Scioglimento della comunione: l’assegnazione del diritto di proprietà fa venir meno il diritto di abitazione
20 Settembre 2016
Il caso. Il Tribunale di Roma disponeva lo scioglimento della comunione dei beni tra due coniugi divorziati relativa a un appartamento e un box, attribuendo la proprietà immobiliare al marito attore e ponendo a suo carico un conguaglio. L'immobile era gravato da un diritto di abitazione riconosciuto allo stesso marito dalla sentenza di divorzio in quanto genitore convivente con il figlio maggiorenne non autosufficiente e, pertanto, in sede di valutazione ai fini del conguaglio, il valore dei beni era stato ridotto del 25%.
Giudici di merito: il diritto di abitazione comporta la decurtazione del valore del bene anche se assegnatario è il titolare di detto diritto. I giudici di merito hanno aderito a un precedente orientamento della stessa secondo il quale «l'assegnazione della casa familiare ad uno dei coniugi, cui l'immobile non appartenga in via esclusiva, instaura un vincolo che oggettivamente comporta una decurtazione del valore della proprietà, totalitaria o parziaria, di cui è titolare l'altro coniuge, il quale da quel vincolo rimane astretto, come i suoi aventi causa, fino a quando il provvedimento non venga eventualmente modificato». Di conseguenza, si deve tenere conto di tale decurtazione indipendentemente dall'attribuzione della proprietà all'uno o all'altro coniuge (Cass. civ. n. 20319/2004).
La proprietà esclusiva della casa familiare fa venir meno il diritto di abitazione. La Suprema Corte non condivide la posizione della Corte di merito e ricorda un precedente orientamento (Cass. civ. n. 11630/2001 confermata in Cass. n. 27128/2014), in base al quale l'assegnazione della casa familiare, di cui siano comproprietari i coniugi, al genitore affidatario «non ha più ragion d'essere» e, quindi, il diritto di abitazione che ne consegue viene meno nel momento in cui il coniuge a cui sia stata assegnata la casa, chieda, nel corso del procedimento per lo scioglimento della comunione, l'assegnazione in proprietà, acquisendo in tal modo anche la quota dell'altro. In questo caso, il diritto di abitazione non può più concorrere alla determinazione del valore di mercato dell'immobile sia perché è un diritto previsto ex art. 155 comma 4, c.p.c. nell'esclusivo interesse dei figli e non del genitore affidatario sia perché «non ha più ragione di esistere», una volta intervenuta l'assegnazione della casa familiare in proprietà esclusiva a quest'ultimo.
La decurtazione di valore dell'immobile penalizza ingiustamente il coniuge non assegnatario. Qualora, infatti, si operasse la decurtazione dal valore in considerazione del diritto di abitazione, il coniuge non assegnatario verrebbe ingiustificatamente penalizzato con la corresponsione di una somma non corrispondente alla metà dell'effettivo valore del bene. Questa considerazione appare decisiva nel caso di specie, in quanto l'attribuzione dell'immobile al coniuge che risultava essere anche l'assegnatario comporta la possibilità per lo stesso di alienare il bene a terzi senza alcun vincolo, conseguendo integralmente il prezzo corrispondente al suo intero valore. Osserva la dottrina che «l'immobile dovrebbe essere valutato “oggettivamente” tenendo conto dell'opponibilità ai terzi di un provvedimento di assegnazione, ancorché reso in favore del coniuge non destinatario dell'attribuzione immobiliare». Si tratta di una fictio iuris iniqua poiché implica un arricchimento in favore del coniuge che sia allo stesso tempo beneficiario dell'immobile presso cui il figlio risiede e «condividente che ottiene l'attribuzione». Per questi motivi, la Suprema Corte cassa la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello che l'ha pronunciata. |