Questioni inedite nei rapporti tra trust e azione revocatoria
14 Giugno 2016
Massima
E' revocabile, nella sua qualità di atto a titolo gratuito, l'atto di dotazione di un trust, con cui la disponente ha conferito nel trust fund la proprietà di alcuni beni immobili, da destinarsi al mantenimento del miglior tenore di vita possibile dei suoi figli, beneficiari del trust. Il caso
Tizia, socia di Alfa S.r.l., presta fideiussione omnibus a garanzia della società in oggetto, amministrata dal marito Caio, a latere di un finanziamento concesso dall'istituto di credito Beta ad Alfa S.r.l. La società non adempie il pagamento del proprio debito da mutuo e l'istituto di credito ottiene un decreto ingiuntivo (che passa in giudicato) contro di essa. Qualche mese prima dell'emanazione del decreto ingiuntivo, Tizia dapprima istituisce un trust a favore dei suoi figli e, poi, vi conferisce due beni immobili. In ragione del compimento di quest'attività, l'istituto di credito Beta agisce contro Tizia, per ottenere una sentenza che accerti la ricorrenza dei presupposti, per l'azione revocatoria, di cui agli artt. 2901 c.c. e ss., e dichiari, per l'effetto, inefficace, nei suoi confronti, l'atto di dotazione in trust dei suddetti beni immobili, nella sua qualità, in via principale, di atto a titolo gratuito e, in via subordinata, di atto a titolo oneroso. Il Tribunale di Genova, chiamato a dirimere la controversia, sancisce l'inefficacia dell'atto di dotazione dei beni immobili in trust, nella sua qualità di atto a titolo gratuito, nei confronti dell'istituto di credito Beta, ai sensi e per gli effetti dell'art. 2901, comma 1, n. 1, c.c.. La questione
La sentenza dichiara revocabile l'atto di dotazione dei beni in trust, ragionando, con riferimento a uno strumento giuridico che è stato introdotto nel nostro ordinamento per effetto della ratifica di una convenzione di diritto internazionale privato (Convenzione dell'Aja del 1° luglio 1985 ratificata dalla l. 16 ottobre 1989, n. 364, la “CAT”), sulla base esclusiva (nella circostanza, anche non motivata) del diritto italiano. Non solo. La stessa sentenza, sempre ai fini della revocatoria, oscilla indistintamente tra atto istitutivo di trust e atto dotazione di beni in trust. Premesso ciò, in primo luogo, siamo sicuri che l'azione revocatoria, anche quando abbia ad oggetto un trust c.d. interno, considerato che la legge regolatrice del trust è necessariamente straniera, debba essere pronunciata sulla base del diritto italiano? In secondo luogo, siamo poi sicuri che non si debba eventualmente anche distinguere tenendo conto delle caratteristiche del singolo atto revocabile compiuto ‘a causa di' trust? Le soluzioni giuridiche
Quanto ai rapporti, in generale, tra trust e revocatoria, si deve premettere che gli atti suscettibili di essere revocati, che interessano le varie fattispecie di trusts, possono essere di tre tipologie diverse, rispettivamente riconducibili alle seguenti:
Non solo. Si deve poi anche premettere che il trasferimento o la messa in (o a disposizione di) trust di uno o più beni, da assegnarsi al trustee di turno, costituisce condizione necessaria per la creazione di un qualsiasi trust (cfr. D. Hayton, The Hague Convention on the law applicabile to trusts and on their recognition, in Int. Comp. L. Quart., 1987, 260 ss., 268: «Trusts may be created either by the settlor transferring specific assets to trustees for specified persons or declaring himself trustee for specified persons of assets specifically appropriated for the purpose of the trust”; vedasi inoltre Trusts and settlements, in The Encyclopaedia of Forms and Precedents, 5th ed., 2010, V. 40 (1), 22, 51, nota 1, là dove si riferisce che anche “in the case of so-called ‘pilot' settlements (i.e. where the deed recites that a small cash sum is initially settled and that further property will be added in the future) it is important to ensure that the cash sum is paid to the trustees; otherwise the trust will not be constituted and this may have unfortunate results (especially in relation to inheritance tax)»). Sicché, in sintesi, se si volesse