Ridotto l'assegno divorzile per intervenuta invalidità del coniuge onerato

Marta Rovacchi
19 Aprile 2017

In sede di revisione dell'assegno divorzile il Giudice deve limitarsi a verificare se e in che misura le circostanze...
Massima

In sede di revisione dell'assegno divorzile il Giudice deve limitarsi a verificare se e in che misura le circostanze sopravvenute abbiano alterato l'equilibrio raggiunto ed adeguare l'importo o l'obbligo della contribuzione alla nuova situazione patrimoniale reddituale.

Il caso

Su ricorso del marito, il Tribunale di Ancona emetteva un provvedimento con il quale, accogliendo le doglianze dello stesso, riduceva l'importo dell'assegno divorzile dovuto alla moglie da € 1.800,00 a € 1.000,00.

Entrambe le parti reclamavano la statuizione presso la Corte d'appello: la moglie lamentava che, pur avendo il Tribunale accertato che la patologia che aveva colpito il marito aveva ingenerato l'incapacità a proseguire l' attività forense, il Giudice non aveva tenuto in debito conto che la stessa avrebbe potuto proseguire l'attività legale al posto del marito, essendo anch'ella avvocato.

Il marito, dal suo canto, si dogliava dell'insufficienza della riduzione, dovendo l'assegno divorzile essere revocato.

La Corte di appello di Ancona respingeva entrambi i gravami.

Pur, infatti, risultando provato il peggioramento della situazione economica del marito, la Corte concludeva che tale diminutio non poteva considerarsi sufficiente a giustificare l'automatica eliminazione dell'assegno divorzile.

Ciò in quanto dalla comparazione di entrambe le posizioni reddituali dei contendenti, rimaneva sussistente il diritto della moglie alla percezione dell'assegno divorzile.

La motivazione della Corte di appello si fondava, principalmente, sull'assunto che le riduzioni reddituali e quelle pensionistiche del marito erano compensate dal suo ingente patrimonio immobiliare, solo in minima parte proveniente da lasciti ereditari, e dalla possibilità di trarre ancora frutto da esso.

Il marito impugnava tale decisione avanti la Corte di Cassazione che esaminava i motivi di gravame attraverso un approfondito esame.

Il ricorrente, infatti, lamentava la mancata corretta valutazione da parte dei Giudici della Corte d'appello della perdita del suo reddito professionale, della limitata entità della pensione da lui effettivamente percepita e della perdita del reddito dal suo incarico assessorile, successiva all'epoca del divorzio.

Infine, il ricorrente lamentava la mancata valutazione da parte della Corte d'appello degli obblighi di mantenimento del secondo figlio minore, oltre la errata comparazione tra i redditi delle parti in ragione della sperequata dazione imposta in capo al marito di € 1.000,00 a favore della moglie a titolo di assegno divorzile.

In buona sostanza, uno dei motivi salienti su cui si basava l'impugnazione del marito, consisteva nell'eccepire che la Corte d'appello avesse provveduto illegittimamente, ovvero fuori dei limiti procedurali e giuridici ad essa attribuiti, ad una nuova valutazione del patrimonio reddituale del ricorrente senza considerare le diminuzioni reddituali intervenute e documentate.

Il marito eccepiva, infine, che non era stato documentalmente provato che il suo patrimonio immobiliare avesse fruttato un qualsivoglia incremento, poiché, al contrario, esso era diminuito a seguito della cessione di un cespite alla moglie che si era accollata il relativo mutuo.

La Corte territoriale, infatti, aveva affermato che il patrimonio immobiliare del marito era cospicuo senza, però, effettuare od essere in possesso di una esatta e plausibile stima, ma basandosi su una mera affermazione della ex coniuge.

La questione

La questione in esame è dunque la seguente: a quali condizioni la accertata diminuzione del patrimonio di un coniuge in sede di modifica delle condizioni di divorzio, può giustificare la revoca o la riduzione dell'assegno?

Le soluzioni giuridiche

Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione accoglie i motivi del ricorso avanzato dal marito ritenendo di doverli esaminare congiuntamente.

