Actio interrogatoria ex art. 481 c.c. e perdita del diritto di accettare l’eredità
13 Luglio 2015
Massima
In caso di termine per accettare l'eredità fissato ex art. 481 c.c. il chiamato che non si attiva nei termini perde non solo la qualità di erede testamentario ma anche di erede legittimo. Il caso
La de cuius aveva disposto dei propri beni per testamento nominando eredi universali i propri figli, senza nulla lasciare al marito. Quest'ultimo ha chiesto al tribunale la fissazione del termine ex art. 481 c.c., entro il quale i figli chiamati avrebbero dovuto dichiarare se accettavano o rinunziavano all'eredità. I figli hanno lasciato trascorrere il termine fissato dal giudice senza effettuare dichiarazioni. La mancata dichiarazione, ai sensi dell'ultimo capoverso dell'art. 481 c.c., comporta, l'inefficacia della chiamata testamentaria. Si fa luogo all'apertura della successione legittima, nella quale però non vengono chiamati coloro che avevano lasciato invano trascorrere il termine loro assegnato ex art. 481 c.c.. Esclusi i figli dalla successione, l'unico chiamato è il marito, che nel testamento non era nemmeno nominato. Il Tribunale di Milano legge nell'esclusione implicita effettuata dalla de cuius una tacita volontà di diseredare il marito; sulla base di tale assunto dichiara di aprire la successione legittima ma ne sono esclusi il marito per diseredazione e i figli per mancata dichiarazione nei termini concessi ex art. 481 c.c. e perciò, in assenza di altri gradi di successibili, essa è a favore dello Stato. La Corte d'Appello, di contro, afferma che il coniuge superstite è l'unico chiamato all'eredità, essendo venuta meno la successione per testamento e non attribuendo alcun valore ad una presunta diseredazione implicita. La questione
La Cassazione affronta la questione relativa alla natura del termine disposto dal giudice ai sensi dell'art. 418 c.c., in considerazione degli effetti estremamente gravi che esso comporta. Infatti, la decorrenza dei termini senza dichiarazioni comporta la perdita del diritto di accettare l'eredità, non solo per la chiamata per cui è stata effettuata l'actio interrogatoria, ma anche per la successione di legge che si apre in seguito. Le soluzioni giuridiche
Ai sensi dell'art. 480 comma 1 c.c., il diritto di accettare l'eredità si prescrive in 10 anni. Il termine di prescrizione ordinario decennale, nel caso del diritto in questione, manifesta un principio importante: il chiamato all'eredità ha diritto di rimanere inerte per tutto il detto termine, mantenendo vivo il suo diritto potestativo (Cass. n. 6099/1993). Il termine, per quanto ampio, rappresenta un diverso principio di ordine generale: deve sempre essere identificato un successibile, al limite anche lo Stato. La regola subisce tre sole eccezioni:
In tale ultimo caso, appare evidente che il legislatore abbia scelto di comprimere il diritto potestativo del chiamato all'eredità per permettere a chi attivamente ha dimostrato interesse a quella eredità di subentrare nella chiamata. Infatti, i maggiori interessati all'esercizio dell'azione ex art. 481 c.c. sono i chiamati ulteriori o in subordine, che temono la prescrizione del diritto di accettare l'eredità ex art. 480 comma 3 c.c.. La natura del termine assegnato dall'autorità giudiziaria al chiamato è di decadenza: la scadenza di detto termine comporta una perdita assoluta del diritto di accettare. Gli effetti della decadenza del diritto di accettare l'eredità non possono essere rapportati agli effetti prodotti da altre dichiarazioni volontarie. Infatti, nel caso in cui il chiamato rinunci, la sua dichiarazione non sarà insuperabile ed egli potrà accettare ai sensi dell'art. 525 c.c., ovvero impugnare la rinuncia per vizi; infine, il creditore del rinunciante potrà chiedere la revoca della rinuncia, mentre sarà senza difesa in caso di decadenza per inattività del termine concesso ex art. 481 c.c.. Osservazioni
«La perdita del diritto di accettare l'eredità ex art. 481 c.c. comporta anche la perdita della qualità di chiamato all'eredità e di conseguenza la totale inefficacia della chiamata all'eredità per testamento con l'ulteriore conseguenza che non si verifica la coesistenza di una successione testamentaria e di una successione legittima, ma si apre esclusivamente la successione legittima e, in conseguenza dell'inefficacia della devoluzione testamentaria, l'eredità, ai sensi dell'art. 457 c.c. si devolve per legge; infatti nel nostro sistema, il fenomeno devolutivo dei beni e l'individuazione degli eredi e dei legatari possono trovare indistintamente fondamento sia nella legge che nella volontà del testatore; proprio il richiamato articolo stabilisce che occorre farsi luogo alla successione legittima, quando manca in tutto o in parte quella testamentaria; il concorso tra le due vocazioni è riconducibile ad un rapporto di reciproca integrazione; per tali ragioni è del tutto "fuori tema" il precedente (Cass. 10 maggio 2002, n. 6697) richiamato dal ricorrente, trattandosi di precedente nel quale si discuteva del diverso problema di una clausola testamentaria con la quale il testatore lasciava il rimanente di quanto posseduto agli aventi diritto ed era stata attribuita a questa disposizione la natura di delazione testamentaria» (Cass. civ. n. 22195/2014). La Cassazione afferma che la perdita del diritto di accettare l'eredità dovuta all'inerzia ex art. 481 c.c. comporta una perdita assoluta di tale diritto, senza alcuna distinzione in base al titolo della chiamata stessa: se la chiamata iniziale è per testamento, la delazione che opera in via sussidiaria è per legge, ma sempre escludendo chi ha perduto il diritto di accettare l'eredità per inerzia; se la chiamata iniziale è per legge, non possono esistere titoli sussidiari e l'eredità si devolverà secondo i gradi ulteriori. La Cassazione, perciò, esclude che, una volta resa inefficace la chiamata testamentaria per inutile decorso del termine di cui all'art. 481 c.c., possa di nuovo essere chiamato alla successione legittima il medesimo oggetto inerte, statuendo anche un principio di economia processuale, evitando che debba essere esperita una nuova actio interrogatoria nei confronti di chi già è rimasto inerte alla prima chiamata. |