Per le cause degli ascendenti il Tribunale per i minorenni è l'unico competente
19 Novembre 2015
Massima
Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 38, comma 1, disp.att. c.c. nella parte in cui non prevede la competenza del Tribunale ordinario per le controversie di cui all'art. 317 bis c.c. sotto il profilo dell'eccesso di delega, avendo, in questo caso, il legislatore delegato compiuto un'attività normativa di completamento e sviluppo coerente delle scelte del delegante.
Non è fondata la medesima questione sotto il profilo della violazione degli artt. 3 e 111 Cost. giacché la concentrazione processuale voluta dal legislatore con la riforma dell'art. 38 disp. att. c.c. riguarda l'ipotesi in cui sussista identità soggettiva tra il procedimento di separazione o divorzio (o quello ex art. 316 c.c.) e quello ex art. 330-333 c.c.; identità esclusa a priori nei procedimenti ex art. 317 bis c.c; la scelta del legislatore delegato di attribuire al giudice specializzato (il Tribunale per i minorenni) le controversie ex art. 317 bis c.c. non è neppure irragionevole, considerata l'obiettiva diversità degli interessi fatti valere in quel procedimento rispetto a quelli introdotti nei procedimenti eventualmente pendenti tra i genitori. Il caso
I nonni paterni di Caia, adivano il Tribunale per i minorenni di Bologna, affinché, accertato il comportamento ostativo della madre ai loro rapporti con la nipote, regolamentasse il loro diritto di visita. Il Tribunale per i minorenni con ordinanza del 5 maggio 2014 (v. G. Sapi, È legittima la competenza del Tribunale per i Minorenni a decidere sul diritto di visita dei nonni?, in IlFamiliarista.it) sollevava questione di legittimità costituzionale sotto un duplice profilo: a) violazione degli artt. 76 e 77 Cost. per eccesso di delega, giacché il delegante aveva incaricato il delegato di riconoscere la legittimazione degli ascendenti, senza però alcun riferimento all'individuazione ex lege del Giudice competente; b) violazione degli artt. 3 e 111 Cost. determinando la norma incriminata«la frantumazione di una tutela processuale che dovrebbe essere univoca e ..»creando «in danno dei minori, una proliferazione di processi che non tiene affatto conto dell'interesse preminente del minore che illuminava l'intera legge n. 219/2012 e, dunque, la delega legislativa». Analoga questione veniva sollevata dal Tribunale per i minorenni di Napoli (Trib. Min. Napoli, 25 luglio 2014, n. 210; in quel caso, però, tra i genitori pendevano innanzi al Giudice minorile due procedimenti de potestate e nessun giudizio innanzi al Tribunale ordinario). L'Avvocatura dello Stato, in rappresentanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri, è intervenuta in entrambi i giudizi per chiedere il rigetto di entrambe le questioni, evidenziando, con riferimento al secondo l'irrilevanza della questione, giacchè anche ove la norma fosse stata dichiarata incostituzionale, la competenza sarebbe rimasta in capo al Tribunale per i Minorenni di Napoli, in virtù della pendenza dei due procedimenti di cui sopra. La Corte Costituzionale, riuniti i giudizi, ha rigettato entrambe le questioni. La questione
La l. n. 219/2012 ha delegato il Governo ad emanare «uno o più decreti legislativi di modifica delle disposizioni vigenti in materia di filiazione e di dichiarazione dello stato di adottabilità per eliminare ogni discriminazione tra i figli, anche adottivi, nel rispetto dell'art. 30 Cost., osservando, oltre ai principi di cui agli artt. 315 e 315bis c.c., come rispettivamente sostituito e introdotto dall'art. 1 della presente legge, i seguenti principi e criteri direttivi....(omissis) p) previsione della legittimazione degli ascendenti a far valere il diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti minori». In tal senso è stato emanato il d. lgs. 28 dicembre 2013, n. 154 che, tra l'altro, con l'art. 42 ha sostituito il previgente art. 317 bis c.c.. Parallelamente, il citato decreto legislativo ha aggiunto al già confuso e accidentato art. 38 comma 1 disp. att. c.c. (modificato già dalla Legge delega) il seguente alinea «Sono, altresì, di competenza del tribunale per i minorenni i provvedimenti contemplati dagli artt. 251 e 317-bis del codice civile». Il legislatore delegato, dunque, ha agito su due piani: uno sostanziale, tramite l'introduzione del diritto dei nonni ad avere rapporti con i nipoti di cui all'art. 317 bis c.c.; uno processuale, mediante la previsione secca della competenza del Tribunale per i minorenni per le controversie giudiziarie connesse all'esercizio di tale diritto. La tecnica legislativa del delegato (che non ha inserito le controversie dei nonni tra quelle di cui al primo alinea del primo comma dell'art. 38 disp. att. c.c.) non lascia spazio ai dubbi, cosicché, i procedimenti “dei nonni”, a differenza degli altri procedimenti de potestate (v. L.M.Cosmai, Il riparto di competenza tra Tribunale ordinario e Tribunale per i minorenni, in IlFamiliarista.it) sono di competenza del “Giudice specializzato”, anche quando tra i genitori è pendente un procedimento di separazione, divorzio o ex art. 316 c.c.. Investita dal Tribunale per i minorenni di Bologna e dal Tribunale per i minorenni di Napoli, la Corte Costituzionale è stata chiamata a valutare la costituzionalità dell'art. 38 disp. att. c.c., così come riformulato dall'art. 96 d. lgs. n. 154/2013, sotto un duplice profilo:
