Scioglimento dell'unione civile: il legislatore si corregge

18 Luglio 2017

Il d.lgs. 19 gennaio 2017, n. 5, emesso ai sensi della delega contenuta nell'art. 1, comma 28, l. n. 76/2016, ha introdotto rilevanti novità sulle modalità di scioglimento dell'unione civile per volontà delle parti. L'Autore analizza i cambiamenti intervenuti, anche alla luce del successivo d.m. 27 febbraio 2017, ponendo l'accento sulle residue criticità, soprattutto a livello pratico, connesse alla formulazione delle norme che regolano l'istituto.
Lo scioglimento dell'unione

Lo scioglimento dell'unione civile è disciplinato dai commi 21, 22, 23, 24, 25 e 26 dell'art. 1, l. n. 76/2016, in forza dei quali l'unione viene meno:

  • con la morte o la dichiarazione di morte presunta di uno dei due componenti (comma 21), in questo caso l'effetto è automatico;
  • nelle ipotesi di reati disciplinati dall'art. 3, comma 1 e 2, lett. a), c), d), l. div. (comma 22) oppure qualora l'altro componente dell'unione abbia ottenuto all'estero annullamento o scioglimento dell'unione, o abbia contratto all'estero nuova unione civile o nuovo matrimonio (comma 23); in questo caso lo scioglimento deve essere proposto, da una o entrambe le parti, al Tribunale territorialmente competente che provvederà con sentenza; non è infatti ammesso lo scioglimento come effetto dell'accordo concluso a seguito di convenzione di negoziazione assistita ex art. 6 d.l. n. 132/2014 conv. in l. n. 162/2014, né lo scioglimento “amministrativo” ex art. 12 n. d.l. 132/2014 cit.;
  • a seguito di sentenza di rettificazione di sesso (comma 26); in questo caso lo scioglimento si produce per effetto dell'annotazione della pronunzia. Giova ricordare che il matrimonio può convertirsi in unione civile se entrambe le parti ne fanno richiesta sino al momento della precisazione delle conclusioni nel procedimento di rettificazione di sesso (ex art. 31, comma 4-bis, d.lgs. 150/2011 come modificato dal d.lgs. n. 7/2017); non è invece ammesso il percorso contrario (l'unione civile non si converte in matrimonio neppure se le parti ne fanno istanza).

Alle unioni civili non si applica l'istituto della separazione ex art. 151 c.c., in sostituzione del quale il legislatore ha previsto «un farraginoso meccanismo che le parti dovranno utilizzare per porre termine alla loro unione; un meccanismo “misto” in cui concorrono volontà delle parti, intervento dell'Autorità amministrativa e di quella giudiziaria» (cfr. A. Simeone, Il legislatore furioso ha fatto le norme cieche, in ilFamiliarista.it; A. Fasano, Unioni civili: scioglimento ed effetti, in ilFamiliarista.it).

Qualora, dunque, una o entrambe le parti vogliano sciogliere la loro unione dovranno, prima manifestare la loro volontà di procedere a detto scioglimento davanti all'Ufficiale di Stato civile e poi, decorsi tre mesi da detto incombente, presentare al Tribunale competente domanda di scioglimento dell'unione civile, sia essa in forma congiunta oppure in forma contenziosa.

La manifestazione di volontà di sciogliere l'unione civile

Sin dall'entrata in vigore della l. n. 76/2016, erano stati evidenziati i “buchi” della normativa e i dubbi interpretativi che la laconica formulazione poneva. In particolare, ci si era chiesto quale fosse l'Ufficiale di Stato civile competente a ricevere la dichiarazione, come dovesse essere manifestata la volontà e, da parte di alcuni, se la dichiarazione dovesse essere necessariamente congiunta oppure, nel caso di dichiarazione fatta da una sola delle parti, se l'altra parte potesse giovarsene, per chiedere a sua volta, lo scioglimento dell'unione in via contenziosa.