ragionare nella prospettiva, comunemente utilizzata, del diritto privato interno e, per l'effetto, dei requisiti di cui all'art. 2901 c.c., si potrebbe tranquillamente affermare, in via preliminare, che in tutte e tre le tipologie di atti sopra indicati sia riscontrabile il compimento di un atto dispositivo, per come esso è inteso ai sensi di tale norma. Fatta questa premessa, però, ricordato ancora una volta che il trust è disciplinato, nel nostro ordinamento, dalla l. 16 ottobre 1989, n. 364, di ratifica ed esecuzione di una convenzione di diritto internazionale privato, qual è la Convenzione dell'Aja sui trusts, va detto che l'art. 8, comma 1, CAT, che si occupa della quaestio della validità del trust, prevede che essa sia disciplinata dalla legge regolatrice dello strumento de quo, quale scelta, di regola, dal disponente (ex art. 6 CAT); mentre l'art. 4 CAT prevede che la Convenzione non si applichi alle questioni preliminari relative alla validità degli atti giuridici in virtù dei quali determinati beni sono trasferiti al trustee. Quindi, già da ciò dovrebbe risultare in un certo senso intuibile che il problema della possibile revocabilità di un trust, anche c.d. interno, perché istituito in frode ai creditori del settlor, poste queste due norme convenzionali vis-a-vis l'una all'altra, dovrebbe essere esaminato ai sensi della sua legge regolatrice, trattando esso, al più, della ‘tenuta', in termini di validità, del trust, una volta ‘validamente' istituito (ovverosia, creato nel rispetto delle norme sulla capacità del settlor di costituire il trust de quo, sulla sua volontà di istituire effettivamente un trust, ecc.) e ‘caricato' dei beni in esso, del pari, validamente conferiti/trasferiti. Nondimeno, la giurisprudenza italiana di merito, ragionando sulla traccia del mero atto di dotazione/trasferimento dei beni in trust, tende ad applicare, in via universale (ovverosia, a tutte e tre le tipologie di atti, sopra richiamati, suscettibili di possibile revocatoria), la disciplina dell'art. 4 CAT, al problema degli atti compiuti a causa di trust in frode ai creditori italiani di un disponente italiano, facendo leva sulla quaestio della validità/invalidità di tale atto di dotazione (o di trasferimento); e ciò perché, se ci si muove a priori, trattandosi per l'appunto di trust c.d. interno, come fanno i giudici nostrani, sul piano logico del semplice diritto privato domestico, a prescindere da ogni questione di diritto internazionale privato legata al testo della Convenzione dell'Aja sui trusts, come si è visto, un atto di dotazione/conferimento/trasferimento di beni in trust può dirsi tecnicamente riscontrabile, per come esso è inteso ai sensi dell'art. 2901 c.c., anche nelle altre due tipologie di negozi di cui sopra. Tutto ciò se non fosse, poi, che, anche qualora il tema della revocatoria venisse riferito, nel solco della logica giuridica appena illustrata, a un semplice atto di trasferimento di beni in trust, si dovrebbe tener presente che, se è vero che l'art. 4 CAT concerne la validità di un atto dispositivo quale quello di specie, sia dal punto di vista formale, sia dal punto di vista sostanziale, nondimeno la quaestio dell'eventuale revocabilità dell'atto de quo non dovrebbe essere affatto ricondotta a tale norma. Infatti, stando al diritto privato italiano vigente (e in questo senso sono conformi sia la dottrina che la giurisprudenza), l'atto di trasferimento in oggetto, se formalmente valido, pur se revocabile, resta altresì sostanzialmente valido. In questo senso si vedano, ad esempio, nell'ordine, su tutti: a) Cass. 24 ottobre 1983, n. 6239 (in Mass. Foro it., 1983, c. 1272); b) Cass. 19 febbraio 2000, n. 1904 (in Riv. not., 2001, 497 ss.); c) tra i provvedimenti qui richiamati, Trib. Napoli, 16 giugno 2015, n. 8903 (in Redazione Giuffrè, 2015). Per quanto riguarda, le soluzioni giuridiche offerte, in passato, dalla giurisprudenza, con riferimento specifico alla quaestio dei rapporti tra trust e azione revocatoria, vedasi, su tutti, nell'ordine: a) Trib. Firenze (ordinanza), 6 giugno 2002 (in Trusts, 2004, 256 ss.); b) Trib. Cassino, 8 gennaio 2009 (in Trusts, 2009, 419 ss.); c) Trib. Cassino, 1 aprile 2009 (in Trusts, 2010, 183 ss. e in Dir. fam., 2009, 1266 ss.); d) Trib. Milano, 27 maggio 2013 (in Trusts, 2014, 46 ss.). Osservazioni