1. Violazione degli artt. 76 e 77 Cost., per eccesso di delega; il legislatore delegante non aveva infatti dato alcuna indicazione in merito all'individuazione del giudice competente per le controversie degli ascendenti; dovendo questa rientrare nel novero dei provvedimenti ex art. 333 c.c. oppure ex art. 337 ter c.c., il silenzio del delegante doveva intendersi come scelta di attribuire la competenza al Tribunale ordinario, anche in ragione del principio di concentrazione delle tutele, cui era informato il nuovo testo dell'art. 38 disp. att. c.c. (che prevede una competenza specifica del Tribunale per i minorenni destinata a soccombere a favore del Tribunale ordinario nell'ipotesi di pendenza di giudizio ex art. 151 c.c., art. 3 l. n. 898/1970 oppure ex art. 316 c.c.);
2. Violazione degli artt. 3 e 111 Cost. per un «intrinseca irragionevolezza e una rottura del principio di concentrazione processuale, dove questo era all'evidenza da privilegiare» (così Trib. Min. Bologna, ord., 5 maggio 2014); con la disposizione in esame, infatti, i minori, il cui interesse dovrebbe peraltro costituire il criterio guida per ogni disposizione in materia, sarebbe esposto a una dannosa proliferazione di giudizi. Le soluzioni giuridiche
La Corte ha ritenuto non fondate entrambe le questioni.
1. Con riferimento all'eccesso di delega sulla base del seguente ragionamento argomentativo: a) Il legislatore delegato può compiere attività normativa di completamento delle scelte del delegante, purchè non in contrasto con le previsioni espresse da questo: «la previsione di cui all'art. 76 Cost. non osta all'emanazione, da parte del legislatore delegato, di norme che rappresentino un coerente sviluppo e un completamento delle scelte espresse dal legislatore delegante.... Il ché, se porta a ritenere del tutto fisiologica quell'attività normativa di completamento e sviluppo delle scelte del delegante, circoscrive, d'altra parte, il vizio in discorso ai casi di dilatazione dell'oggetto indicato dalla legge di delega, fino all'estremo di ricomprendere in esso materie che ne erano escluse (C. cost.,sentenze n. 229, n. 182 e n. 50/2014)»; b) il delegato può, nel silenzio del Parlamento, scegliere liberamente gli strumenti processuali di attuazione delle scelte contenute nella legge delega: «Considerata l'ampia discrezionalità e l'insindacabilità delle scelte legislative adottate nella disciplina degli istituti processuali (ex plurimis, sentenza n. 243/2014 e la già citata sentenza n. 182/2014), la questione della conformità alla delega ....in assenza di puntuali e dettagliate direttive, deve (n.d.a) necessariamente plasmarsi in funzione delle soluzioni attuative che il legislatore delegato è chiamato ad effettuare in relazione alle discipline di diritto sostanziale cui la stessa delega si sia, invece, espressamente riferita»; c) nel caso di specie, il delegante ha introdotto una disposizione innovativa (il diritto dei nonni ad avere rapporti con i nipoti) senza pronunziarsi sulla competenza, nonostante le revisione dell'art. 38 disp. att. c.c., lasciando così al delegato ampio margine di manovra: «Appare, così, ragionevole, nella specie, che il legislatore delegato, avendo introdotto, conformemente alla delega, una previsione del tutto innovativa, quale quella di cui all'art. 317 bis c.c. ne abbia definito, con la disposizione denunciata, anche i “contorni” processuali, adeguatamente individuando il giudice competente in quello “specializzato”. D'altra parte – e tale rilievo sembra assumere portata dirimente – l'art. 2, comma 2, l. 10 dicembre 2012, n. 219 (Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali) aveva espressamente affidato al legislatore delegato il compito di apportare, con gli emanandi decreti legislativi, «le occorrenti modificazioni e integrazioni normative, il necessario coordinamento con le norme da essi recate delle disposizioni per l'attuazione del codice civile e disposizioni transitorie, di cui al r. d. 30 marzo 1942, n. 318, e delle altre norme vigenti in materia, in modo da assicurare il rispetto dei princìpi e criteri direttivi».
