Risarcimento del danno da rifiuto di contrarre matrimonio dopo le pubblicazioni
17 Marzo 2016
Massima
Il/la promesso/a sposo/a che senza un giustificato (e da lui provato) motivo e dopo che siano intervenute le pubblicazioni rifiuta di contrarre matrimonio è tenuto/a al rimborso delle spese sostenute dal compagno/a in vista delle nozze. Possono essere considerate risarcibili, ai sensi dell'art. 81 c.c., non soltanto le spese strettamente connesse alla celebrazione del matrimonio, ma anche tutte quelle che si sostengono in vista dello stesso e che sono legate ad esso da un nesso eziologico. Il caso
La sentenza in commento trae spunto da una vicenda giudiziale iniziata nel 1999 allorquando il Tribunale di Prato veniva adito al fine di ottenere un risarcimento danni pari a 48 milioni di lire ai sensi dell'art. 81 c.c.. In particolare, la parte attrice esponeva di aver intrattenuto con il proprio ex compagno una relazione sentimentale durata 11 anni, poi sfociata nella comune decisione di contrarre matrimonio, ragion per cui erano state eseguite le pubblicazioni secondo le modalità previste dall'art. 93 c.c.. L'attrice, proprio in vista del matrimonio, aveva utilizzato le proprie competenze professionali di geometra ed eseguito, a sue spese, i lavori di ristrutturazione dell'immobile di proprietà del convenuto, scelto come casa coniugale, oltre ad aver acquistato parte degli arredi. Adducendo quale giustificato motivo la scoperta della frequentazione della donna con altro uomo, il convenuto rifiutava di contrarre matrimonio abbandonando la fidanzata ad una settimana dalle nozze, ragione che spingeva la stessa a chiedere il summenzionato risarcimento del danno. Mentre il Tribunale di Prato respingeva le domande dell'attrice, la Corte d'Appello di Firenze condannava invece il promesso sposo al risarcimento del danno pari ad euro 16.438,82, esponendo che era onere del convenuto dimostrare l'esistenza di un giustificato motivo alla base del rifiuto di contrarre matrimonio e che il suddetto onere non era stato assolto. Avverso tale decisione lo stesso proponeva ricorso per Cassazione eccependo, tra i vari motivi, la violazione o falsa applicazione dell'art. 81 c.c. in relazione alla corretta interpretazione del concetto di giusto motivo di rifiuto di contrarre matrimonio. Sosteneva, infatti, il ricorrente che la Corte d'Appello avesse deliberatamente escluso la rilevanza probatoria della testimonianza di uno dei testi, il quale avrebbe riferito di aver visto la resistente in atteggiamenti compromettenti con altra persona. La Suprema Corte di Cassazione ha risposto che, seppur valutati attentamente tutti i mezzi di prova, gli stessi non erano sufficienti a dimostrare che sussistesse un giustificato motivo per non ottemperare la promessa di matrimonio. Rimanendo, dunque, sfornito di prova il motivo determinante il rifiuto, quest'ultimo è stato valutato come non giustificato. Il ricorrente lamentava, inoltre, la non corretta applicazione dell'art. 81 c.c. anche in relazione alla determinazione delle spese e ai danni risarcibili, dal momento che la Corte di Appello aveva riconosciuto in favore della resistente tutte le spese contratte non solo per la celebrazione del matrimonio, ma anche quelle relative alla futura vita coniugale, estendendo così in maniera deliberata il rapporto causale previsto dall'art. 81 c.c.. La Corte di Cassazione ha deciso, anche in questo caso, per l'infondatezza del ricorso, affermando che era stato correttamente applicato l'art. 81 c.c. in considerazione del collegamento effettivamente esistente tra le spese sopportate dalla resistente ed il matrimonio poi annullato. Le spese considerate risarcibili, infatti, sono state, nel caso in questione, non solo quelle relative all'abito da sposa, ma anche quelle riguardanti gli arredi ed i lavori di ristrutturazione effettuati dalla resistente nell'abitazione del futuro sposo, scelta quale casa coniugale. La questione
Quando il rifiuto a contrarre matrimonio dopo le pubblicazioni può ritenersi sfornito di idonea giustificazione? Quali spese sono risarcibili e quali no? Le soluzioni giuridiche
