Via al procedimento monofasico per la riassegnazione sessuale e la rettificazione anagrafica

18 Novembre 2016

La questione principale sulla quale il Tribunale di Bari è chiamato a pronunciarsi è se l'intervento chirurgico sia requisito necessario ai fini della rettificazione anagrafica ed ancora, qualora sia solo eventuale, quali siano le ricadute sul piano processuale.
Massima

È riconosciuta la rettificazione dell'atto di nascita e di ogni altro atto dello stato civile contestualmente all'autorizzazione all'intervento medico-chirurgico per il mutamento di sesso.

Il caso

Una signora rivolge al Tribunale di Bari domanda contestuale di riassegnazione sessuale e di rettificazione anagrafica, allegando relazione psico-sessuale del Day Hospital rilasciata dal Policlinico del capoluogo pugliese. Precisava peraltro di non identificarsi nel suo sesso anagrafico perché attraversata da uno stato di «irreversibile transessualismo». Detto Ufficio giudiziario autorizzava l'interessata a sottoporsi a intervento chirurgico di rettifica del sesso, al fine di adeguare le caratteristiche sessuali esterne del proprio corpo al genere maschile, disponendo contestualmente la rettificazione del sesso da femminile a maschile e del nome nell'atto di nascita e in ogni altro atto dello stato civile.

La questione

Al centro della vicenda giudiziaria i quesiti da risolvere sono i seguenti: l'intervento chirurgico è requisito necessario ai fini della rettificazione anagrafica? Ed ancora, qualora fosse solo eventuale quali sarebbero le ricadute sul piano processuale?

Le soluzioni giuridiche

Nel rispondere al primo quesito è utile ricordare anzitutto che l'elaborazione giuridica è stata a lungo persuasa dall'idea che il “costringimento al bisturi” (per usare l'espressione di S. Patti, Mutamento di sesso e «costringimento al bisturi»: il tribunale di Roma e il contesto europeo, in NGCC, 2015, II, 39, nota a Trib. Roma, 18 luglio 2014) fosse un passaggio obbligato; solo in seguito ha riflettuto se la terapia ormonale possa ritenersi un rimedio sufficiente per la rettificazione di sesso.

Secondo un indirizzo che non si è esitato a definire “formalistico” il raggiungimento dell'identità sessuale, divergente dalla mera corrispondenza tra sesso biologico e genere, è realizzabile solo se il richiedente tutela si sottoponga ad un intervento medico chirurgico che concili i caratteri sessuali primari al genere desiderato (di recente, Trib. Vercelli, sez. I civ., 27 novembre 2014, n. 159, in www.altalex.com, 8 gennaio 2015, con nota di G. Mattiello; App. Bologna, sez. I civ., 22 febbraio 2013; Trib. Potenza, 20 febbraio 2015 in www.articolo29.it). In questa fase la tutela in tema di transessualismo favoriva la prerogativa esclusiva dell'interesse statuale, volta a dare certezza sul genere biologico, maschile o femminile, di un soggetto: un interesse preminente che escluderebbe qualsiasi forma di bilanciamento con gli interessi delle persone coinvolte (ne dà atto Corte. cost., 11 giugno 2014). Un punto di discontinuità nel formante giurisprudenziale è segnato, di recente, da alcune decisioni che ritengono eventuale l'intervento chirurgico e di poter superare l'ostacolo dell'art. 1, comma 1, l. n. 164/1982 mediante interpretazioni costituzionalmente orientate (per tutte, Trib. Messina, sez. I civ., 4 novembre 2014). La Cassazione (Cass. civ., 20 luglio 2015, n. 15138) ha osservato come tale norma faccia generico riferimento ai «caratteri sessuali» (pur essendo al tempo della confezione della disciplina già nota la distinzione tra caratteri sessuali primari e secondari) e nel successivo art. 3 l'intervento chirurgico debba essere autorizzato «quando necessario». L'interpretazione congiunta delle due disposizioni non può ritenersi pertanto espressiva di un contenuto precettivo univoco.

In questo quadro si inserisce la decisione in commento: «È riconosciuta la rettificazione dell'atto di nascita e di ogni altro atto dello stato civile contestualmente all'autorizzazione all'intervento medico-chirurgico per il mutamento di sesso, anche alla luce della recente e condivisibile lettura fornita in materia dalla Corte costituzionale con sent. n. 221 del 21 ottobre 2015 secondo cui “La legge n. 164/1982, in tema di rettificazione degli atti anagrafici per la modifica del sesso, deve essere interpretata nel senso che il trattamento chirurgico modificativo dei caratteri sessuali non costituisce prerequisito per accedere al procedimento di rettificazione, ma è solo un possibile mezzo, rimesso alla scelta del soggetto che chiede la rettificazione, funzionale al conseguimento di un pieno benessere psicofisico" (…)».

