Le misure dirette a rafforzare la tutela della vittima di maltrattamenti in famiglia
15 Maggio 2015
Il quadro normativo
La prima delle novità in tema di maltrattamenti in famiglia è stata introdotta dalla legge 1° ottobre 2012, n. 172 che ha modificato l'art. 572 c.p. innalzando nel massimo la pena edittale, portata a 6 anni. Conseguentemente è oggi prevista la possibilità di procedere ad intercettazioni nelle indagini per tale delitto. A distanza di poco più di un anno la legge 9 agosto 2013, n. 94 ha poi previsto che il Giudice possa disporre gli arresti domiciliari del colpevole solo in luogo idoneo ad assicurare le prioritarie esigenze di tutela della persona offesa dal reato (art. 284 comma 1-bis c.p.p.); in tale modo si è introdotta una specifica previsione a protezione della sicurezza della vittima, onde evitare che la misura cautelare fosse eseguita con modalità non protettive delle esigenze della vittima o peggio ancora in modo da evitare il paradosso di disporre gli arresti domiciliari nella casa familiare teatro dei maltrattamenti. La legge 15 ottobre 2013, n. 119 (di conversione del d.l. 14 agosto 2013, n. 93 cd. d.l. “femminicidio”) è poi quella che ha avuto il maggior impatto sull'impianto normativo preesistente. Essa prevede; i) l'introduzione dell'arresto in flagranza obbligatorio; ii) la definizione legale della violenza assistita; iii) l'introduzione della misura pre-cautelare dell'allontanamento d'urgenza dalla casa familiare; iv) innovativi ed ampi poteri di intervento, impulso e controllo della persona offesa, per il tramite del suo Difensore, in sede di indagini preliminari; v) ulteriori misure dedicate alla fase dibattimentale in funzione dell'aumento della protezione della vittima dei reati di violenza di genere al fine di diminuire la probabilità di casi di vittimizzazione secondari. Segue: obbligatorietà dell'arresto in flagranza dei delitti di maltrattamenti (art. 572 c.p.) e atti persecutori (art. 612-bis c.p.).
Con tale previsione, il Legislatore ha voluto sottolineare la gravità di tali condotte e la assoluta e non procrastinabile necessità di interrompere l'iter criminis. La riforma non ha influito sul problema dell'accertamento dello stato di flagranza di tali delitti; la giurisprudenza ha da tempo chiarito che si tratta di delitti abituali (Cass. pen., sez. VI, 25 settembre 2013, n. 43221; Cass. pen., sez. VI, 19 giugno 2014, n. 47896; Cass. pen., sez. VI, 18 marzo 2014, n. 31121) per la cui integrazione è necessaria la reiterazione nel tempo delle condotte penalmente rilevanti (quelle espressamente descritte nell'art. 612-bis c.p., quelle ricostruite dalla giurisprudenza per il delitto di cui all'art. 572 c.p.). Conseguentemente, l'arresto in flagranza sarà legittimo quando la polizia giudiziaria intervenuta nell'immediatezza dell'ultimo atto di violenza in danno della vittima, accerti che tale atto di aggressione verso la vittima non è isolato, ma solo l'ultimo in senso temporale della serie di violenze che integra il delitto abituale. Per procedere legittimamente all'arresto, quindi, sarà necessario che la polizia giudiziaria procedente acquisisca nell'immediatezza dettagliata notizia di reato; essa poi andrà corredata con tutti quei riscontri (precedenti denunce-querele, referti medici, copie di atti di interventi 112 e 113, dichiarazioni di testimoni) necessari per confermare le accuse della persona offesa e la sussistenza del delitto abituale. Ovviamente, nell'ipotesi in cui non emergano elementi sufficienti per l'arresto obbligatorio (per mancato accertamento della sussistenza del delitto abituale o della sua flagranza), potrà comunque procedersi con l'allontanamento di urgenza; ciò, ovviamente, quando: a) vi siano comunque gli elementi per ritenere comprovata la flagranza di uno dei delitti previsti dall'art. 282-bis comma 6 c.p.p. (lesioni procedibili d'ufficio oppure aggravate, minacce gravi, abuso dei mezzi di correzione), e b) sussistano fondati motivi per ritenere che le condotte criminose possano essere reiterate ponendo in grave ed attuale pericolo la vita o l'integrità fisica o psichica della persona offesa. Segue: la nuova circostanza aggravante della violenza assistita
