La Cassazione riconosce il vincolo del trust autodichiarato e applica l’imposta all’8%
13 Ottobre 2015
Massima
“L'atto denominato trust, funzionale, quoad effectum, all'applicazione di un regolamento equiparabile ad un fondo patrimoniale, va qualificato ai fini tributari come atto costitutivo di vincolo di destinazione, con le conseguenti assoggettabilità alla relativa imposta dei beneficiari della destinazione e responsabilità d'imposta del notaio rogante”. Il caso
La vicenda ha ad oggetto l'istituzione di un trust in cui i coniugi disponenti sono anche trustee autodichiarati e beneficiari del medesimo. Stante la mancanza di attualità di trasferimento di diritti, il notaio rogante applica in misura fissa le imposte di registro, ipotecaria e catastale. Di contro, l'Agenzia delle entrate notifica al notaio avviso di liquidazione, col quale chiede in misura proporzionale le imposte ipotecaria e catastale, nonché l'imposta sulle successioni e donazioni con aliquota dell'8%. Il notaio propone pertanto ricorso, accolto dalla Commissione tributaria provinciale. Successivamente, respinto l'appello dell'Agenzia delle entrate, con sentenza n. 194/52/12 Comm. trib. reg. Campania, sez. 52, depositata in data 30 ottobre 2012, l'ente ricorre in Cassazione. La questione
La Suprema Corte esamina il trust autodichiarato sotto il profilo sostanziale e tributario. Sono due le questioni principali affrontate. Il primo quesito tecnico attiene alla possibilità che il trust autodichiarato possa essere annoverato fra i trust e assoggettato alla sua disciplina, con tutte le caratteristiche conseguenti a tale qualifica o se, invece, debba essere qualificato come un mero regolamento di interessi con effetto segregativo sul patrimonio del disponente. In secondo luogo, la cassazione analizza l'imposta indiretta relativa a tale vincolo: mancando il trasferimento di beni al trustee, l'atto istitutivo del Trust va tassato in misura fissa o proporzionale? Le soluzioni giuridiche
Secondo la Cassazione, il trust autodichiarato in esame, benché sia denominato trust, non ne ha la fisionomia, in quanto manca il presupposto essenziale del trasferimento dei beni dal disponente al trustee. La fattispecie va, pertanto, qualificata come mero regolamento che ha l'effetto di istituire un vincolo sui beni. Argomentazione a sostegno di tale tesi si rinviene nella definizione di trust data dall'art. 2 della Conv. dell'Aja 1 luglio 1985, ratificata con l. 16 ottobre 1989, n. 364, da cui si desume che la causa del trust consiste nella conformazione funzionalmente orientata della proprietà. Pertanto, come sostenuto dalla Cass.,9 maggio 2014,n. 10105, lo scopo caratteristico del trust richiede non solo la separazione dei beni dal restante patrimonio del settlor, ma anche la loro intestazione ad altro soggetto, fermo restando l'effetto segregativo. Tale orientamento di sfavore nei confronti del trust autodichiarato si evidenzia anche in precedenti pronunce (Cass. pen., sez. V, 30 marzo 2011, n. 13276, Cass. pen., sez. VI, 27 febbraio 2014, n. 21621) secondo le quali la perdita solo apparente del controllo dei beni da parte del disponente rende il trust nullo (sham trust). La Suprema Corte rileva, altresì, che dall'analisi dei commi 2 e 3 dell' art. 2 della Convezione il trustee deve essere terzo rispetto al disponente, non potendo riunirsi in capo a quest'ultimo tutti i poteri. Infatti, conclude la Corte, qualora si qualificasse come trust l'istituto in esame ne conseguirebbe per prima cosa «l'impossibilità della sua entificazione ai fini della soggettività passiva». L'ordinanza non si spinge oltre, limitandosi a riconoscere che il giudizio sulla validità del trust autodichiarato va effettuata secondo il diritto straniero prescelto (art. 8 Conv. dell' Aja 1895). Quanto al regime tributario applicabile, la Corte precisa che