Per la corte territoriale, nel quadro delineato dall'art. 31, commi 4 e 5, d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150 la rettifica del sesso appare notevolmente semplificata, giacché il trattamento medico-chirurgico non è più indispensabile, apparendo una conseguenza ulteriore ed eventuale della domanda di rettificazione anagrafica. La giurisprudenza ha mostrato, invero, indirizzi divergenti sul punto. Correttamente, il Tribunale di Bari aderisce all'indirizzo “possibilista” che poggia sulla lettura congiunta dei commi 4 e 5 dell'art. 31 d.lgs. n. 150/2011. Si afferma che proprio la locuzione «quando risulta necessario un adeguamento dei caratteri sessuali da realizzare mediante trattamento medico-chirurgico» induce a prefigurare sulla mera eventualità del ricorso al bisturi.

Osservazioni

La decisione in commento si allinea al filone giurisprudenziale che considera meramente eventuale l'intervento chirurgico di riassegnazione sessuale, ai fini della rettificazione anagrafica, partendo dalla locuzione adoperata dal legislatore (“quando risulta necessario”) (così Trib. Rovereto, 3 maggio 2013, in NGCC, 2013, I, 1116, con nota di F. Bilotta, Identità di genere e diritti fondamentali della persona; Trib. Roma, 11 marzo 2011 e Trib. Roma, 22 marzo 2011). In questa prospettiva, va caldeggiato l'intervento chirurgico se l'attribuzione dell'identità sessuale rifletta il raggiungimento di uno stabile equilibrio psico- fisico, con piena accettazione del proprio corpo. Spetta chiaramente al giudice, precisa la Consulta, «un rigoroso accertamento giudiziale delle modalità attraverso le quali il cambiamento è avvenuto e del suo carattere definitivo. Rispetto ad esso il trattamento chirurgico costituisce uno strumento eventuale, di ausilio al fine di garantire, attraverso una tendenziale corrispondenza dei tratti somatici con quelli del sesso di appartenenza, il conseguimento di un pieno benessere psichico e fisico della persona» (Corte cost., 5 novembre 2015, n. 219).

In una prospettiva legislativa, una simile soluzione è strettamente funzionale alla garanzia dell'identità della persona, di cui l'identità sessuale è species (in tal senso Corte cost. 24 maggio 1985 n. 161), oltre che strumentale alla conservazione del benessere mentale e corporale.

Le ricadute sul piano processuale di tale convincimento sono evidenti. Orientando dunque l'attenzione sulla seconda delle questioni (v. retro) enunciate, va rammentato che la citata prospettiva evoluzionistica ha imposto la revisione «dei risvolti processuali dell'impostazione tradizionale che considera l'intervento medico-chirurgico quale prerequisito per accedere al detto procedimento di rettificazione anagrafica» (F. Bilotta, voce Transessualismo, in Dig. Disc. Priv., Torino, 2013) ovvero di quella «consequenzialità logica scandita in due fasi procedimentali: nella prima il giudice è (era) chiamato ad accertare la presenza di circostanze circa il diritto del ricorrente a ottenere l'attribuzione di un sesso diverso e, se lo ritiene necessario, autorizza con sentenza il trattamento medico-chirurgico. Solo in una seconda fase il magistrato è (era) chiamato ad affrontare il profilo della rettificazione anagrafica» (cfr. L. Bardaro, La transizione sessuale: stato dell'arte e prospettive evoluzionistiche, in corso di pubblicazione in Dir. succ. fam., 1, 2017). Ebbene, nel sistema attuale, è evidente che l'interessato deve essere messo nelle condizioni di formulare, in un'unica istanza, entrambe le richieste, come si ricava implicitamente dall'art. 31, comma 5, d.lgs. n. 150/2011: «con la sentenza che accoglie la domanda di rettificazione di attribuzione di sesso il tribunale ordina all'ufficiale di stato civile del comune dove è stato compilato l'atto di nascita di effettuare la rettificazione nel relativo registro».

La nuova tendenza ha preso forma inizialmente come obiter dictum della Corte di cassazione (secondo Cass. civ., sez. I, 20 luglio 2015, n. 15138), «Il procedimento non è più bifasico nel senso che non richiede, dopo l'entrata in vigore del d.lgs. n. 150/2011, due pronunce, una, volta all'autorizzazione sopra indicata, e l'altra, finalizzata dalla modificazione dell'attribuzione di sesso», poi ha fatto seguito in una sentenza della Consulta (Corte cost., 5 novembre 2015, n. 221 ha dichiarato, come detto, infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1, l. n. 164/1982, precisando che il trattamento chirurgico non deve essere considerato quale prerequisito per accedere al procedimento di rettificazione, ma come possibile mezzo, funzionale al conseguimento di un pieno benessere psicofisico), fino ad assumere il valore di principio giuridico nella giurisprudenza in commento.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.