L'emersione delle liberalità indirette

Enrico Mazzoletti
21 Marzo 2016

L'emanazione della l. n. 186/2014 in materia di Voluntary Disclosure ha risvegliato un dibattito non sopito di matrice notarile ma in grado di incidere sulla composizione di liti prettamente familiari, in materia di ricevibilità e, così, di opponibilità ai terzi di atti di accertamento, di ricognizione e di inventario quando non siano previsti dalla legge né oggetto di delega giudiziale.
Inquadramento

Lo studio dei riflessi che la l. n. 186/2014 può avere sull'attività notarile offre lo spunto per richiamare, brevemente e senza pretese di completezza, un argomento al centro di un acceso dibattito, tuttora non sopito e fonte di notevoli incertezze interpretative e applicative.

La questione ruota attorno alla possibilità per il notaio di (confezionare e) ricevere atti di accertamento o di ricognizione, differenti nella sostanza ma affini dal punto di vista dei risultati, delle cosiddette liberalità indirette, cioè di negozi di natura diversa dalla donazione tipica che producano l'effetto di arricchire la sfera giuridica di un soggetto, in assenza di un suo corrispettivo sacrificio, e che siano giustificati esclusivamente dall'interesse non patrimoniale di chi attribuisce il bene o rinunzia al diritto.

Sostanzialmente, dunque, vengono qui ricondotti nell'alveo della definizione “donazione indiretta” una serie di atti assai eterogenei, non costituenti una categoria giuridica unitaria, allo specifico scopo pratico di applicare ai medesimi tutte o, almeno, alcune delle norme dettate in materia di donazione, attesa l'identità dell'effetto economico prodotto.

Atti di riconoscimento o di accertamento delle liberalità indirette

Innanzitutto una considerazione di carattere generale: non pare sia possibile dubitare dell'utilità degli atti di riconoscimento o di accertamento delle liberalità indirette, ai fini tanto di un esatto inquadramento della disciplina alle stesse applicabile quanto di una corretta e completa ricostruzione del patrimonio di colui che arricchisce e di chi viene arricchito; né può dubitarsi che l'interesse così perseguito sia meritevole di tutela ex art. 1322 c.c..

Al contempo, però, deve segnalarsi che simili atti sono stati per lungo tempo – e in parte lo sono ancora oggi – considerati non ricevibili da parte del notaio in quanto contrasterebbero con alcune norme imperative e con principi di ordine pubblico.

In tal senso, si è espressa parte della dottrina e della giurisprudenza muovendo da una lettura assai prudente delle norme che si occupano di constatazione e verbalizzazione di atti e fatti avvenuti alla presenza del pubblico ufficiale, come anche dal timore di sconfinare nell'alveo dell'accertamento della prova, così invadendo un potere e una attività di competenza esclusivamente giudiziale.

Tale posizione si è sempre assestata sull'idea che il notaio fosse investito di una competenza generale – il che gli garantirebbe la possibilità e il dovere di ricevere i relativi atti – solo in ambito “negoziale”, essendo la competenza dello stesso limitata con riferimento agli atti “non negoziali”. Più precisamente, tale convinzione deriva da una lettura stringente dell'art. 1 l. not. ove, a differenza che nel primo comma, in cui i notai sono definiti come pubblici ufficiali deputati alla ricezione, genericamente, di atti tra vivi (di natura negoziale) e mortis causa, nel secondo comma è prevista solo una “facoltà” ulteriore di ricevere atti non negoziali e solo in presenza di una specifica autorizzazione legale o giudiziale in tal senso.

Una seconda e più attuale tesi, seguita anche dal Consiglio Nazionale del Notariato, interpreta invece complessivamente l'art. 1 l. not. considerando unitariamente i due commi: il notaio avrebbe una competenza generale estesa tanto agli atti negoziali quanto a quelli non negoziali, essendo l'elencazione analitica di cui al secondo comma della disposizione da interpretare non come portante un elenco tassativo di atti che il notaio avrebbe la facoltà di ricevere solo a determinate condizioni, ma quale riferimento ed esempio di “altri” atti ricevibili, in modo da evitare dubbi e fraintendimenti in tal senso.

A supporto di una simile impostazione vengono anche portati gli artt. 2699 e ss. c.c., nei quali, in materia di atti pubblici e loro efficacia, la competenza generale del notaio è considerata un dato di fatto.