in caso di costituzione di trust autodichiarato (che non contempli quindi il trasferimento di beni) deve essere tassata l'istituzione del vincolo. I disponenti, infatti, nel regolamentare i propri interessi con effetti segregativi assimilabili a quelli di un fondo patrimoniale, hanno impresso, con effetti immediati e diretti, un vincolo temporaneo al libero esercizio dei propri stessi diritti sui beni. Pertanto, i disponenti, con il conseguimento dell'effetto voluto, sono da considerarsi soggetti passivi di imposta. Tale tesi deriva dall'interpretazione dell'art. 2, comma 47, d.l. n. 262/2006, per cui, in relazione ai vincoli di destinazione, l'imposta sulle successioni e donazioni non è dovuta sul trasferimento di beni, come avviene nelle ipotesi di successione o donazione, ma direttamente sulla costituzione del vincolo. Per la norma ha, quindi, rilevanza tale effetto segregativo. Di conseguenza, nel campo applicativo della disposizione devono ritenersi compresi tutti i regolamenti che producano «l'effetto giuridico di destinazione», ossia ogniqualvolta i diritti dominicali vengano orientati al perseguimento degli obiettivi voluti. Ai fini dell'imposizione fiscale non rileva che il diritto sia trasferito, ma è sufficiente che venga modulato per effetto della destinazione. L'imposta sui vincoli è un'imposta nuova, con caratteri peculiari e disomogenei rispetto alla imposta classica sulle successioni e sulle donazioni. In quest'ultima, infatti, il presupposto impositivo è rappresentato dall'arricchimento. Diversamente, nell'imposta sui vincoli la capacità contributiva sorge in forza della destinazione impressa ai beni e consiste nel valore dell'utilità economica, di cui si impoverisce il disponente, sottraendosi alle ordinarie facoltà proprietarie. Il riferimento all'utilità economica consente alla Cassazione di escludere, tra l'altro, i dubbi di legittimità costituzionale per un'eventuale violazione dei principi di ragionevolezza e di capacità contributiva, in ragione della mancanza di arricchimento. L'imposta si applica perciò a tutti gli atti o fatti caratterizzati da capacità contributiva, secondo la definizione data dalle pronunce della Corte Costituzionale (C. cost., 20 luglio 1994, n.315 e C. cost., 21 maggio 2001, n. 155). Fra questi si annoverano anche gli atti di destinazione ai sensi dell'art. 2645 ter c.c. Quanto all'aliquota applicabile, è determinata nella misura dell'8% ai sensi dell'art.2, comma 49 lett. c), d.l. n. 262/2006, poiché i conferenti, che restano proprietari dei beni, non appartengono ad alcune categorie previste dalla norma che beneficiano di aliquote inferiori. In relazione alle imposte ipotecaria e catastale, esse si applicano in misura proporzionale, come stabilito rispettivamente dall'art. 2 comma 2 e dall'art. 10 d.lgs., 31 ottobre 1990, n. 347. Osservazioni
L'ordinanza in esame si allinea ad altre recenti pronunce di legittimità (Cass., ord. 24 febbraio 2015, n. 3735 e n. 3737 e Cass., ord., 18 marzo 2015, n. 5322) dalle quali emerge un orientamento di sfavore per i trust. In relazione alla validità del trust autodichiarato, la pronuncia in commento mette in evidenza le criticità dell'istituto sulla base della Convenzione dell'Aja. Tuttavia, resta il fatto che ciascun ordinamento straniero è libero di delineare il trust e di circoscriverne il perimetro: il trust autodichiarato potrebbe, perciò, esser ritenuto ammissibile, secondo quanto nell'ordinamento straniero di provenienza, in quanto strumento idoneo a perseguire interessi meritevoli di tutela. Pertanto, la sua condanna non dovrebbe avvenire apriori, ma sulla base di un'indagine volta ad accertarne la causa in concreto. Non si può tacere, però, che il rischio di incorrere in uno sham trust è sicuramente più elevato, in quanto il trust autodichiarato si presta maggiormente a simulazione