Una cosa sono, quindi, le questioni di validità del negozio, nello specifico il trust, che attengono agli elementi intrinseci della fattispecie negoziale e che riguardano, cioè, la sua struttura o il suo contenuto, quale stabilito dalle parti negoziali interessate; un'altra, e ben distinta, sono, invece, le questioni che attengono agli effetti verso i terzi del negozio di turno (istitutivo o di dotazione), nello specifico, i creditori del settlor (e in questo senso, sul distinguo in oggetto, ha fatto scuola, in materia di responsabilità precontrattuale, Cass. 29 settembre 2005, n. 19024, in Giur. it., 2006, c. 1599 ss., con nota di G. Sicchiero, confermata da Cass., SS.UU., 19 dicembre 2007, in Foro it., 2008, I, c. 784 ss., con nota di Scoditti). Ne consegue che erra la giurisprudenza di merito che, ragionando con riferimento agli atti di dotazione/conferimento di beni in trust, ed estendendo, per i motivi sopra descritti, il discorso anche gli atti istitutivi di trusts creati per self-declaration of trust o con contestuale trasferimento dei beni a un trustee terzo rispetto al disponente, approccia il problema della frode ai creditori di tutti questi negozi riconducendolo, allorché attenga a fattispecie di trusts c.d. interni, alla disciplina dell'art. 4 CAT e portandolo, così, al di fuori del campo di applicazione della Convenzione dell'Aja sui trusts (cfr. Trib. Firenze, 6 giugno 2002, in Trusts, 2004, 256 ss., a 258; Trib. Firenze, 9 novembre 2010, in ilcaso.it; Trib. Massa, 24 settembre 2014, n. 1054, in Trusts, 2015, 60 ss., a 61; Trib. Monza, 12 gennaio 2015, n. 81, in Trusts, 2015, 292 ss., a 294, là dove il ragionamento in disamina è stato per l'appunto applicato a un trust autodichiarato, previa statuizione espressa sul punto che «l'applicazione di due diverse normative (l'art. 6 CAT quale legge regolatrice del trust e l'art. 4 CAT quale legge regolatrice dell'atto di dotazione di beni in trust, Ndr) rende necessaria tale distinzione anche nei casi, come quelli in esame, in cui l'istituzione del trust e il trasferimento dei beni al trustee avvenga in un medesimo contesto». Senza contare che il trend giurisprudenziale appare essere chiaramente quello che oggi non si debbano nemmeno più motivare le ragioni per l'applicazione del diritto italiano alla quaestio degli atti compiuti a causa di trust in frode ai creditori (in merito vedansi, nell'ordine, oltre alla sentenza in commento: Trib. Cassino, 8 gennaio 2009, in Trusts, 2009, 419 ss.; Trib. Cassino, 1° aprile 2009, in Trusts, 2010, 183 ss.; Trib. Torino, Sez. Dist. Moncalieri, 15 giugno 2009, in Trusts, 2010, 83 ss.; Trib. Modena, 14 marzo 2012, in Trusts, 2013, 51 ss.; Trib. Novara, 29 gennaio 2015, n. 81, in ilcaso.it; Trib. Forlì, 5 febbraio 2015 e Trib. Genova, 18 febbraio 2015, in Foro it., 2015, I, c. 2535 ss., con nota di M. Caputi e A. Palmieri; Trib. Sassari, 20 febbraio 2015, n. 271, in Trusts, 2015, 384 ss.; Trib. Bologna, 18 marzo 2015, n. 922, in il-trust-in-Italia.it; Trib. Bologna, 24 marzo 2015, in Trusts, 2015, 595 ss.; Trib. Milano 24 aprile 2015, in il-trust-in-Italia.it; Trib. Milano, 20 maggio 2015, in ilcaso.it; Trib. Pavia, 4 giugno 2015, n. 193, in Trusts, 2015, 591 ss.; Trib. Modena, 16 giugno 2015, n. 1096, in Trusts, 2015, 587 ss.; Trib. Napoli, 16 giugno 2015, n. 8903, in ilcaso.it). Detto ciò, sempre in merito alla revocatoria degli atti compiuti a causa di un trust interno, in frode ai creditori di un disponente italiano, ai sensi del diritto domestico, altri giudici di merito, in parte con richiami piuttosto generici (e perciò con tutti i dubbi a ciò connessi, ancora una volta, in punto di motivazione del provvedimento del caso) e in parte in forma più chiara ed esplicita, hanno ritenuto opportuno rifarsi, invece, all'art. 15, comma 1, CAT (vedansi, nel primo senso, Trib. Alessandria, 28 settembre 2015, in Trusts, 2016, p. 65 ss., mentre nel