I genitori sociali sono “parenti”?

21 Febbraio 2017

La questione in esame riguarda lo scrutinio di legittimità costituzionale dell'art. 337-ter c.c., in relazione agli artt. 2 e 30 Cost. e in combinato disposto con gli artt. 317, 317-bis, 336 e 337-bis c.c., nella parte in cui non prevede, nel caso di separazione omosessuale, il diritto al mantenimento di un rapporto equilibrato, continuativo e significativo del minore con il genitore sociale.
Massima

La Corte costituzionale dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 337–ter c.c. sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 30 e 31 Cost., ed all'art. 117, comma 1, Cost., in relazione all'art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, laddove non includa anche l'ex compagna della genitrice biologica nell'area dei soggetti le cui relazioni con il minore siano tutelate dalla norma, non esistendo nell'ordinamento un vuoto di tutela quanto all'interesse del minore a mantenere i rapporti, non meno significativi, eventualmente intrattenuti con adulti di riferimento che non siano i suoi parenti, trattandosi di condotta «comunque pregiudizievole al figlio», in relazione alla quale l'art. 333 c.c. già consente al giudice di adottare i provvedimenti convenienti nel caso concreto. E ciò su ricorso del pubblico ministero, a tanto legittimato dall'art. 336 c.c., anche su sollecitazione dell'adulto, non parente, coinvolto nel rapporto in questione.

Il caso

P.G. propone innanzi al Tribunale di Palermo un procedimento di volontaria giurisdizione, ex art. 737 c.p.c., per ottenere nell'interesse superiore dei minori S. e M. un provvedimento volto a statuire tempi e modalità di frequentazione tra la stessa e i due bambini, figli della ex compagna G.D. con la quale aveva avviato, anche grazie al suo sostegno morale ed economico, un processo di procreazione assistita di tipo eterologo, conclusosi con la gravidanza e la nascita di due gemelli, accuditi e cresciuti da entrambe le donne.

P.G. agisce giudizialmente al fine di ottenere, nell'interesse dei minori, un provvedimento diretto a regolare i rapporti con questi ultimi, chiedendo, altresì, che si sollevi questione di legittimità costituzionale dell'art. 337-ter c.c., in relazione agli artt. 2 e 30 Cost. e in combinato disposto con gli artt. 317, 317-bis, 336 e 337-bis c.c., nella parte in cui non prevede, nel caso di separazione omosessuale, il diritto al mantenimento di un rapporto equilibrato, continuativo e significativo del minore con il genitore sociale. A fronte di tale istanza, il Tribunale adito rileva la mancanza di legittimazione ad agire della ricorrente in quanto priva della titolarità del diritto azionato, non essendo prevista, nel nostro ordinamento, una norma che riconosca potestà e/o responsabilità genitoriale all'ex convivente del genitore biologico. Il giudizio prosegue a fronte dell'intervento del P.M. che fa proprie le domande della donna che ha agito giudizialmente. I giudici palermitani, attraverso un'ampia e dettagliata ricostruzione del panorama giurisprudenziale europeo ed internazionale, formatosi sulla nozione di vita familiare e sulla rilevanza da riconoscere ai rapporti genitoriali di fatto, in vista dell'interesse del minore (art. 8 CEDU, artt. 7 e 24 Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea), procedono ad un'interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata dell'art. 337-ter c.c., così da estenderne l'ambito applicativo sino a ricondurvi un concetto allargato di bigenitorialità e di famiglia in cui si ricomprende anche il genitore sociale. Ne consegue la dichiarazione di inammissibilità della questione di legittimità costituzionale proposta, delineando invece un regime di frequentazione della ricorrente e dei minori. Avverso tale provvedimento giurisdizionale, la madre biologica decide di proporre reclamo, chiedendone la riforma. La Corte d'appello di Palermo, aderendo alle istanze della ricorrente, solleva questione di legittimità costituzionale dell'art. 337-ter c.c., introdotto dall'art. 55 d.lgs. n. 154/2013, nella parte in cui, in violazione degli artt. 2, 3, 30, 31 e 117, comma 1, Cost. (sub specie in violazione dell'art. 8 CEDU, quale norma interposta), non consente al giudice di valutare, nel caso concreto, se risponda all'interesse del minore conservare rapporti significativi con l'ex partner del genitore biologico.

La Corte palermitana afferma di condividere pienamente l'individuazione dei parametri costituzionali e convenzionali operati dal primo giudice, che sanciscono il principio del c.d. best interest del minore (quali la Dichiarazione Universale dei Diritti del Fanciullo del 1959, gli artt. 7 e 24 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea o c.d. Carta di Nizza, e l'art. 8 CEDU, nell'interpretazione attribuita dalla Corte EDU, quali «norme interposte» ai fini della verifica del rispetto dell'art. 117, comma 1, Cost). Per tale ragione, esiste un ostacolo rappresentato dal tenore testuale dell'art. 337-ter c.c. che non consente un'interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente adeguata dei parametri sopra richiamati, proprio per affermare il diritto dei minori a mantenere rapporti significativi anche con soggetti non parenti, quale appunto l'ex compagna della loro madre biologica, anche dopo la “disgregazione della coppia”.