2. Quanto invece alla presunta violazione degli artt. 3 e 111 Cost., il Giudice delle Leggi ha ritenuto insussistente una violazione dei parametri del giusto processo (violazione in ordine alla quale, per il Giudice delle leggi i remittenti non avrebbero fornito “espressa motivazione”) sotto il verosimile profilo delle “ragionevole durata”, compromessa dalla frammentazione processuale, giacché: a) «Il cumulo processuale» voluto dall'art. 38 comma 1, disp.att. c.c. «si giustifica... in relazione alla circostanza per cui le parti coinvolte in giudizio siano soggettivamente “le stesse”» (vale a dire i genitori in fase di separazione o divorzio e i figli minori) e dunque non è «riconducibile a mere esigenze di speditezza processuale»; b) tale ratio, sottesa alla riforma dei criteri di ripartizione della competenza, «non impone affatto di adottare una medesima soluzione regolativa per l'ipotesi, del tutto differente, del contenzioso introdotto da parte degli ascendenti» in cui diverse sono le parti e diversi sono «gli interessi in contesa»; In sostanza, per la Corte, dalla diversità soggettiva e oggettiva tra la prima categoria di giudizi (quelli tra i genitori inerenti la responsabilità genitoriale) e la seconda (quelli aventi a oggetto il diritto dei nonni), discende la non applicabilità automatica della soluzione processuale adottata per la prima categoria alla seconda. A situazione differenti corrispondono istituti e scelte processuali differenti. Infine, aggiunge la Corte nel motivare il rigetto delle due questioni: - il «cumulo di questo contenzioso con quello della separazione finirebbe inevitabilmente per introdurre, anche fra gli stessi coniugi, un ulteriore elemento di conflittualità, potenzialmente eccentrico rispetto a quelli già presenti»; - non è tacciabile di irragionevolezza «la scelta di attribuire a un giudice specializzato – e da considerarsi “naturale” per la tutela degli interessi dei minori – anche la competenza in discorso, fermo restando che qualsiasi altro e diverso livello di criticità delle soluzioni adottate dal legislatore non può che legittimamente rientrare – specie, come si è ricordato, nella materia processuale – nell'ambito della discrezionalità di cui esso gode». Osservazioni
A distanza di pochi anni dall'entrata in vigore della l. n. 219/2012 e del d. lgs. n. 154/2013, si sono pronunciati sull'art. 38 disp. att. c.c. i giudici di merito (cfr. ex plurimis Trib. Milano, 3 maggio 2013; Trib. Milano 11 dicembre 13 febbraio 2013; Trib. Min Brescia, 1 agosto 2014; Trib. min. Catania 22 maggio 2013; Trib. Min. Palermo 11 dicembre 2013), il Giudice di legittimità (Cass. civ. 14 ottobre 2014, n. 21633; Cass. civ., ord. 26 gennaio 2015, n. 1349; Cass. Civ. 12 gennaio 2015,n. 2833) e, infine, il Giudice delle Leggi, con l'ordinanza di rigetto in commento. Ciò conferma quello che a tutti gli operatori è parso chiaro sin dall'inizio: la riformulazione dell'art. 38 disp. att. c.c. è frutto di una tecnica legislativa sostanzialmente erronea che ha creato una nebulosa in cui è difficile orientarsi. Con la sentenza in commento, la Consulta, ha però ritenuto che la scelta, del Legislatore delegato di attribuire, pur in pendenza di un procedimento di separazione e divorzio (o ex art. 316 c.c.) la competenza delle cause degli ascendenti al Tribunale per i Minorenni, non sia affatto irragionevole. La decisione in commento desta talune perplessità, non tanto per il rigetto delle censure svolte in punto di eccesso di delega (alla luce della pregressa e consolidata giurisprudenza della Corte) quanto semmai per la mancata considerazione dell'interesse del minore che, per essere realizzato, deve