Divorzio: solo circostanze eccezionali consentono la conservazione del cognome dell'ex marito

16 Giugno 2016

Di regola non è ammissibile conservare il cognome del marito dopo la pronuncia di divorzio, salvo che il giudice di merito, con provvedimento motivato e nell'esercizio di poteri discrezionali, non disponga diversamente.
Massima

Di regola non è ammissibile conservare il cognome del marito dopo la pronuncia di divorzio, salvo che il giudice di merito, con provvedimento motivato e nell'esercizio di poteri discrezionali, non disponga diversamente.

Il caso

Tizia aveva chiesto al Tribunale di Milano che, con la sentenza non definitiva di cessazione degli effetti civili del matrimonio, l'autorizzasse a conservare il cognome famoso del marito aggiunto al proprio. Avverso il diniego del primo giudice, Tizia si era rivolta alla Corte d'Appello di Milano che aveva confermato la decisione appellata; ciò nel presupposto che l'interesse meritevole di tutela non può limitarsi alla frequentazione di ambienti mondani, di rango sociale e censo elevati in quanto se così fosse, si giungerebbe alla conclusione che ciò dovrebbe accadere ogni volta che il cognome del marito appartenga a una famiglia dotata di notorietà.

Tizia propone ricorso per Cassazione su due capi della sentenza:

a) violazione e falsa applicazione dell'art.5 della l. n. 898/1970 e successive modificazioni con riguardo all'art. 360 n. 3 c.p.c;

b) contraddittoria ,omessa e insufficiente motivazione ex art. 360 n.5 c.p.c.

In motivazione:

La Corte dichiara l'estinzione del processo, cui si è associato il P.G, sussistendo le condizioni di cui all'art. 390 c.p.c e non ritenendo di enunciare un principio di diritto nell'interesse della legge ex art. 363 c.p.c come richiesto dal P.G stesso.

La Corte infatti ha rilevato che, in data 20 aprile 2015, le parti e i loro procuratori hanno sottoscritto dichiarazione di rinuncia alle domande reciprocamente proposte nel ricorso e che controparte ha accettato la rinuncia stessa. Gli ex coniugi avevano infatti, nelle more, raggiunto un accordo, che avrebberosiglato in un ricorso congiunto per la modifica delle condizioni di divorzio e depositato avanti al Tribunale di Milano , nel quale Caio autorizzava Tizia alla conservazione e al conseguente utilizzo, vita natural durante, del cognome maritale. Il P.G pur associandosi alla richiesta di estinzione, aveva sollecitato, ex art. 363 c.p.c., l'enunciazione di un principio di diritto nell'interesse della legge basato su esposizioni di fatto e di diritto che però la Suprema Corte non ha ritenuto di dover enunciare.

Tale principio, muoveva dal presupposto che «Non dubitano, giurisprudenza e dottrina, che l'interesse sotteso alla norma invocata debba ritenersi esteso anche ad ambiti diversi dalla sfera professionale e lavorativa, ossia alla vita ordinaria di relazione, ma si teme la mercificazione, lo svilimento del contenuto esistenziale di tale interesse, ridotto alla frequentazione salottiera. [...] L'interesse alla conservazione, infatti, merita apprezzamento destinato a valutazioni tanto più attente e rispettose della persona, quanto più tempo si sia "indossato" il cognome del coniuge e quanto meno si sia fatto uso separato, in contesti lavorativi o diversi, del proprio».

La questione

Cosa si intende per interesse meritevole di tutela “suo o dei figli”, tale da permettere all'ex coniuge – moglie che ne fa richiesta al Tribunale di essere autorizzata a conservare il cognome del marito aggiunto al proprio per effetto del matrimonio, con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio.

Le soluzioni giuridiche

Preliminarmente vi è da dire che l'ordinanza in esame afferma l'assenza di precedenti pronunce di legittimità in materia, impedendo di fatto un'interpretazione ermeneutica.

Sia per tale motivo, sia per la peculiarità della controversia, la Suprema Corte ha ritenuto di trattare la discussione della causa in pubblica udienza anziché in camera di consiglio.

Analizzando l'art. 5 commi 2 e 3 della l. n. 898/1970, si osserva che, in via generale a seguito del divorzio, la donna perde il cognome che aveva aggiunto al proprio a seguito del matrimonio. Tuttavia, il Tribunale, con la stessa sentenza con cui pronuncia sul divorzio, può autorizzare la donna, purché questa ne faccia richiesta, a conservare il cognome del marito aggiunto al proprio; ciò quando sussista un interesse personale oppure un interesse dei figli, entrambi meritevoli di tutela.

Occorre quindi interrogarsi su quando l'interesse possa dirsi “meritevole di tutela”.