Ulteriore argomento contrario alla ricevibilità di atti di ricognizione o di accertamento muove, come anticipato, dalla considerazione che si tratterebbe di atti che comportano un'indebita intrusione ed invasione nel campo dell'accertamento probatorio, materia di esclusiva competenza giudiziale, in quanto tipica attività istruttoria.

Anche tale approccio risulta criticabile ed oggi superato. Pur ipotizzando una “riserva di attività” a favore dell'autorità giudiziaria in materia di accertamento delle prove, non può farsi a meno di considerare e prendere atto che quasi tutti gli atti che il notaio riceve rappresentino, in un certo senso, prova di un dato avvenimento. Anzi, il notaio è istituzionalmente deputato ad attribuire pubblica fede, conservare il deposito e rilasciare copie e certificati degli atti dal medesimo ricevuti. Gli atti che il notaio forma e riceve, quindi, fanno prova dei fatti e degli accadimenti che il pubblico ufficiale a ciò deputato constata e dichiara essere avvenuti in sua presenza.

Ogni atto che il notaio riceve, dunque, è in sé prova. È prova, peraltro, che si situa su di un piano differente rispetto a quella tipicamente giudiziale.

Ciò che accerta e garantisce, che, cioè, “prova” l'atto notarile, oltre – eventualmente – al susseguirsi degli avvenimenti oggetto di constatazione, è la provenienza di una data dichiarazione, la cui verità e liceità non è compito del notaio accertare, essendo sottoposta al vaglio esclusivo del giudice.

Così inquadrata la questione appare chiaro che l'attività probatoria cui sono chiamati notaio e giudice si pone su due piani differenti che non possono sovrapporsi.

Seguendo l'orientamento liberale sopra illustrato, dunque, gli atti di ricognizione e quelli di accertamento sarebbero ricevibili e, soprattutto, dall'angolo visuale che qui maggiormente interessa, sarebbero certamente validi e, così, opponibili a chiunque e utili ai fini di dirimere eventuali (ma spesso assai focose) discussioni familiari originate da un'incertezza di fondo circa le finalità per cui è stato tenuto un certo comportamento piuttosto che un altro.

Aspetti pratici, sostanziali e redazionali

È necessario, quindi, capire dal punto di vista pratico quali requisiti devono essere rispettati.

Innanzitutto, si tratterebbe di atti il cui fulcro sostanziale è l'expressio causae dell'atto o comportamento precedente che formi oggetto della ricognizione o dell'accertamento.

Si vuole in tal modo ovviare all'assenza di giustificazione causale che investe – soprattutto – comportamenti materiali, privi delle forme tipiche della donazione, da cui discende un effetto economico ricollegabile ad una liberalità.

Nella pratica si possono rinvenire numerose ipotesi. In prima battuta, si pensi alle donazioni indirette attuate mediante il pagamento o l'assunzione del debito altrui: è il caso, ad esempio, del genitore che interviene all'atto di acquisto dell'immobile da parte del figlio pagando direttamente il prezzo della compravendita. In simili occasioni, esprimere la causa che era alla base dell'avvenuto adempimento dell'obbligazione altrui ha il sicuro pregio di giustificare in maniera inequivoca la ragione del depauperamento patrimoniale e di esattamente ricomporre il patrimonio del donante indiretto, in un'ottica di esatta valorizzazione dello stesso, tanto in vita quanto in seguito alla sua morte.

Altre ipotesi di arricchimento ottenuto indirettamente possono sostanziarsi nell'apertura di un conto corrente bancario cointestato a due soggetti, dei quali uno solo apporti le sostanze di cui anche, o solo, l'altro gode; oppure, nel cambio di intestazione senza corrispettivo di una posizione bancaria a cui siano riferibili titoli o altri valori, che in tal modo passerebbero dalla disponibilità del primo intestatario a quella del secondo; ancora si pensi, semplicemente, ad un bonifico bancario eseguito senza esprimere alcunché nella causale e che, quindi, non può presumersi effettuato per spirito di liberalità e che, invece, solo per questo era stato disposto; oppure, ancora, alla consegna di beni o valori, anche ingenti, effettuata “da mano a mano”.

In tutti questi casi, che sono solo alcuni di quelli che si possono immaginare, l'animus donandi non è espresso al momento dell'esecuzione e, così, le parti possono sentire l'esigenza di enunciarlo successivamente, al fine di consolidare definitivamente la situazione di fatto venutasi a creare, oltreché per sopperire alla patologica carenza documentale e dare conto dell'esistenza e della natura di movimentazioni finanziarie effettuate.