Occorre preliminarmente ricordare che la promessa di matrimonio (detta anche sponsali) è una dichiarazione resa dai futuri sposi per portare a conoscenza di terzi il serio proposito di contrarre matrimonio, le cui conseguenze giuridiche sono disciplinate nel nostro codice civile all'art. 79 c.c.. Esistono nel nostro ordinamento due tipi di promessa matrimoniale: la promessa di matrimonio semplice e la promessa solenne. La prima (cd. fidanzamento ufficiale) è un atto, anche unilaterale, privo di particolari forme o requisiti con il quale si manifesta la volontà di unirsi in matrimonio. E' dunque un mero fatto sociale, dal quale discendono doveri di carattere esclusivamente morale tra le parti. Il secondo tipo di promessa, invece, disciplinata dall'art. 81 c.c., può realizzarsi tramite la redazione, da parte di due persone di maggiore età o del minore ammesso a contrarre matrimonio, di un atto in forma scritta (atto pubblico o scrittura privata) con il quale ci si impegna vicendevolmente a contrarre le nozze o ancora tramite la richiesta di pubblicazione di matrimonio disciplinata nel nostro ordinamento dall'art. 93 c.c.. Ora, mentre nel caso di promessa semplice l'art. 80 c.c. prevede che il promittente possa chiedere solo la restituzione dei doni fatti a causa della promessa, quella solenne ha invece conseguenze patrimoniali più pregnanti poiché, oltre all'obbligo di restituzione, obbliga anche chi rifiuta il matrimonio a risarcire all'altra parte il danno per le spese affrontate e per le obbligazioni contratte a causa della promessa (ad es. abito da sposa, bomboniere, preparativi per la cerimonia, ricevimento, anticipo sull'affitto della casa degli sposi, ecc.). Si tratta di un risarcimento per danni che non discende tanto dall'inadempimento relativo ad una promessa vincolante, quanto da un comportamento contrario alla buona fede che trova riscontro, nell'ambito della disciplina del diritto di famiglia, anche nella sanzione prevista dall'art. 139 c.c. a carico del coniuge che, pur conoscendo la causa di nullità del matrimonio, non la esterna all'altro (così Cass. civ., sez. I, sent., 8 febbraio 1994, n. 1260). Comunque, all'art. 81, il codice civile fa salva la possibilità della parte che rifiuta il matrimonio di provare che il suo comportamento sia sorretto da un "giusto motivo" che escluda così il risarcimento. Nel caso di specie, il promesso sposo ha rivendicato quale motivo del suo rifiuto la scoperta di una relazione della futura moglie con altro uomo, circostanza che la Cassazione ha però ritenuto non adeguatamente provata. Non risultando dunque il rifiuto a contrarre matrimonio suffragato da un giusto motivo, lo stesso è stato valutato dalla Cassazione come inadempimento della promessa solenne a contrarre matrimonio. Perno su cui poggiano le motivazioni della Corte di Cassazione è dunque l'onere della prova circa l'esistenza di un giustificato motivo per il mancato ottemperamento della promessa di matrimonio, che resta sempre carico di chi si è rifiutato di contrarlo. La sentenza impugnata ha rilevato inoltre, in riferimento al profilo riguardante il nesso tra le spese risarcibili ed il matrimonio non più contratto, che «non possono non essere considerate risarcibili tutte quelle spese (giustificate e finalizzate) che si sostengono in vista del matrimonio». Nel caso di specie, dunque, la Cassazione ha avallato la decisione della Corte d'Appello di Firenze, che aveva ritenuto risarcibili non solo le spese relative all'abito da sposa, classicamente legate da un nesso eziologico all'evento del matrimonio, ma anche quelle spese che la futura sposa aveva sostenuto per i lavori di ristrutturazione e gli arredi dell'abitazione scelta quale casa coniugale, spese anch'esse da ritenersi connesse alla futura vita matrimoniale. Osservazioni
Quanto alla natura del risarcimento, è ora da rilevare che il rifiuto di contrarre le nozze non può configurarsi come illecito extra-contrattuale, né come responsabilità contrattuale o precontrattuale, posto che la promessa di matrimonio non fa sorgere un vincolo giuridico tra le parti. La giurisprudenza e la dottrina ritengono si tratti di una particolare forma di riparazione collegata direttamente dalla legge alla rottura del fidanzamento senza giusto motivo (cfr. fra le altre Cass. civ., sez. III, sent., 15 aprile 2010, n. 9052. A conferma, cfr. Cass. civ., sez. III, sent., 10 agosto 1991, n. 8733 in Giur. It., 1992, 1, 1108 con nota di B. Pozzo; Trib. Monza, sent., 6 giugno 2006; Trib. Reggio Calabria, sent., 12 agosto 2003, op. cit.; Trib. Verona, sent., 29 gennaio 1982, in Giur. It., 1983, I, 2, 118, con nota di V. M. Caferra). Le ragioni della specialità di tale regime risarcitorio vanno rintracciate nell'esigenza di garantire la piena ed assoluta libertà nel compimento di un atto personalissimo come il matrimonio e di limitare l'ambito delle conseguenze risarcitorie di un rifiuto che