risolversi nella scelta di un modello processuale coerente e diretto a lenire il più possibile gli effetti sui minori dei contenziosi degli adulti. E' già bizzarro che tanto il Legislatore delegante quanto quello delegato abbiano voluto introdurre, unicum nel genere, un diritto degli ascendenti, contrapposto (e da contemperare evidentemente) a quello dei minori, allorquando, invece, non sussiste, almeno a livello nominalistico e dogmatico, alcun diritto dei genitori, titolari, semmai, ed esercenti la responsabilità genitoriale, la quale, per struttura e conformazione, non è riducibile al rango di un mero diritto. Ma, un Parlamento evidentemente molto attento alle esigenze dei “senior” (cui sono riconosciuti diritti) e poco a quelle dei “junior”, è andato oltre nel proporre un modello processuale frantumato che impone una proliferazione di giudizi, riti e giudici competenti diversi tra di loro, quando semmai proprio la concetrazione, quanto meno delle sedi processuali, dovrebbe essere un valore in sé da proteggere e promuovere. Sotto il profilo strettamente motivazionale, le scelte della Corte Costituzionale non sembrano pienamente condivisibili. La Corte ritiene infatti che la concentrazione in capo al Tribunale ordinario delle cause tra i genitori e di quelle degli ascendenti introdurrebbe «un ulteriore elemento di conflittualità, potenzialmente eccentrico rispetto a quelli già presenti». Vero è semmai il contrario considerato che, da un lato, la conflittualità esistente tra i genitori non verrebbe né aumentata né diminuita per effetto dell'esistenza di un diverso procedimento innanzi al Giudice minorile e che, dall'altro, l'esistenza di un Giudice unico permetterebbe più agevolmente il raggiungimento di accordi complessivi (a quel punto trilaterali) a tutela del minore; il tutto senza considerare che, in ogni caso, i provvedimenti che regolamentano il diritto di visita dei nonni (emessi dal Tribunale per i minorenni) andrebbero sicuramente a impattare sulla regolamentazione dei tempi di permanenza dei figli presso questo o quel genitore, con la conseguente possibilità di conflitto, quantomeno pratico, di giudicati (si pensi ad esempio all'ipotesi in cui il diritto dei nonni materni sia fissato in un giorno in cui il minore deve rimanere, come da provvedimento del Tribunale ordinario, dal padre). Il Giudice delle Leggi poi sostiene che il cumulo processuale di cui all'art. 38 disp. att. c.c. riguarda giudizi pendenti tra le stesse parti (i genitori), senza dunque tenere in alcun modo conto dei recenti interventi della Suprema Corte (Cass. civ., n.2833/2015) che hanno invece precisato che «il criterio di individuazione del riparto di competenze» tra Tribunale ordinario e Tribunale minorile si fonda «sul principio di concentrazione delle tutele e sul diritto del minore condurre un'esistenza fondata su provvedimenti giudiziali non equivoci e nascenti da un unico accertamento dei fatti»(Cosmai L.M, IlFamiliarista.it, cit.). Infine non può che dubitarsi dell'attualità della qualificazione del Giudice minorile come giudice «naturale per la tutela degli interessi dei minori» proprio a fronte della riformulazione dell'art. 38 disp. att. c.c. che ha drasticamente ridotto il raggio d'azione del Tribunale per i minorenni in sede civile, non solo limitando le materie ad esso riservate ma anche stabilendo, proprio per tali materie, la competenza del Giudice ordinario in presenza di un (precedente) giudizio di separazione, divorzio o ex art. 316 c.c. Una scelta, quella della Consulta, forse solo criticabile dal punto di vista giuridico ma sicuramente pericolosa per gli effetti che avrà sui figli minori. |