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 225/2016 in commento, esclude che sussista la fondatezza dello scrutinio di legittimità costituzionale della norma, dichiarando che nel nostro ordinamento non esiste un vuoto di tutela nelle situazioni in cui il genitore sociale, dopo la disgregazione della coppia, intenda mantenere rapporti significativi con il minore, trattandosi di una ipotesi riconducibile alle «condotte pregiudizievoli al figlio», in relazione alla quale l'art. 333 dello stesso codice già consente al giudice di adottare «i provvedimenti convenienti» nel caso concreto. E ciò sul ricorso del pubblico ministero, legittimato ex art. 336 c.c., ed in questo senso, nella fase del giudizio di primo grado, si era orientato il Tribunale di Palermo che, nel disporre la frequentazione delle due minori con l'ex compagna della madre biologica, aveva ritenuto a tale fine necessaria una richiesta del pubblico ministero.

La questione

La questione oggetto di esame riguarda lo scrutinio di legittimità costituzionale dell'art. 337-ter c.c., in relazione agli artt. 2 e 30 Cost. e in combinato disposto con gli artt. 317, 317-bis, 336 e 337-bis c.c., nella parte in cui non prevede, nel caso di separazione omosessuale, il diritto al mantenimento di un rapporto equilibrato, continuativo e significativo del minore con il genitore sociale, esaminando il dibattito sul riconoscimento, da parte dell'ordinamento, della figura del “genitore sociale”.

Le soluzioni giuridiche

Il genitore sociale è quella persona che, pur non avendo vincoli biologici con i soggetti minorenni facenti parte del nucleo familiare, svolge un ruolo che con quello del genitore si identifica, in quanto è coinvolto nell'educazione e nella istruzione. La dottrina più attenta (D. Buzzelli, La famiglia composita, Napoli, 2012; A. De Mauro, Le famiglie ricomposte, in Familia, 2005), in ragione dell'evoluzione dell'istituto familiare e dei continui cambiamenti sociali, ha cercato di studiare le nuove relazioni familiari e ad individuare possibili strumenti di tutela, soprattutto dei soggetti minori, che sopperissero al vuoto normativo. I problemi oggetto di esame hanno riguardato i doveri e le facoltà del genitore sociale in ordine al mantenimento dei figli del compagno, e soprattutto le modalità di conservazione del rapporto dopo lo scioglimento della convivenza con i genitore biologico.

Ci si è chiesti se, rispetto a quanto espressamente formulato dall'art. 337-ter, comma 1, c.c., non dovrebbe chiedersi se oltre al diritto ad intrattenere rapporti con i parenti non si possa in qualche caso intravvedere il diritto alla protezione dei legami di fatto instaurati nell'ambito delle c.d. famiglie moltiplicate dove non è il vincolo di sangue, ma il rapporto di convivenza e di protezione ad acquistare importanza nell'esperienza della vita dei bambini (G. Ferrando, Genitori e figli nella giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, in Fam. e dir. 2009, 1052).

La Corte Europea dei diritti dell'Uomo ha recentemente riaffermato e sviluppato, fino alle estreme conseguenze, il principio della prevalenza dell'interesse del minore di età in tutte le decisioni che lo riguardano. Tale principio è ormai considerato vincolante per gli Stati aderenti alla Convenzione, e prescinde dalla natura del legame parentale, genetico o “sociale”, da preservare, tra lo stesso minore ed il componente del nucleo familiare di fatto (CEDU, 27 gennaio 2015, Affaire Paradiso Campanelli c. Italia). Va, però, detto che recentemente il principio ha subito una rimeditazione nei casi in cui il legame parentale si struttura in modo illegale. Il 24 gennaio 2017, la sentenza della Grande Camera, questa volta definitiva, ribalta completamente la precedente pronuncia, concludendosi che non vi è stata alcuna violazione dell'art. 8 CEDU (A. Fasano- G. Pizzolante, La Corte di Strasburgo ritorna sull'allontanamento del minore e la maternità surrogata, in IlFamiliarista.it). Vista la mancanza di legame biologico tra il bambino e gli aspiranti genitori, la breve durata delle relazioni e l'incertezza giuridica dei legami, la Corte ha ritenuto, in primo luogo, che il rapporto tra i ricorrenti e il minore non rientri nella nozione di vita familiare, ai sensi dell'art. 8. Difatti, i signori Paradiso e Campanelli avevano forgiato legami affettivi stretti con il bambino solo nelle prime fasi della sua vita e la cessazione di tali legami, pur non essendo direttamente imputabile ai ricorrenti, è comunque conseguenza dell'incertezza giuridica che essi stessi hanno creato, tenendo un comportamento contrario alla legge italiana. Secondo la Cedu le autorità italiane hanno reagito rapidamente a questa situazione chiedendo la sospensione della responsabilità genitoriale e l'apertura del procedimento di adozione. La Grande Camera ha affermato che nella misura in cui il comportamento dei ricorrenti ha violato la legge sull'adozione e il divieto previsto nell'ordinamento italiano circa la riproduzione eterologa, i provvedimenti adottati nei confronti del minore hanno perseguito l'obiettivo di «prevenire l'illegalità» e di proteggere «diritti e libertà» altrui.