il legislatore ha voluto mantenere sino all'ultimo momento possibile e liberamente opponibile (così G. Facci, nota a Trib. Bari, sez. I, sent., 28 settembre 2006). Una piena responsabilità risarcitoria potrebbe, infatti, rappresentare per il promittente una sorta di pressione indiretta a contrarre le nozze, di certo contraria ai principi che governano il nostro ordinamento. Viceversa, però, una forma di riparazione economica in caso di ingiustificato diniego di convolare a nozze appare sorretta da ragioni di equità e di tutela dell'affidamento incolpevole dell'altra parte. È, dunque, al generale canone di buona fede che occorre far riferimento per conferire giustificazione al risarcimento riconosciuto dall'art. 81 c.c.. La bona fides permea, infatti, ogni rapporto giuridico e, sebbene possa assumere caratteristiche distinte nei vari istituti disciplinati dal Legislatore, esprime in via generale la necessità che venga posto in essere un comportamento comunque rispettoso della posizione del soggetto con cui a vario titolo ci si relaziona. In presenza, dunque, di elementi (quali le pubblicazioni che precedono il matrimonio) che abbiano ragionevolmente indotto una parte a fare affidamento sulla promessa altrui e ad affrontare spese in vista delle nozze, il nostro codice civile non può che predisporre uno strumento risarcitorio a carico del nubendo promittente che abbia ingiustificatamente cambiato idea in ordine alla scelta di convolare a nozze. L'oggetto della pretesa è limitato all'importo delle spese affrontate e delle obbligazioni contratte dal partner in vista della celebrazione, con esclusione quindi dei pregiudizi non patrimoniali eventualmente subiti, sfuggendo la fattispecie agli schemi di cui all'art. 2049 c.c.. Per quanto riguarda l'onere della prova, questo spetta al recedente, il quale, qualora voglia sottrarsi a siffatta obbligazione riparatoria, deve provare la sussistenza del giustificato motivo quale fatto costitutivo negativo della pretesa dell'altra parte (cfr. Cass. civ., sez. III, sent., 15 aprile 2010, n. 9052). L'aspetto più delicato è proprio quello dell'indagine sulle eventuali ragioni che possono dare giustificazione al rifiuto di contrarre matrimonio, tenuto conto del fatto che spesso si tratta di motivazioni personali, legate ad aspetti emotivi e/o sentimentali che difficilmente possono formare oggetto di prova. Di certo saranno considerati giustificati motivi alla base del rifiuto tutte quelle situazioni in relazione alle quali il matrimonio già contratto può essere annullato. Si pensi ad esempio ai casi di interdizione, di incapacità di intendere e di volere, di consenso estorto con violenza, i quali consentono l'impugnazione del matrimonio e, dunque, a fortiori, vanno ritenuti idonei motivi per revocare l'assenso alle nozze non ancora celebrate. Oltre a queste tassative ipotesi previste dal nostro codice di rito, la giusta causa di recesso dalla promessa di matrimonio va valutata caso per caso, tenuto conto delle peculiarità delle situazioni concrete portate al vaglio del giudice. Cosi, ad esempio, sono stati ritenuti giusti motivi di rifiuto gli episodi di infedeltà, la tenuta di comportamenti riprovevoli o sconvenienti ovvero la persistente mancanza di una stabile occupazione, sempre che l'impegno di contrarre matrimonio sia stato subordinato al conseguimento dell'occupazione stabile e definitiva (Cfr. Trib. Reggio Calabria, sent., 12 agosto 2003). In definitiva la sentenza in commento si lascia apprezzare per aver puntualizzato, sebbene sinteticamente, quelle che sono le due questioni maggiormente rilevanti in tema di promessa di matrimonio, ossia l'individuazione di giustificati motivi alla base del rifiuto di convolare a nozze ed il calcolo delle spese eventualmente risarcibili. In particolare, con riferimento al primo punto la Corte ha ribadito che il rifiuto è da ritenere giustificato nei casi in cui sia basato su fatti che, se noti al momento della promessa, avrebbero dissuaso il promittente dal prestarla e che il risarcimento, tenuto conto della particolare natura giuridica della responsabilità derivante dal recesso, va commisurato agli esborsi che, nonostante si collochino in epoca antecedente il matrimonio, risultino giustificati e finalizzati alla celebrazione dello stesso. La Suprema Corte, dunque, considerando la pronuncia di secondo grado immune da vizi logico-giuridici con riferimento ai suesposti profili, ha rigettato il ricorso, condannando il ricorrente alla refusione delle spese di lite. |