secondo, nell'ordine: Trib. Torre Annunziata, Sez. Sorrento, 27 dicembre 2012, in Trusts, 2013, 426 ss., 426-427; Trib. Bologna, 23 aprile 2015, n. 1357, in ilcaso.it; Trib. Siena, 22 maggio 2015, n. 416, in Trusts, 2015, 503 ss.; Trib. Piacenza, 6 luglio 2015, n. 539, in Trusts, 2016, 62 ss.). Questa norma, però, si inserisce nel reticolo regolamentare di una convenzione di diritto internazionale privato; e avendo come oggetto una fattispecie genuina di trust transnazionale, rimanda al caso in cui l'interprete si trovi a dover applicare le norme imperative di una determinata legge, richiamata dalle norme di conflitto del foro (cfr. J. Harris, The Hague trusts Convention…op.cit., Article 15 – Preservation of mandatory rules in related areas of law, 355 ss., a 355: «Article 15 is concerned not with the mandatory rules of the forum in related areas, but with the mandatory rules of the state whose law is designated by the forum's choice of law rules as applicable to those areas. Put differently, Article 15 deals with the interaction of a state's private international law of trusts with its other private international law rules, not with its domestic law»). La domanda, però, allora è: quali norme di conflitto del foro entrano in gioco in una fattispecie ordinaria di trust c.d. interno? La risposta è, chiaramente, nessuna. Ragion per cui questa norma dovrebbe intendersi inapplicabile al caso di specie. Cosicché, in forza di quanto appena detto, si ritiene che, a fortiori, abbia errato anche quella giurisprudenza che, richiamandosi, per l'occasione, altresì dapprima alla causa concreta del trust in esame e poi ad altri motivi che non rileva qui menzionare, ha dichiarato «prima ancora che nullo, “non riconoscibile» ai sensi dell'art. 15 della Convenzione» il trust de quo (vedansi in merito Trib. Monza, 13 maggio 2015, n. 1425, in Trusts, 2016, 58 ss., a 61, là dove è stata – si ritiene – almeno sul punto, altresì impropriamente evocata l'ordinanza della Cass. civ., 25 febbraio 2015, n. 3886, con nota di V. Tagliaferri, Trust auto dichiarato, fondo patrimoniale e imposte indirette, in ilFamiliarista.it). Tuttavia, come si è visto, parte della giurisprudenza applica ai trusts interni il suddetto art. 15, comma 1, CAT, cercando di vedere e volendo riconoscere in essa una sorta di clausola di chiusura di tutti i loro problemi. Questo quando, eventualmente, quali clausole di chiusura dovrebbero, per l'occasione, invece, intendersi, oltre all'art. 18 CAT), rispettivamente:
Norma, quest'ultima, che parla, apertamente, di disposizioni che «devono essere applicate anche per situazioni internazionali», lasciando spazio, di conseguenza, anche a situazioni che, invece, internazionali non sono. Come avviene, per l'appunto, nel caso dei comuni trusts interni. Questo se non fosse, poi, per contro, che l'art. 16 CAT evoca, nella mente dei giuristi di matrice internazional-privatistica (e di riflesso anche quelli di matrice civilistica, con interessi di tipo comparatistico), il ben noto problema delle norme di applicazione necessaria, da tempo fonte di discussioni, ai fini della loro effettiva identificazione, sul piano pratico. Tuttavia, la dottrina internazional-privatistica più attenta (cfr. M.E. Corrao, art. 16, in Convenzione relativa alla legge sui trusts ed al loro riconoscimento, in NLCC, 1993, 1293 ss., autrice che ha tra l'altro commentato il problema delle norme di applicazione necessaria anche con riguardo alla Convenzione sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, del 19 giugno 1980) ha:
Come a dire, in poche parole, che il campo di applicazione dell'art. 16 CAT contiene, in qualità di insieme, come suo sottoinsieme, il campo di applicazione dell'art. 15 CAT e che, per l'effetto, la prima norma disciplina quantomeno tutte le problematiche giuridiche espressamente elencate nella seconda, senza bisogno di passare per il medio delle norme di conflitto delle leggi del foro di pertinenza. Sicché anche la Corte di Cassazione non ha perfettamente centrato la questione, quando, come ha fatto nella sentenza del 9 maggio 2015 n. 10105 (in Foro it., 2015, I, c. 1328 ss., con nota di Palmieri), in sede di esame dei principi di diritto correlati a un trust domestico di liquidazione non rivelatosi tale, dopo aver, per inciso, correttamente e obiettivamente osservato che l'art. 13 CAT è una disposizione «rivolta agli Stati e costituisce una norma di preventiva chiusura» (cfr. p.to 7.1 e p.to 7.5 in c. 1335), ha dichiarato che, nel caso di un trust interno, oltre che all'art. 13, «non sembra [invece] potersi fare riferimento […] all'art. 16, il quale richiama le norme di ‘applicazione necessaria', ossia norme della lex fori operanti come limite all'applicazione del diritto straniero eventualmente richiamato da una norma di conflitto, e che dunque presuppongono il trust già riconosciuto nell'ordinamento, sebbene in parte regolato comunque da tali norme». Riassumendo, quindi, con riguardo allo specifico problema della revocatoria degli atti compiuti in frode ai creditori, a causa di trusts anche interni, per i vari motivi sopra elencati, si ritiene che esso possa e, soprattutto, debba essere risolto ai sensi della legge regolatrice del trust. Tanto più se si tiene conto, da un lato, che, ad esempio, la revocatoria di diritto inglese, nel suo ruolo di precursore delle varie revocatorie oggi vigenti nei diversi ordinamenti di common law, non ha mai contemplato nemmeno termini di prescrizione come quello di cui all'art. 2903 c.c., da ritenersi inappropriati quando si abbia a che fare con un vincolo di destinazione; e dall'altro, che, per contro, nel caso in cui il trust in esame fosse governato da una legge che disciplina espressamente i c.d. Asset Protection Trusts, in quest'ipotesi l'interprete potrebbe disconoscere, se del caso, il trust di turno, una volta provato che sia stato effettivamente istituito per frodare i creditori del settlor, ai sensi dell'art. 18 CAT, nella sua qualità di ulteriore norma di chiusura della Convenzione dell'Aja sui trusts, per violazione del principio della responsabilità patrimoniale del debitore. Principio da ritenersi tuttora di ordine pubblico, seppur non più da intendersi quale espressione di una responsabilità patrimoniale di tipo universale, per come essa è, invece, ancor oggi formalmente prevista dall'art. 2740 c.c. (cfr. sul punto A. Reali, La responsabilità patrimoniale del debitore, in Svizzera, nel quadro dei rapporti tra le fondazioni di famiglia di diritto interno e le fondazioni di famiglia “d'entretien” del Liechtenstein, in Riv. Dir. civ., 2012, I, 701 ss., 712 ss.). Quanto sopra, ovviamente, nel caso in cui si voglia pensare e argomentare in punto di stretto diritto e agire nel rispetto delle regole che disciplinano la logica giuridica, in particolare nell'ipotesi in cui, come nella circostanza, si abbia a che fare con tematiche che involgono, a prescindere da ciò che l'interprete chiamato in causa desideri, questioni di diritto internazionale privato, e a fortiori, in una realtà come quella quotidiana, che si sta sempre più globalizzando, sul piano dialettico e fattuale, anche a prescindere dalla volontà degli interessati, e che impone, perciò, di ragionare nel solco di logiche internazional-privatistiche e/o comparatistiche, anche con riferimento a fattispecie caratterizzate da elementi di fatto puramente interni e nondimeno facenti capo a normative che disciplinano fenomeni giuridici di matrice, per l'appunto, internazional-privatistica. Per concludere, poi, in breve, si rileva che la sentenza in esame, pur raggiungendo un risultato intuitivamente corretto, motiva altresì in modo alquanto conciso sui requisiti generali per la revocatoria di cui all'art. 2901 c.c., ovverosia l'eventus damni, la scientia damni, il consilium fraudis e la partecipatio fraudis; o addirittura non motiva, anche solo per escluderli, come nel caso della partecipatio fraudis, avendo qualificato l'atto revocato quale atto a titolo gratuito. Ciò posto, tuttavia, si ritiene che, alla luce delle qui discusse premesse applicative dell'art. 2901 c.c. e ss., l'analisi di quest'ultima questione giuridica non sia più, a questo punto, rilevante, ai fini di approfondimenti specifici in merito. |