Preso atto dei problemi sollevati dalla frettolosa approvazione della l. n. 76/2016, il legislatore è intervenuto mediante l'approvazione del d.lgs.n. 5/2017, previsto dal comma 28 della l. n. 76/2016, e recante disposizioni di adeguamento «dell'ordinamento dello stato civile in materia di iscrizioni, trascrizioni e annotazioni nonché modificazioni e integrazioni normative per la regolamentazione delle unioni civili». All'intervento del legislatore ha fatto seguito quello, integrativo più che chiarificatore , del Ministero degli Interni che, con il d.m. 27 febbraio 2017, ha apportato ulteriori modificazioni alla normativa in esame. Il quadro è oggi il seguente:

a) Ufficiale di Stato Civile competente. A differenza di quanto accade per il matrimonio, l'unione civile (art. 70-bis d.P.R. n. 396/2000) può essere costituita in qualunque Comune della Repubblica, indipendentemente dalla residenza delle parti (cfr. L. Tavani La nuova regolamentazione per la costituzione delle unioni civili a seguito dell'approvazione dei decreti legislativi delegati, ilFamiliarista.it); in assenza di una diversa specificazione, la dichiarazione di volontà di voler sciogliere l'unione civile dunque, dovrebbe potersi rendere a qualunque USC della Repubblica, fermo restando l'obbligo di iscrizione della stessa (art. 63 d.P.R. n. 396/2000, come modificato dal d.lgs.n. 5/2017). Osta però, a questa ricostruzione, il d.m. 27 febbraio 2017, laddove prevede (formula 121-decies e formula 121- undecies) che la dichiarazione possa essere resa solo innanzi all'USC del Comune dove l'unione era stata costituita. Si tratta, a parere di chi scrive, di una formulazione assai limitativa dei diritti delle parti dell'unione civile, in considerazione del fatto che l'USC del Comune ove l'unione si è costituita potrebbe non avere più, al momento dello scioglimento, alcun criterio di connessione “forte” con una o entrambe le parti dell'unione (perché le stesse hanno costituito l'unione in un Comune diverso da quello di loro residenza, oppure perché nelle more del rapporto hanno modificato la residenza anagrafica).

b) Manifestazione congiunta/singola. Il d.lgs. n. 5/2017, introducendo la lettera g-quinquies all'art. 63 d.P.R. n. 396/2000, prevede espressamente che la volontà di sciogliere l'unione possa essere manifestata da una o da entrambe le parti; sembra invece escludersi l'ipotesi di una manifestazione differita, ovverosia l'ipotesi in cui una parte voglia aderire alla richiesta dell'altra, giacché il d.m. 27 febbraio 2017, prevede l'alternativa secca tra manifestazione congiunta o manifestazione di una sola parte; ovviamente nulla impedisce che la parte che non ha espresso il desiderio di sciogliere l'unione, possa giovarsi della dichiarazione resa dall'altro per radicare un giudizio contenzioso di scioglimento dell'unione.

c) Natura della dichiarazione e obbligo di preventiva comunicazione. Il legislatore delegato è pesantemente intervenuto, probabilmente anche eccedendo la delega che gli era stata conferita, ai sensi del comma 28, art. 1, sulla natura della manifestazione di volontà. L'art. 1, comma 24, l. n. 76/2016, infatti disponeva solo che la volontà di sciogliere l'unione dovesse essere semplicemente manifestata davanti all'USC; il d.lgs. n. 5/2017, introducendo la lettera g)-quinquies all'art. 63 d.P.R. n. 396/2000, ha introdotto un ulteriore passaggio consistente nell'obbligo di preventiva comunicazione di una parte all'altra dell'intento di sciogliere il vincolo. Si tratta sicuramente di un intervento posto a tutela delle parti dell'unione (onde evitare l'attivarsi “a sua insaputa” del procedimento di scioglimento), ma non può non dubitarsi del fatto che, così facendo, il legislatore delegato non si è limitato ad armonizzare le norme esistenti al nuovo istituto, ma ha surrettiziamente modificato il comma 25, introducendo un preventivo passaggio che rende, paradossalmente, ancora più complicato (forse più complicato rispetto al matrimonio eterosessuale) lo scioglimento dell'unione civile.

Inoltre il nuovo art. 63 d.P.R. n. 396/2000, per la sua formulazione, non chiariva se la parte che rendeva la dichiarazione dovesse comunicare all'altra parte la propria volontà, prima di recarsi innanzi all'USC oppure dopo.