Costituisce una nuova circostanza aggravante comune di cui all'art. 61, n. 11-quinquies c.p. avere, nei delitti contro la vita, l'incolumità individuale, la libertà personale e nel delitto di cui all'art. 572 c.p., commesso il fatto in presenza di un minore o in danno di un minore. Con tale articolo si specifica, si estende e si amplia l'aggravante della c.d. violenza assistita, istituto di precedente creazione giurisprudenziale (Cass. pen., sez. VI, 10 dicembre 2014, n. 4332). Questa nuova circostanza aggravante comune – e quindi di applicazione generale - si integra quando ai fatti di maltrattamento assistono minori degli anni 18; da tempo la scienza medica prima e l'esperienza giudiziaria poi, confermano l'estrema lesività di tali condotte indirettamente maltrattanti nei confronti dei figli minori. Segue: misura pre-cautelare dell'allontanamento d'urgenza dalla casa familiare
Viene indrodotta la misura pre-cautelare (in aggiunta all'arresto in flagranza ed al fermo di polizia giudiziaria) dell'allontanamento d'urgenza dalla casa familiare: giusta autorizzazione del PM, la polizia giudiziaria, in caso di flagranza dei delitti di cui all'art. 282-bis comma 6 c.p.p. (ovverosia per i delitti di cui agli artt. 570, 571, 582, 600-bis e ss., 609-bis e ss., 612 comma 2 c.p. commessi in danno di prossimi congiunti o del convivente) può procedere a espellere dalla casa familiare l'indagato; ciò con sensibile anticipazione temporale della concreta tutela della persona offesa.i)in primo luogo per l'estensione dell'applicabilità di tale misura pre-cautelare ai delitti di lesioni semplici, pur aggravate o procedibili d'ufficio, e minacce gravi considerati come reati sentinella della violenza di genere; ii) in secondo luogo perché non c'è più bisogno di attendere una misura cautelare richiesta dal PM e adottata dal G.i.p., procedura che interviene con un lasso temporale apprezzabile rispetto all'insorgere del pericolo per la persona offesa (art. 384-bis c.p.p.). Segue: obblighi di informativa verso la persona offesa ed il suo Difensore nella fase delle indagini preliminari
La persona offesa ed il suo difensore vedono ampliato il lorro diritto di informativa nei momenti salienti della fase delle indagini preliminari: a) comunicazione alla persona offesa ed ai servizi socio-assistenziali del territorio della adozione delle misure cautelari nei confronti dell'indagato (singolarmente la l. n. 119/2013 impone tale precauzione solo per le misure dell'obbligo di allontanamento e del divieto di avvicinamento); b) notifica a cura della parte richiedente – e quindi anche il PM – al difensore della persona offesa, se nominato, o in mancanza direttamente alla persona offesa, delle richieste di revoca o sostituzione della misura cautelare da cui sia gravato l'indagato; tale disposizione – che molto opportunamente consente alla persona offesa di interloquire ritualmente attraverso il tempestivo deposito di memorie in cancelleria entro 2 giorni, giusta art. 121 c.p.p. – è posta a pena di inammissibilità della richiesta di revoca o sostituzione; segue poi il consueto iter procedimentale del parere del PM entro 2 giorni e decisione del Giudice entro i complessivi 5 giorni; c) obbligatoria notifica al difensore della persona offesa, o in mancanza alla persona offesa, dell'avviso di conclusione delle indagini art. 415-bis c.p.p., nei procedimenti per artt. 572 e 612-bis c.p.; d) obbligatoria notifica alla persona offesa della richiesta di archiviazione, giusta l'art. 408 comma 3-bis c.p.p., nei procedimenti per delitti commessi con violenza alla persona; in questo caso il termine per l'opposizione è elevato a 20 giorni. Il complesso degli obblighi informativi contribuiscono ad una efficace e tempestiva tutela concreta della persona offesa e le consentono, meglio se per il tramite della difesa tecnica, un controllo sullo svolgimento delle indagini preliminari ed un contributo alle medesime. Segue: altre significative modifiche
Sono state poi introdotte: a) l'assunzione con incidente probatorio della testimonianza del minore vittima di maltrattamenti ed atti persecutori, giusta art. 398 comma 5-bis c.p.p., oltre il regime ordinario; b) la proroga solo per una volta (accelerazione procedimentale) del Termine ordinario di durata delle indagini preliminari; c) l'esame testimoniale della vittima del delitto di cui all'art. 572 c.p. con modalità protette; d) la priorità nella formazione dei ruoli d'udienza e nella trattazione dei procedimenti per i delitti di cui agli artt. 612-bis, 572 e 609-bis e ss. c.p.; e) l‘introduzione della misura di prevenzione dell'ammonimento del Questore per i responsabili di atti di violenza di genere. In conclusione
