 612-bis c.p. diventa idoneo a sanzionare condotte che, se sorte nell'ambito della comunità familiare, in seno alla comunità familiare o affettiva, esulano dalla fattispecie di maltrattamenti per la sopravvenuta definitiva cessazione del vincolo familiare o affettivo. La soluzione dei casi concreti sarà da individuare nella circostanza di fatto della definitiva e risalente cessazione della convivenza. Quindi in caso di divorzio o di separazione (irrilevante che sia di diritto o di fatto) a seguito della quale la convivenza (coniugale o more uxorio) sia cessata da tempo ed in modo irreversibile, sarà possibile configurare il delitto di atti persecutori; negli altri casi il fatto penalmente rilevante rientrerà nell'ambito applicativo della norma di cui all'art. 572 c.p. (maltrattamenti).

In conclusione

Non sarà possibile parlare di maltrattamenti dopo la sentenza di divorzio o dopo che la separazione (di fatto o di diritto, attinente rapporto di coniugio o basato su convivenza more uxorio, irrilevante il distinguo) ha assunto il carattere della irrevocabile definitività.

È il caso dei coniugi formalmente ancora legati da matrimonio o da ex conviventi, che da anni non abbiano alcun tipo di rapporto tra loro; in questi casi la tutela accordata dall'art. 572 c.p. cessa di avere una ragione giustificatrice.

Sono questi ultimi i casi in cui potrà trovare esatta applicazione l'art. 612-bis c.p., delitto contro la persona che ha altro bene giuridico tutelato (è delitto contro la persona, segnatamente contro la libertà individuale).

Qui trova tutta la sua giustificazione l'aggravante di cui all'art. 612-bis comma 2 c.p., quando il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato o da persona che è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa.

Alla luce delle osservazione precedenti nulla quaestio sulla posizione di divorziato o di persona che “ è stata legata“ da relazione affettiva; divorzio e participio passato ci ricordano che il rapporto si è definitivamente – anche in senso temporale - interrotto.

Il coniuge convivente che reiteratamente minacci e molesti l'altro coniuge commette il delitto di maltrattamenti; la clausola di esclusione con cui inizia l'art. 612-bis c.p (“salvo che il fatto non costituisca più grave reato“) a parere di chi scrive non lascia spazio per interpretazioni diverse.

Qualche problema potrebbe scaturire dagli atti persecutori commessi dal coniuge separato di fatto.

Una delle interpretazioni possibile è quella di poter ritenere concorrenti i delitti di maltrattamenti (per le condotte in regime di convivenza o immediatamente dopo la sua definitiva cessazione) e di atti persecutori (per le condotte successive); l'applicazione del solo delitto di atti persecutori ove le condotte di minaccia e di molestia siano insorte solo dopo la definitiva e cronologicamente distanziata, cessazione della convivenza.

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