Bisogna peraltro tenere a mente che, a differenza di quanto avviene con le donazioni indirette effettuate tramite il pagamento o l'assunzione del debito altrui sopra citati, che si situano entro i confini di negozi di per sé assolutamente validi e che, pertanto, non necessitano di ulteriori negozi o dichiarazioni ai fini della loro esistenza o sopravvivenza, le ipotesi da ultimo citate, non rivestendo le forme ex lege richieste, sono viziate ab origine. L'atto ricognitivo o di accertamento, volto, come visto ad esprimere la causa della movimentazione finanziaria, non vale a sanare l'invalidità da cui è afflitta; a tal fine saranno necessari ulteriori atti e/o negozi – si pensi alla rinuncia da parte del genitore che abbia effettuato un bonifico al credito dallo stesso derivante – tramite i quali raggiungere il consolidamento dell'arricchimento anche dal punto di vista formale. Solo all'esito di tali atti, che finiscono per comporre un negozio a formazione progressiva, sarà dunque configurabile una donazione indiretta in cui gli effetti possono considerarsi definitivi.

Anche muovendo da quanto sopra, dal punto di vista della struttura pare corretto ritenere che all'atto ricognitivo o di accertamento debbano partecipare tutti i soggetti coinvolti nell'atto o comportamento precedente, in quanto volto a documentare e definire il contenuto dell'accordo ai medesimi riconducibile. Tale impostazione pare più coerente con il sistema nonostante tutte le ipotesi di atti ricognitivi previsti dal codice civile (art. 969 c.c, in materia di ricognizione di enfiteusi; art. 1988 c.c., in materia di ricognizione di debito; art. 2735 c.c., in materia di confessione stragiudiziale) siano costruiti come atti unilaterali. Nel caso di specie, invece, l'intrinseca natura bilaterale, fondata sul necessario accordo di tutte le parti coinvolte, non pare lasciare adito a dubbi. Potrebbe, ad esempio, essere che il disponente affermi di aver effettuato il trasferimento di denaro per spirito di liberalità e il beneficiario, invece, si impegni a restituirlo ovvero rifiuti un arricchimento liberale.

Un ultimo aspetto di natura strettamente formale: l'atto di cui ci occupiamo non ha l'effetto di sanare l'invalidità formale da cui sarebbe viziato l'atto o comportamento precedente: oggetto dell'atto ricognitivo o di accertamento, come detto, è solo l'expressio causae, elemento che non richiede il rispetto di requisiti particolari né, tantomeno, la presenza di testimoni. E nemmeno potrebbe ipotizzarsi la necessità del rispetto di forme particolari in applicazione del principio di simmetria formale, se non altro perché l'atto o comportamento oggetto di ricognizione o accertamento ne risulta patologicamente sprovvisto.

In conclusione

La breve ricognizione sopra svolta evidenzia come atti, quali quelli succitati, possano creare qualche difficoltà operativa al professionista chiamato a riceverli.

Ciononostante, pur con le accortezze del caso, pare sia oggi ipotizzabile seguire un'impostazione permissiva e liberistica, la quale permetterebbe, nel rispetto – beninteso – delle norme di legge applicabili, che, come visto, non sembrano porre ostacoli operativi, di procedere ad un'esatta ricostruzione del patrimonio (familiare) del disponente, così da prevenire e scongiurare, ovvero rimediare, a situazioni incerte e precarie rendendole chiare ed incontrovertibili tanto nei contenuti quanto nelle finalità.

Guida all'approfondimento

- Studi del Consiglio Nazionale del Notariato n. 107-2009/C, 283-2012/C;

- G.A.M. Trimarchi, Atti ricognitivi di liberalità non donative nella prassi notarile, in Atti del Convegno “Liberalità non donative e attività notarile”, I Quaderni della Fondazione del Notariato, Milano, 166;

- U. Carnevali, Successioni, II, in Trattato di Diritto Privato, diretto da P. Rescigno, 6, Torino, 2008, 498;

- F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, XII ed., Napoli, 2006, 546-547;

- G. Capozzi, Successioni e donazioni, II ed., Giuffrè Editore, Milano, 2002, 864;

- R. Triola, Atti di istruzione preventiva e contrarietà all'ordine pubblico ex art. 28 n. 1 l. n., in Riv. not., 1972, 1320.

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