È intervenuto, sul punto, il d.m. 27 febbraio 2017, che, con l'introduzione della formula 121-undecies, precisa che la parte che intenda sciogliere l'unione, debba prima manifestare all'altra la propria volontà e poi recarsi innanzi all'USC che, verificato l'espletamento dell'incombente, raccoglie la dichiarazione di cui all'art. 1 comma 25 l. n. 76/2016. Da quel momento, e non dunque dalla data di ricezione della comunicazione preventiva, decorreranno i tre mesi necessari per poter radicare il giudizio di scioglimento dell'unione.

Il nuovo meccanismo

Chi intende, dunque, sciogliere l'unione civile deve:

i) comunicare, a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento, o «altra forma di comunicazione parimenti idonea», all'altra parte, alla residenza anagrafica o, in difetto, «all'ultimo indirizzo noto» la propria volontà;

ii) recarsi davanti all'USC del Comune dove l'unione è stata costituita, consegnare la prova dell'avvenuta preventiva comunicazione (che verrà trattenuta dall'USC, presumibilmente in originale) e manifestare nuovamente la propria volontà di scioglimento dell'unione;

iii) attendere tre mesi e depositare la domanda di scioglimento dell'unione, in forma congiunta o contenziosa, secondo il rito previsto dall'art. 1, comma 25, l. n. 76/2016 (sui problemi processuali vedi A. Simeone, op. loc. cit.).

Nuovi e vecchi problemi

Neppure la nuova soluzione adottata pare esente, però, da dubbi. La norma in commento prevede che la comunicazione debba essere inviata – e sin qui, nulla quaestio - alla residenza anagrafica o, in mancanza, all'ultimo indirizzo noto. Non si comprende, però, come debba essere intesa la mancanza di residenza anagrafica, dovendosi forse far riferimento alla sola ipotesi di avvenuta cancellazione della stessa, non sostituita da altra indicazione fatta dalla persona interessata. In sostanza, non sembra potersi sostenere che detta ipotesi si riferisca anche al caso di allontanamento dalla residenza anagrafica se, ad essa, non sia seguita anche la cancellazione.

Parimenti problematica è la definizione di un criterio unitario volto a individuare l'ultimo indirizzo noto, nell'ipotesi di mancata ricezione della comunicazione, così come non viene disciplinata l'ipotesi di totale irreperibilità del soggetto ricevente, con la conseguenza che la norma potrebbe anche prestarsi ad ipotesi di abuso da parte di chi, magari per ragioni ereditarie, ha tutto l'interesse a rallentare l'instaurazione del procedimento di scioglimento.

Altro problema, poi, è dato dalla possibilità di inviare la comunicazione «con altra forma di comunicazione parimenti idonea», giacché, eccezion fatta per la posta elettronica certificata (parificata alla raccomandata cartacea), non sembrano potersi rilevare altri strumenti di comunicazioni equipollenti alla raccomandata a/r, a meno di non voler considerare, contro tutta la giurisprudenza in materia, sufficiente l'invio di una semplice comunicazione a mezzo di posta elettronica ordinaria con avviso di ricevimento, oppure arrivare al paradosso della comunicazione a mezzo social network, se accompagnata dalla prova dell'avvenuta ricezione (es. Messaggio privato o pubblico seguito da messaggio in cui il destinatario conferma la ricezione).

Neppure la normativa delegata poi ha chiarito quale sia l'efficacia temporale della manifestazione di volontà, ovverosia se si possa beneficiare, ai fini dello scioglimento, di una dichiarazione resa parecchio tempo prima rispetto al deposito del ricorso, dovendosi propendere, in assenza appunto dell'auspicato, e non intervenuto, chiarimento, per la soluzione positiva.

La negoziazione assistita

Come noto, in forza dell'art. 1, comma 25, l'unione civile rientra tra le materie per cui è esperibile la negoziazione assistita familiare, prevista dall'art. 6 d.l. n. 132/2014 conv. in l. n. 162/2014. Il fatto che tale previsione sia stata inserita nel comma 25 ha portato taluni commentatori a ritenere che, in detta ipotesi, non sia necessario procedere con la preventiva manifestazione di volontà, disciplinata dal diverso comma 24, e dunque obbligatoria solo per lo scioglimento tramite procedimento giudiziario, contenzioso o congiunto.