Nell'affrontare questo argomento, la Cassazione con l'ordinanza di cui al commento, ha affermato che non si può considerare “meritevole di tutela” la volontà di conservare un cognome famososoltantoperché con questo la donna ha goduto di alcuni benefici e privilegi sociali. La circostanza inciderebbe inoltre negativamente sulla vita e sui progetti dell'altro ex coniuge, marito che intenda formarsi un nuovo nucleo familiare, riconoscibile e percepito come attuale, nei rapporti giuridici e sociali. Sul punto l'ordinanza della Corte di legittimità ha evidenziato pertanto che ciò possa costituire un pregiudizio per il coniuge che non vi acconsenta e che intenda, come anticipato, ricreare, esercitando un diritto fondamentale a mente dell'art. 8 CEDU, un nuovo nucleo familiare.

L'interesse alla conservazione del cognome, deve essere vista e percepita come un'eccezione alla regola, che stabilisce invece il principio opposto, ossia quello della coincidenza tra la denominazione e lo status.

Sul punto esistono pochissimi precedenti, tutti di merito. Si pensi per esempio alla pronuncia del Tribunale di Napoli 11 Novembre 2003, secondo cui la moglie può continuare ad utilizzare il cognome del marito soltanto nel caso in cui la stessa abbia fatto uso protratto del cognome stesso, sicché questo sia ormai diventato mezzo di identificazione della sua persona. Il Tribunale di Milano, con sentenza n. 5644/2009 ebbe a precisare che l'interesse al mantenimento del cognome del coniuge dopo il divorzio risulta meritevole di tutela qualora riguardi la sfera del lavoro professionale, commerciale o artistico della moglie, oppure, ancora, in considerazione di profili di identificazione sociale e di vita di relazione meritevoli di tutela oltre che di particolari profili morali o considerazioni riguardanti la prole, la cui identificazione con un cognome diverso possa essere causa di danno. Recita la pronuncia «L'interesse al mantenimento del cognome del coniuge dopo il divorzio risulta meritevole di tutela qualora riguardi la sfera del lavoro professionale, commerciale o artistico della moglie, oppure, ancora, in considerazione di profili di identificazione sociale e di vita di relazione meritevoli di tutela oltre che di particolari profili morali o considerazioni riguardanti la prole (la cui identificazione con un cognome diverso possa essere causa di nocumento)».

L'indagine che il Giudice di merito deve svolgere, «circa la sussistenza di siffatti presupposti può essere effettuata sulla base di documenti attinenti agli ambiti della vita privata della coniuge che possono assumere rilievo in tal senso, come quelli che riguardano la salute della medesima (ad esempio certificati medici dai quali risulta una almeno prevalente intestazione alla donna con il cognome del marito), la vita professionale egli affari. Qualora risulti da tale documentazione – e l'indagine può e deve riguardare tutti i documenti prodotti dalla controparte anche a scopo diverso, come la stessa procura alle liti – che l'utilizzo del cognome del marito non assume, rispetto allo svolgimento della vita della moglie, un rilievo preminente rispetto ai profili sopra menzionati, non ne sussiste a favore della medesima il diritto alla conservazione».

Osservazioni

L'ordinanza in esame stabilisce che il Tribunale, con la sentenza con cui pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, può autorizzare la donna che ne faccia richiesta a conservare il cognome del marito. Ciò trova il fondamento sia nel fatto che, il legislatore abbia visto il cognome come segno di appartenenza ad una determinata famiglia, sia come strumento di identificazione sociale. Prima dell'entrata in vigore della novella del 1987 nulla era disposto. In giurisprudenza si era però riconosciuta tale possibilità per fini artistici, commerciali e altro. Si ricordi, il Tribunale di Roma che, con la sentenza 25 maggio 1985, confermata dalla Corte d'Appello il 18 maggio 1987 (in Foro it. 1987, I, 3143), nell'ambito di una nota vicenda, impedì a Marina Puntieri l'uso del cognome Lante della Rovere nella vita di relazione, ritenendo invece possibile l'uso del medesimo nel campo della moda, in forza di un'espressa autorizzazione ottenuta dall'ex marito al momento del divorzio.

E' evidente quindi che per un corretto accertamento dell'interesse occorre capire cosa si intende per interesse meritevole di tutela della donna o dei figli, tale da permetterle facendone richiesta al Tribunale, di essere autorizzata a conservare il cognome del marito aggiunto al proprio con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio.

Incombe sull'avvocato della donna - ex coniuge, l'onere di dimostrare in maniera attenta e precisa tale interesse per sé e i figli e al giudice compiere un'attenta istruttoria per verificare che quanto sopra risulti meritevole di tutela, che l'interesse, come abbiamo visto, non può limitarsi alla frequentazione di ambienti mondani, di rango sociale e censo elevati, ma deve andare oltre e cioè ricoprire profili di identificazione sociale e di vita di relazionemeritevoli di tutela oltre che di particolari profili morali o considerazioni riguardanti la prole, la cui identificazione con un cognome diverso possa essere causa di danno.

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