Valutate unitariamente, le leggi sopra indicate (radicalmente innovativa l'ultima, che consente inediti poteri di conoscenza, di partecipazione e di impulso della persona offesa nel corso delle indagini) a parere di chi scrive, introducono anche una marcata sollecitazione ai soggetti pubblici chiamati ad applicarle, affinché tempestività ed esaustività diventino carattere ordinario delle indagini relative ai delitti commessi della violenza di genere. L'immanente necessità di provvedere deriva dal movente del delitto di maltrattamenti e dei delitti di violenza di genere, il particolare rapporto che lega reo e vittima, e dalla vicinanza tra tali soggetti; si tratta di due situazioni di fatto che portano con sé un sensibile rischio di reiterazione degli stessi o di più gravi delitti contro la medesima persona offesa. Il dibattito che ha preceduto l'introduzione della legge15 ottobre 2013, n. 119, non a caso adottata con lo strumento di urgenza, ha segnalato una crescente e condivisibile intolleranza verso quei fatti di violenza commessi in danno a donne che possano essere prevedibili ed evitabili. La nostra società ha raggiunto un livello di consapevolezza tale da percepire che alcuni dei numerosi omicidi che hanno come vittime donne, commessi dai loro partner, potevano essere impediti alla luce di una più attenta e purtroppo successiva analisi degli elementi acquisiti prima del fatto. Il nostro Legislatore si è fatto carico di questa consapevolezza. Attraverso queste tre leggi ha esplicitamente sollecitato gli organi di polizia giudiziaria, gli organi inquirenti e la magistratura giudicante, ognuno nell'ambito delle competenze esclusive di cui sono assegnatarie, ad intervenire rapidamente ed efficacemente. In particolare la l. n. 119/2013 valorizza ed esalta significativamente il ruolo dei Centri Antiviolenza, che spesso vengono a conoscenza delle notizie di reato prima della polizia giudiziaria. Pertanto viene incoraggiata l'intensificazione dei rapporti con tali Centri nel territorio al fine di consentire un immediato e reciproco flusso informativo. Non va sottovalutato che, nella maggior parte dei casi, le indagini per il delitto di maltrattamenti ed in generale per i delitti espressione di violenza di genere possono essere svolte in modo completo ed adeguato in tempi molto contenuti. In tempi altrettanto contenuti il PM, quando si determina in ordine alla sussistenza del fatto e valuta significativo il pericolo cautelare di reiterazione di delitti contro la persona in termini di probabilità e non di mera possibilità, può (in realtà deve) intervenire con tempestiva richiesta di misura cautelare. Nell'ambito che qui interessa (commissione di un delitto, risposta dello Stato, funzione di prevenzione specifica con riferimento a quell'indagato), l'adozione di immediate misure cautelari, non necessariamente detentive, è oggi, a parere di chi scrive, l'unica efficace misura concreta per prevenire la commissione di omicidi di donne da parte di quei medesimi uomini che in precedenza le hanno minacciate, picchiate, perseguitate e sottoposte a violenze. Oggi non sono più accettabili inerzie a fronte di questo tipo di diffusa criminalità. Quanti criticano l'impostazione della legge n. 119/2013 per il rischio, sul piano probatorio, di una presunta sperequazione a favore della versione dell'offeso, dimenticano che da tempo si ritiene sufficiente la sola testimonianza della persona offesa – da sottoporre ad attento vaglio alla luce del suo interesse – per la condanna dell'imputato; trattare la persona offesa dei delitti di violenza di genere in modo immotivatamente deteriore rispetto alle vittime di reato in cui il reo sia un estraneo, sarebbe un segno di inaccettabile sfavore. Come sempre è una questione di leggi ma anche della loro concreta applicazione, e quindi della professionalità del pubblico ministero Il Legislatore e la società hanno maturato un condivisibile livello di intolleranza verso la violenza di genere. Fermo restando che il problema della sicurezza in genere deve essere affrontato dagli altri Organi competenti, la Magistratura, anche grazie alle modifiche intervenute, deve contribuire, nel rispetto della legge e dei diritti di tutti i soggetti coinvolti a rendere concreta l'inaccettabilità della violenza di genere. Negli anni ‘80 la zero tolerance del sindaco di New York Giuliani ebbe un clamoroso successo (l'accostamento è pertinente, il problema della grande città americana era costituio dai circa 1000 omicidi l'anno; l'azione combinata di mirate iniziative di polizia e magistratura riuscì ad abbatterne radicalmente il numero; è errata la convinzione che la zero tolerance sia stata un approccio generale verso ogni forma di criminalità); nulla impedisce, dunque, una matura |