Detta interpretazione “liberale”, che avrebbe il pregio di rendere più agevole, nel caso di accordo, il venire meno del vincolo, non convince del tutto, giacché la preventiva manifestazione di volontà sembra essere un tratto comune a tutte le procedure volte allo scioglimento dell'unione civile, anche in considerazione del fatto che la negoziazione assistita familiare è stata inserita nel comma 25, come alternativa al ricorso in Tribunale, per il quale è necessario il previo adempimento previsto al comma 24.

Ragioni di prudenza – giacché l'avvocato è tenuto a certificare la non contrarietà all'ordine pubblico e alle norme imperative delle intese delle parti - dovrebbero indurre il professionista ad attuare un comportamento prudenziale e dunque a concludere l'accordo solo se preventivamente preceduto dalla manifestazione di volontà di scioglimento ex comma 24.

Lo scioglimento amministrativo

Diverso pare essere il caso dello scioglimento amministrativo previsto dall'art. 12 d.l. n. 132/2014 cit., applicabile all'unione civile, giusta il richiamo dell'art. 1, comma 25, l. n. 76/2016. Dalla formula n. 121-octies contenuta nel d.m. 27 febbraio 2017, infatti, sembra desumersi che, in dette ipotesi, lo scioglimento non debba essere preceduto dalla manifestazione di volontà di cui al comma 24, non essendo richiesta la prova dell'avvenuto, preventivo, adempimento. Tale interpretazione, ove consolidata, potrebbe anche riverberarsi sulla negoziazione assistita familiare, portando a un ripensamento della tesi sopra esposta, si ripete, in via assolutamente prudenziale e in attesa di conoscere l'orientamento delle Procure che, così come per il divorzio, saranno chiamate ad apporre il visto sugli accordi di scioglimento dell'unione a seguito di convenzione di negoziazione assistita.

Profili penali

Il d.lgs. n. 6/2017, anch'esso promulgato ai sensi dell'art. 1 comma 28, ha introdotto il nuovo art. 574-ter c.p. che ha parificato, di fatto, ai fini della legge penale, l'unione civile al matrimonio (sui condivisibili dubbi circa l'eventuale incostituzionalità della norma, per eccesso di delega vedi E. Piccatti, Con i decreti attuativi si delineano alcuni contorni penalistici delle Unioni civili, ilFamiliarista.it) e ha modificato l'art. 649 c.p., norma (definita correttamente come anacronistica dai più) che prevede la non punibilità per i delitti contro il patrimonio commessi da un coniuge (e oggi dalla parte dell'unione civile) in danno dell'altra.

Come noto, la causa di non punibilità riguardava il “coniuge non legalmente separato”, ovverosia quello per il quale non era passata in giudicato la sentenza, definitiva o non definitiva, di separazione. Non essendo prevista la separazione per l'unione civile, assume rilevanza, ai fini della norma penale, proprio la manifestazione di volontà prevista dal comma 24. Successivamente ad essa, infatti, il reato diventa punibile solo a querela della persona offesa, assumendo la manifestazione di volontà un ruolo non poco rilevante. Conseguentemente, un delitto contro il patrimonio, previsto nel titolo XIII, libro II, c.p.:

  • non è punibile se commesso da una parte dell'unione civile in danno dell'altra, prima della manifestazione di volontà di cui all'art. 1, comma 24, l. n. 76/2016;
  • è punibile solo a querela della persona offesa, se commesso dopo la manifestazione di volontà innanzi all'USC, ma prima del passaggio in giudicato della sentenza di scioglimento dell'unione;
  • è perseguibile d'ufficio o a querela di parte, dopo lo scioglimento dell'unione, in funzione di quanto previsto nelle singole norme incriminatrici (es. il furto “semplice” ex art. 624 c.p. è perseguibile a querela di parte).
Conclusioni

L'aver perseguito a tutti i costi un sistema che non prevedesse lo scioglimento immediato dell'unione, senza il ricorso a preventive manifestazioni di volontà, non rispondenti ad alcun fine concreto, se non quello di “avvicinare” le unioni civili al matrimonio senza però sovrapporre le prima al secondo, ha creato numerosi problemi applicativi e pratici che neppure l'intervento del legislatore delegato ha risolto e che, probabilmente, aumenterà a dismisura il contenzioso in un settore, come quello del processo familiare, già ad alto rischio di implosione.

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