Il principio giuridico al quale, secondo la Suprema Corte, il giudice del reclamo avrebbe dovuto attenersi, è quello secondo cui il provvedimento di revisione dell'assegno divorzile richiede non solo l'accertamento di una sopravvenuta modifica delle condizioni economiche delle parti, ma anche l'idoneità di tale modifica a mutare il pregresso assetto patrimoniale realizzato con il provvedimento che attribuiva l'assegno divorzile.

Ciò attraverso una valutazione comparativa delle condizioni economiche di entrambe le parti.

In sede di divorzio, tale esame passa anche attraverso la verifica dell'esistenza di un nesso di causalità tra il cambiamento reddituale intercorso ed il nuovo assetto patrimoniale.

In altre parole, laddove il motivo di revisione si basi su elementi che conducono alla richiesta di revoca dell'assegno divorzile, è indispensabile procedere al rigoroso accertamento dell'effettività dei mutamenti avanzati per poi verificare la sussistenza del rapporto causa-effetto tra detti cambiamenti e la nuova situazione economica: solo tale approfondito esame potrà costituire il necessario, motivato convincimento in capo all'organo giudicante in ordine all'acquisita disponibilità da parte del coniuge destinatario dell'assegno di mezzi idonei a conservargli un tenore di vita analogo a quello condotto in costanza di matrimonio, oppure a dedurne l'impossibilità del coniuge onerato a continuare ad elargire l'obbligo posto a suo carico.

Il Giudice investito della domanda di modifica, dunque, non può procedere ad una autonoma e nuova valutazione dell'entità dell'assegno o dei suoi presupposti, ma deve limitarsi a verificare se ed in quale misura le sopravvenute circostanze abbiano alterato l'equilibrio raggiunto nel grado di giudizio precedente e, conseguentemente, adeguare l'obbligo di contribuzione alla nuova situazione patrimoniale, fino alla sua eventuale totale revoca.

Secondo la Suprema Corte, i giudici del secondo grado non hanno rispettato né applicato tale principio giuridico poiché, invece di valutare il rapporto di causalità tra le situazioni pregresse e le dimostrate sopravvenienze patrimoniali reddituali, hanno invece provveduto ad una nuova complessiva valutazione della posizione economica di ciascuna parte del tutto avulsa dall'accertamento della necessaria precisa comparazione causale tra le sopravvenute variazioni economiche e reddituali.

Il giudice distrettuale, infatti, non solo non ha provveduto ad una precisa ed esatta commisurazione del patrimonio immobiliare del marito, ma si è limitato a presumere che la perdita della capacità lavorativa, la modesta entità della pensione e il mantenimento di un ulteriore figlio, oltre che le spese per un badante, fossero in parte compensate dalla redditività degli immobili posseduti.

Sulla base di queste considerazioni, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso avanzato dal marito rinviando la causa avanti la Corte d'appello in diversa composizione.

Osservazioni

Non è nuovo alla Suprema Corte il tema della revisione dell'assegno divorzile stabilito in primo grado e confermato e/o ridotto in sede di reclamo.

Il principio enunciato dalla Cassazione la sent. n. 787/2017, conferma un principio giuridico già enunciato in altre precedenti pronunce (cfr. Cass. n. 10133/2007) secondo il quale la revisione dell'assegno divorzile presuppone la verifica circa la sopravvenuta modifica delle condizioni economiche delle parti e l'idoneità della stessa a mutare l'assetto patrimoniale realizzato con il precedente provvedimento attributivo dell'assegno, secondo una valutazione comparativa delle condizioni economiche di entrambe le parti.

Non va trascurata, in questa comparazione, la finalità assistenziale dell'assegno divorzile, ovvero quella di assicurare al coniuge più debole un tenore di vita tendenzialmente analogo a quello goduto in costanza di matrimonio.