e a costruzioni artificiose. Inoltre, in considerazione del fatto che non sussiste una legislazione ad hoc ma viene riconosciuta la legge eletta dalle parti per regolare lo strumento, ogni variante rispetto allo schema tipico del trust (cioè quello con disponente, trustee e beneficiario diversi tra loro) costituisce un problema di riconduzione ai principi del nostro ordinamento, per verificarne la tenuta e di conseguenza la validità; il trust autodichiarato, inoltre, si scontra con un attitudine di fondo del nostro ordinamento, per il quale risulta difficile concepire la proprietà separata dal proprio titolare e funzionalizzata al perseguimento di un programma negoziale. Va, comunque, rilevato che nell'ordinamento italiano esistono diversi vincoli che possono definirsi “auto-istituiti”, come ad esempio il fondo patrimoniale, l'eredità beneficiata, i vincoli di destinazione ex art. 2645 ter c.c. e i patrimoni destinati ad uno specifico affare ex art. 2447bis c.c.). Quanto ai profili fiscali si deve tener conto che già la circolare dell'Agenzia delle Entrate 6 agosto 2007, n. 48/E sostenne che l'imposta è dovuta al momento della costituzione del trust e si applica con aliquota proporzionale anche nel caso di trust autodichiarato, in cui non vi sia stato un trasferimento di beni, avendo riguardo, per il calcolo, alla relazione tra disponente e beneficiario. Inoltre, la devoluzione ai beneficiari dei beni vincolati non realizza, ai fini dell'imposta sulle donazioni, un presupposto impositivo ulteriore. Tuttavia, l'orientamento delle Commissioni tributarie (recentemente, Comm. trib. reg., Milano, 10 febbraio 2015, n. 386) ritiene, in senso contrario, che l'imposta deve essere richiesta al momento del trasferimento dei beni, in base il principio di capacità contributiva. Tesi quest'ultima, peraltro, seguita dalla prassi notarile, secondo cui risulta ingiustificata la richiesta anticipata del tributo, poiché il beneficiario al momento dell'atto istitutivo è titolare solo di un'aspettativa e non consegue un arricchimento effettivo. L'ordinanza in esame ritiene dovuta l'imposta al momento della costituzione del trust, provocando un'inversione di rotta, ed è particolarmente innovativa laddove sostiene l'applicabilità del tributo ai vincoli di destinazione senza attribuzione di beni. Infatti, la circolare dell'Agenzia delle entrate 22 gennaio 2008 escluse l'applicabilità dell'imposta sulle successioni e donazioni ai vincoli di destinazione senza effetti traslativi, ritenendoli invece soggetti all'imposta di registro in misura fissa, in quanto atti senza contenuto patrimoniale (art. 11 Tariffa, parte I, allegata al TUIR, approvato con d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131). Potrebbe essere utile, pertanto, un ulteriore intervento chiarificatore da parte dell'ente in merito alla tassazione dei vincoli di destinazione. In conclusione, si ritiene che, alla luce della decisione in oggetto, la tassazione del trust autodichiarato e dei vincoli di destinazione senza effetto traslativo debba avvenire in un momento anticipato rispetto a quello dell'uscita dei beni dal patrimonio del disponente; in particolare il momento impositivo coincide al momento in cui si costituisce la segregazione, che è l'effetto economico voluto dal disponente. Inoltre, tale imposta sui vincoli di destinazione non può essere richiesta in aggiunta a quella classica sulle successioni e donazioni, in quanto costituisce surrogato di quest'ultima. Quanto all'aliquota applicabile, il legislatore, se si limita a considerare il trasferimento di beni nel prevedere i casi agevolati, certamente non tiene conto della possibile coincidenza fra disponente e beneficiario. Quindi, si applica in via residuale l'aliquota massima dell'8%, senza alcuna franchigia ogniqualvolta disponente e beneficiario coincidano. |