La donazione dell’immobile all’ex moglie non si sottrae alla revocatoria fallimentare
15 Luglio 2015
La Corte d'appello di Reggio Calabria aveva confermato la dichiarazione di inefficacia ex art. 64 l. fall. dell'atto pubblico con il quale un uomo, fallito successivamente, aveva donato l'unico immobile di sua proprietà alla moglie, in vista della imminente separazione consensuale. I giudici avevano ritenuto che il trasferimento della proprietà fosse del tutto gratuito e non proporzionato al patrimonio del donante, poiché la moglie aveva un reddito personale sufficiente al proprio mantenimento mentre il marito non era stato esonerato dall'obbligo di concorrere al mantenimento dei figli minori (cui, comunque, era destinata la nuda proprietà dell'immobile al momento del raggiungimento della maggiore età). Ricorreva in Cassazione l'ex moglie, deducendo vizi di motivazione della sentenza impugnata e contestando la natura gratuita del trasferimento compiuto in suo favore. Secondo la donna, infatti, nella richiesta di omologazione consensuale era espressamente prevista: 1) la destinazione della donazione «anche a tacitare ogni pretesa economica di un coniuge nei confronti dell'altro»; 2) l'impegno del marito a contribuire al mantenimento dei figli minori subordinato a specifiche e motivate richieste della ricorrente.
Richiamando la giurisprudenza più recente, la Suprema Corte chiarisce che è necessario distinguere non solo tra negozio a titolo gratuito e negozio a titolo oneroso, ma anche tra gratuità e liberalità. L'assenza di corrispettivo è sufficiente a caratterizzare i contratti a titolo gratuito ma non basta per individuare i caratteri della donazione poiché per la sua sussistenza sono necessari l'incremento del patrimonio altrui, lo spirito di liberalità ( elemento soggettivo) «consistente nella consapevolezza di attribuire ad altri un vantaggio patrimoniale senza esservi in alcun modo costretti», oltre ad un elemento di carattere oggettivo rappresentato dal depauperamento di chi ha disposto del diritto o assunto l'obbligazione. «Si può avere, perciò, un atto che benché gratuito, non è manifestazione di liberalità». Ai fini dell'art. 64 l. fall., però, la valutazione di onerosità o gratuità di un negozio deve essere effettuata con riguardo alla causa e non ai motivi dello stesso, essendo quest'ultimo richiesto per la donazione, con la conseguenza che «deve escludersi che atti a titolo gratuito siano quelli, e solo quelli, posti in essere per spirito di liberalità» mentre non è indispensabile negli altri contratti a titolo gratuito in cui una sola parte riceve e l'altra da sola sopporta un sacrificio, essendo unica l'attribuzione patrimoniale.
È indiscusso che, nel caso di specie, l'atto pubblico controverso, qualificato dalle parti come donazione, era stato stipulato in vista della separazione personale e non era destinato a surrogare l'assegno di mantenimento della moglie, cui quest'ultima aveva espressamente rinunciato in quanto pienamente autosufficiente. Ciò che, secondo la Cassazione, viene messo in discussione è l'obbligo del marito di contribuire al mantenimento dei figli. Negli accordi per la separazione consensuale è previsto esplicitamente che il marito si impegna contribuire alle spese necessarie per il mantenimento dei figli. Pertanto la subordinazione dell'ordinario contributo a richieste specifiche della moglie «non può essere interpretato come un esonero dall'obbligo di contribuire all'ordinario mantenimento dei figli, bensì come una regolamentazione particolare delle modalità di pagamento in tempi, misure e modalità non predeterminate». La Corte ritenuto plausibile il convincimento dei giudici di merito, secondo cui la causa della donazione controversa è gratuita, rigetta il ricorso. |