Pronuncia di divorzio e delibazione di sentenza ecclesiastica: come renderle compatibili
17 Luglio 2017
Massima
L'assegno, previsto in una sentenza di divorzio, non viene meno nel caso in cui, prima del passaggio in giudicato della stessa, sia intervenuto il giudicato sulla pronuncia di delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario; le relative doglianze devono infatti essere fatte valere nelle forme delle impugnazioni ordinarie, ivi compresa la revocazione ex art. 395, n. 5, c.p.c.. Il caso
Tizio si rivolgeva al Tribunale ordinario per chiedere la pronuncia di inefficacia dell'assegno divorzile in favore della ex moglie, previsto nella sentenza di cessazione degli affetti civili del matrimonio, in quanto, prima del passaggio in giudicato della stessa, era intervenuto il giudicato sulla sentenza di delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del vincolo matrimoniale; in via subordinata, Tizio chiedeva, previa dimostrazione da parte della ex moglie di non avere adeguati redditi propri, che fosse stabilito il dovere di corrispondere a costei unicamente l'equo indennizzo di cui all'art. 129, comma 1, c.c.. Parte convenuta si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto della domanda attorea, evidenziando come la sentenza canonica di nullità non potesse incidere sulle statuizioni economiche di una sentenza di divorzio ormai passata in giudicato, avendo i due giudizi un diverso petitum e causa petendi. La questione
La quaestio iuris riguarda la complessa tematica dei rapporti tra la sentenza di divorzio e la sentenza di delibazione della pronuncia ecclesiastica di nullità e degli effetti di quest'ultima sulle statuizioni economiche a favore del coniuge “debole” contenute nella prima. La decisione in commento riguarda, in particolare, il fatto se - passata in giudicato la sentenza di delibazione della sentenza di nullità - gli effetti economici previsti nella sentenza di divorzio, depositata precedentemente ma passata in giudicato successivamente (trattandosi di causa ante 2009, il termine, nel caso di specie era di un anno), debbano o meno essere revocati o dichiarati inefficaci, in quanto travolti dal giudizio di delibazione. Le soluzioni giuridiche
Per un corretto inquadramento della questione è necessario distinguere l'ipotesi in cui la sentenza di delibazione della pronuncia canonica di nullità passi in giudicato dopo che sia già passata in giudicato la sentenza di divorzio, dall'ipotesi in cui la stessa passi in giudicato quando la sentenza di divorzio non sia ancora definitiva (oppure nelle more del giudizio di separazione o di quello di divorzio). Per quanto concerne la prima ipotesi, vi è stata una significativa evoluzione in seno alla giurisprudenza di merito e di legittimità; evoluzione in larga misura dovuta anche all'abrogazione della riserva di giurisdizione a favore dei Tribunali Ecclesiastici con riguardo alle controversie in materia di validità del matrimonio concordatario ad opera dell'Accordo di revisione del Concordato del 1984. Secondo un orientamento ormai assai risalente, la delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio travolge la sentenza di divorzio passata in giudicato e tutte le statuizioni economiche nella stessa contenute. Secondo un altro e ormai consolidato orientamento (vedi ex plurimis Cass. S.U. 13 febbraio 1993 n. 1824; Cass. civ. 18 aprile 1997, n. 3345; Cass. civ. 23 marzo 2001, n. 4202; Cass. civ. 25 giugno 2003, n. 10055; Cass. civ., 18 settembre 2013, n. 21331; Trib. Rimini, 24 novembre 2014), invece, l'avvenuto passaggio in giudicato della pronuncia di divorzio ne determina l'intangibilità in ossequio ai principi generali dell'ordinamento. Secondo il predetto orientamento, la delibazione della sentenza canonica di nullità non travolge né la sentenza di divorzio già passata in giudicato, né le statuizioni economiche in essa contenute, attesa la sostanziale diversità tra i due giudizi. I giudizi di nullità hanno infatti ad oggetto l'accertamento di un difetto originario dell'atto di matrimonio, mentre quelli di divorzio l'impossibilità di mantenere o ricostituire la comunione morale e materiale tra i coniugi (e quindi il rapporto tra i coniugi): la differenza di petitum e causa petendi li rende autonomi l'uno dall'altro, nonché suscettibili di coesistere e capaci di produrre i rispettivi giudicati non interferenti tra loro. Appare utile riportare un passo motivazionale della sentenza della Cassazione n. 21331/2013: «La sentenza italiana di esecutorietà civile della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio non costituisce un elemento di fatto sopraggiunto legittimante la revisione del provvedimento economico contenuto nella sentenza di divorzio dato che la revisione trova la sua naturale giustificazione solo in un mutamento delle condizioni economiche degli ex coniugi tale da non rendere più attuali le ragioni giustificative dell'imposizione di un assegno divorzile ovvero della misura fissata nella sentenza di divorzio. Ferma altrimenti l'operatività del giudicato che non viene meno per effetto del riconoscimento nel nostro ordinamento di una sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità del matrimonio trovando, come si è detto, l'attribuzione dell'assegno divorzile il suo presupposto nella pregressa esistenza di un rapporto matrimoniale e nella dichiarazione del suo scioglimento, elementi che non vengono posti nel nulla dal successivo riconoscimento nell'ordinamento italiano della sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità». Per quanto concerne invece l'altra ipotesi (passaggio in giudicato della sentenza di delibazione della pronuncia ecclesiastica di nullità durante il giudizio di separazione o di divorzio o nelle more del passaggio in giudicato della sentenza di divorzio) l'orientamento prevalente ritiene che ciò, facendo venir meno il vincolo coniugale, determini la cessazione della materia del contendere in ordine alla domanda di separazione o divorzio ed alle correlate statuizioni inerenti l'assegno di mantenimento/divorzile eventualmente adottate nel processo e non ancora divenute intangibili (vedi ex plurimis Tribunale di Taranto, 31 marzo 2016; Cass. n. 17094/2013; Cass. n. 10055/2003) In tal caso, la tutela del coniuge economicamente debole potrà essere solo quella – limitata – prevista dalla disciplina sul matrimonio putativo (art.129 c.c.) purché vi sia stata in tal senso una specifica domanda di parte, non potendo il Giudice provvedere d'ufficio. La vicenda che ha dato origine alla pronuncia in commento si colloca a metà strada tra le due ipotesi su esaminate, in quanto il passaggio in giudicato della pronuncia di delibazione della pronuncia canonica di nullità è intervenuto prima del passaggio in giudicato della sentenza di divorzio, ma è stato fatto valere successivamente, quando ormai la sentenza di divorzio era divenuta definitiva. Nel caso di specie, non era infatti stata impugnata la sentenza di divorzio facendo valere l'intervenuto passaggio in giudicato della sentenza di delibazione, ma era stato proposto - successivamente al passaggio in giudicato della sentenza di divorzio - un separato giudizio avanti il Tribunale. Il Tribunale di Genova ha respinto le domande del marito constatando come «le domande attoree siano volte ad incidere su statuizioni contenute in una sentenza su cui ormai è sceso il giudicato»; dalle nozioni di giudicato sostanziale ex art. 2909 c.c. e giudicato formale ex art. 324 c.p.c., continua poi il Tribunale di Genova «si ricava che le statuizioni contenute in una sentenza avverso la quale non sono più esperibili mezzi di impugnazione c.d. ordinari (regolamento di competenza, appello, ricorso in Cassazione e revocazione ordinaria) sono ormai incontrovertibili facendo stato ad ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa». Con la sentenza in commento, il Tribunale ha aderito all'orientamento giurisprudenziale ormai consolidato sul punto, ricordato in precedenza. Si è inoltre inoltre affermato, in sede di obiter dictum, che le argomentazioni attoree avrebbero potuto essere in astratto meritevoli di accoglimento in virtù dell'orientamento secondo cui «il passaggio in giudicato di una sentenza di annullamento del matrimonio comporta la necessità di dichiarazione della cessazione della materia del contendere nell'ancora pendente giudizio di divorzio». Il Tribunale dunque, sebbene incidentalmente, afferma che si sarebbe uniformato al predetto orientamento se non fosse inopinatamente stata fatta passare in giudicato la sentenza di divorzio adottata dalla Corte d'appello di Genova. Osservazioni
Il provvedimento in commento si uniforma agli orientamenti consolidati in tema di rapporti tra la pronuncia di delibazione della sentenza canonica di nullità e la sentenza di divorzio. Si osserva, tuttavia, che la coerenza e la linearità di tali indirizzi interpretativi si pongono a valle di un difficile e delicato bilanciamento tra due esigenze confliggenti: l'esigenza di ottemperare al principio pacta sunt servanda mediante l'attuazione degli Accordi di Villa Madama, da un lato, e l'esigenza di tutelare la parte economicamente debole che abbia riposto affidamento nel matrimonio di lunga durata, dall'altro. Come si è visto in precedenza, una volta delibata una sentenza ecclesiastica di nullità - eccetto il caso sia già passata in giudicato la sentenza di divorzio - la tutela economica del coniuge debole può essere unicamente quella assai limitata del matrimonio putativo (art. 129 c.c.). Ma se ciò è giustificato per i matrimoni di breve durata (che sono peraltro quelli considerati dal legislatore nella disciplina sull'invalidità), non lo è per i matrimoni di più lunga durata nei quali siano maturati una comunione di vita ed affidamenti meritevoli di una tutela più ampia di quella prevista per il matrimonio putativo. Ed allora il terreno di scontro tra le due confliggenti istanze viene ad essere la delibazione della sentenza ecclesiastica, che verrà ammessa o negata a seconda di quale dei due interessi venga considerato prevalente. Il punto di equilibrio tra le predette opposte esigenze è stato variamente individuato dalla giurisprudenza nel corso degli anni (per un approfondimento delle varie posizioni si vedano: Cass. S.U., 20 luglio 1988, n. 4700; Cass. S.U. 1 ottobre 1982, n. 5026; Cass., 4 giugno 2012, n. 8926; Cass.8 febbraio 2012, n. 1780; Cass. 15 giugno 2012, n. 9844; Cass. S.U. 18 luglio 2008, n. 19809; Cass., S.U., 20 gennaio 2011 n. 1343; Cass. 22 agosto 2011, n. 17465). Dal 2014, tuttavia, pare essersi messo un punto all'annosa questione, in quanto le Sezioni Unite della Cassazione, con la sentenza del 17 luglio 2014 n.16379, hanno affermato il principio secondo il quale, ogni qualvolta la celebrazione del matrimonio sia seguita da una convivenza come coniugi protrattasi per almeno tre anni, l'affidamento ingenerato dal consolidarsi del matrimonio come rapporto, impedisce la delibazione della pronuncia ecclesiastica che accerta l'invalidità del matrimonio come atto. |