Nel nostro ordinamento, il rapporto di filiazione appare non più strutturato sul legame genetico. Si pensi alla l. 4 maggio 1983 n. 184 e successive modifiche, al d.lgs. n. 154/2013 ed alla l. n. 173/2015 che ha introdotto il principio sulla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare. Non vi è dubbio che emerge l'esigenza di tutelare, nell'interesse del minore, un legame che manca di qualsiasi rapporto parentale, assumendo rilevanza soltanto il legame di fatto che viene ad instaurarsi con il convivente del genitore biologico. A fronte delle necessità emerse nella prassi, la Consulta non ha ritenuto che l'art. 337-ter c.c. miri anche a salvaguardare i rapporti significativi instaurati dal minore anche con persone diverse dai genitori, non riconducibili ai soli ascendenti o parenti, ma anche a soggetti con cui si è instaurata una relazione affettiva e significativa.

Osservazioni

La scelta della Corte d'appello palermitana di sollevare questione di legittimità costituzionale dell'art. 337-ter c.c. ha portato la Consulta ad assumere, comunque, un atteggiamento di chiusura, avendo adottato una soluzione che esclude il vuoto normativo nel nostro sistema, ravvisandosi nell'art. 333 c.c. la possibilità di garantire tutela ai rapporti di filiazione “sociali”. La Corte costituzionale fa propria la decisione del giudice di primo grado, che afferma il principio secondo il quale «il minore ha il diritto di conservare un rapporto stabile e significativo con l'ex partner del proprio genitore, da intendersi come genitore sociale, con il quale, pur in mancanza di un legame biologico, abbia consolidato saldi legami affettivi (al punto di fondarne l'identità personale e familiare), diritto che non può essere fatto valere da costui, bensì dal pubblico ministero». Costui rimane l'unico ad avere legittimazione processuale e trattandosi di una ipotesi riconducibile alle «condotte pregiudizievoli al figlio», in relazione alla quale l'art. 333 dello stesso codice già consente al giudice di adottare «i provvedimenti convenienti» nel caso concreto. La legittimazione del pubblico ministero viene garantita ai sensi dell'art. 336 c.c., come si era già orientato il Tribunale di Palermo che, nel disporre la frequentazione delle due minori con l'ex compagna della madre biologica, aveva ritenuto a tale fine necessaria una richiesta espressa della parte pubblica. Giova precisare, sebbene la sentenza della Consulta sul punto non assuma una posizione chiara, che la competenza ad adottare i provvedimenti relativi alla responsabilità genitoriale, con riferimento ai figli dei genitori sociali spetta, in via generale, al Tribunale per i minorenni. La Corte di Cassazione, con riferimento al riparto di competenza - dopo aver affermato la competenza del tribunale ordinario ove sia in corso tra i genitori un giudizio di separazione e divorzio e, più in generale, un giudizio ex art. 337-ter c.c. - ha chiarito che «instaurato da parte del pubblico ministero un giudizio ex art. 333 c.c. davanti al tribunale per i minorenni, nel corso del quale sia stata accertata l'insussistenza di comportamenti pregiudizievoli da parte dei genitori nei confronti del figlio minore, il successivo procedimento ex art. 317-bis (oggi art. 337-ter c.c.), introdotto da uno dei genitori e relativo all'affidamento del figlio medesimo, è devoluto alla competenza generale del tribunale ordinario del luogo di residenza abituale del minore, non potendo subire la vis actractiva del tribunale per i minorenni, che ha competenze tassativamente individuate dalla legge» (Cass.,sez. VI-1, ord. n. 15971/2015).

Il ruolo dei genitori sociali viene, quindi, garantito dal sistema ma solo attraverso la sollecitazione della pubblica accusa. Una soluzione non adeguatamente soddisfacente, tenuto conto che se si fosse voluto garantire effettiva tutela, sarebbe stato utile consentire ai “genitori sociali” una “legittimazione attiva”, senza la necessità dell'intervento di terzi. La stessa Corte costituzionale ritiene, argomentando nella parte motiva, che il legame tra il minore ed il genitore sociale assume una valenza riconosciuta a livello internazionale oltre che interno, pertanto, il passaggio successivo sarebbe stato quello di assicurare un diritto azionabile processualmente in via autonoma.

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