Per questi motivi, in sede di revisione, il giudice non può effettuare una nuova e autonoma valutazione dell'assegno da corrispondere, ma deve limitarsi a verificare se le circostanze sopravvenute dopo il divorzio abbiano effettivamente modificato l'assetto delle condizioni patrimoniali delle parti.

Una volta accertata questa condizione, sulla base di tali elementi in rapporto di causalità e finalità con la natura dell'assegno divorzile, dovrà valutare se le condizioni del coniuge obbligato sono peggiorate a tal punto da rendere insostenibile l'onere posto a suo carico.

Se, dunque, è vero che l'assegno da stabilirsi in sede di divorzio deve tendenzialmente garantire al coniuge più debole il mantenimento del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, è altrettanto vero che la valutazione comparativa delle rispettive spettanze, se passive di significativi cambiamenti nel corso del tempo, possono essere oggetto di valutazione da parte dei Giudici ai sensi dell'art. 9 l. n. 898/1970.

Quando, dunque, i peggioramenti delle condizioni economico-patrimoniali dell'onerato sono rilevanti, le nuove sopravvenienze peggiorative devono essere comparativamente valutate dai giudici senza alcun approccio basato su automatismi, accertando, caso per caso, se ed in quale misura le circostanze sopravvenute siano in grado di alterare l'assetto stabilito in sede di divorzio e, quindi, siano concretamente idonee a ridurre o ad azzerare l'importo dell'assegno divorzile a carico del coniuge onerato.

A parere di chi scrive con la sentenza in commento viene ribadita la natura assistenziale dell'assegno divorzile che, per quanto disancorata da rigidi parametri, può subire una revisione sulla base della sussistenza di giustificati motivi sopravvenuti che, se adeguatamente comprovati, obbligano il giudice adito a valutare se ed in quale misura abbiano determinato l'esigenza di un riequilibrio o di una sperequazione delle rispettive situazioni economiche.

Il diritto ad ottenere una revisione dell'assegno divorzile stabilito in sede giudiziaria contenziosa e/o consensuale, è sancito esplicitamente dall'art. 9 l. n. 898/1970.

Tale diritto rappresenta indubbiamente uno strumento idoneo a valutare in senso comparativo gli sviluppi successivi ad un assetto determinato rebus sic stantibus in sede di divorzio.

Ciò può essere utilizzato in senso favorevole all'onerato, laddove abbia elementi probatori sufficienti a dimostrare che il peggioramento delle sue condizioni non gli consentono di mantenere l'impegno assunto i sede di divorzio, nonché in senso favorevole all'avente diritto laddove lo stesso riesce a dimostrare la permanenza del suo diritto alla disponibilità a mantenere un tenore di vita adeguato nonostante gli sviluppi offerti in comunicazione dall'ex coniuge.

In tale valutazione comparativa che il Giudice è chiamato a compiere, nessun valore devono avere gli eventi antecedenti alla pronuncia di divorzio.

Non solo: gli eventuali miglioramenti o peggioramenti delle condizioni patrimoniali dell'onerato non possono costituire un automatico parametro di revisione (in senso di aumento o di azzeramento) dell'assegno divorzile in quanto il legislatore, subordinando la revisione dell'assegno alla sopravvenienza di giustificati motivi, ha inteso obbligare le parti e il giudice ad una valutazione caso per caso degli elementi istruttori alla luce del rispetto dei criteri di cui all'art. 5 l. n. 898/1970.

È pertanto escluso qualsivoglia automatismo. Si pensi, ad esempio, che se la diminuzione del reddito dell'onerato dipende addirittura da scelte personali del soggetto obbligato alla corresponsione dell'assegno di divorzio, tale cambiamento è comunque idoneo a qualificarsi come giustificato motivo di riduzione, revisione, o revoca dell'assegno.

Tale assunto rende oltremodo merito alla pronuncia in esame che, cassando la sentenza della Corte di appello, ha rimarcato l'esigenza di una approfondita valutazione degli elementi che un ex coniuge fornisce ai fini della revisione o azzeramento dell'onere posto a suo carico in sede divorzile senza trascurare alcun aspetto suscettibile di valutazione economica.

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