Domanda di addebito: il tempo trascorso rileva in caso di infedeltà
21 Settembre 2016
Massima
Spetta all'autore della violazione dell'obbligo la prova della mancanza del nesso eziologico tra infedeltà e crisi coniugale, quando contro di lui sia proposta domanda di addebito della separazione.
Il caso
La vicenda trae origine da un ricorso di separazione avanzato dalla moglie nei confronti del marito, con le usuali richieste di mantenimento per sé e per un figlio minore, in regime di affidamento condiviso. Il marito, pur nulla opponendo circa la domanda di separazione, chiedeva che la stessa fosse addebitata alla moglie, con richiesta di assegnazione della casa coniugale a sé ed affidamento condiviso del figlio minore, oltre e conseguenziali provvedimenti economici. Il Tribunale dichiarava la separazione dei coniugi con addebito alla moglie, alla quale assegnava la casa coniugale ove fissava la residenza del figlio minore, affidato in via condivisa; faceva obbligo alla stessa di versare al marito un assegno per la prole. La Corte di Appello, adita dalla moglie, non solo respingeva il gravame ma incrementava la misura dell'assegno. Ricorreva la moglie per cassazione, in punto addebito.
La questione
Ancora una volta al centro dell'esame della Corte di Cassazione è l'istituto dell'addebito, e, più precisamente, l'attribuzione della responsabilità ad uno dei due coniugi del fallimento della coniugio per violazione di uno dei doveri derivanti dal matrimonio. E' noto che per ottenere in sede giudiziale una pronuncia di addebito, è necessario fornire la prova non solo del fatto stesso (in questo caso l'infedeltà), ma anche che tale relazione extraconiugale sia stata la causa del fallimento del matrimonio. Occorre, dunque, dimostrare il nesso eziologico tra l'infedeltà e la separazione. E' proprio sulla valutazione del regime della prova e della distribuzione del relativo onere incombente sulle parti che si basa la sentenza quivi in esame e che, sulla scorta della precedente pronuncia della Corte d'Appello, ne chiarisce ulteriormente alcuni aspetti. Le soluzioni giuridiche
E' necessario preliminarmente esaminare le motivazioni in base alle quali la Corte di Appello ha respinto il gravame instaurato dalla moglie. Esse consistevano nel ritenere acquisita la prova della relazione extraconiugale della medesima. Gli elementi probatori erano costituiti dalle deposizioni testimoniali raccolte in sede istruttoria, nonché dalla relazione investigativa prodotta dal marito, ancorché successiva alla richiesta di separazione. Dal momento che la moglie, di fronte a tali prove, non era stata in grado di assolvere all'onere su di sé incombente, ovvero di dimostrare che la causa dell'intollerabilità della convivenza non era attribuibile alla sua infedeltà e che, dunque, non sussisteva il nesso causale tra la violazione del dovere coniugale e il fallimento del matrimonio, l'addebito alla stessa risultava fondato ed inevitabile. Chiamata dunque la Suprema Corte a pronunciarsi sulla violazione del dovere di fedeltà, la questione viene esaminata sotto il profilo della distribuzione tra le parti dell'onere della prova e della rilevanza eziologica dell'infedeltà. Benché sia noto che ai fini della pronuncia di addebito, la violazione del dovere coniugale imposto dalla legge (art. 143 c.c.) deve dimostrarsi avere avuto una incidenza causale diretta e determinante nella intollerabilità della prosecuzione del matrimonio e, quindi, nella separazione, il riparto degli oneri probatori in capo alle parti in riferimento al nesso di causalità, precisa la Suprema Corte, è determinato e si giustifica mediante il riferimento al concetto di prossimità ed al principio di “vicinanza della prova”. Ovvero, se la richiesta di separazione segue immediatamente la accertata violazione del dovere coniugale, opera la presunzione della sussistenza del nesso di causalità tra la fine del matrimonio ed il comportamento infedele del coniuge. Diverso, invece, è il caso in cui, ad esempio, la domanda di addebito si basi su un singolo e remoto episodio di infedeltà, da ritenersi superato da un periodo di ripresa della convivenza, oppure nel caso di accettazione reciproca di un allentamento degli obblighi previsti dalla norma: in tali casi, non si può ritenere operativa alcuna presunzione di sussistenza del nesso eziologico, con la conseguenza che in tali casi il relativo onere probatorio incombe integralmente su chi adduce la fondatezza della propria domanda di addebito. Viene dunque confermato e ribadito ancora una volta dalla Corte di Cassazione il principio per cui, di fronte alla accertata infedeltà coniugale, spetta a colui che ha violato l'obbligo di legge provare che non sussiste rapporto di causalità tra l'infedeltà e la crisi coniugale in quanto tale relazione extraconiugale è avvenuta durante un rapporto matrimoniale già compromesso ed in crisi da tempo. D'altra parte, chiarisce la Corte, questa ripartizione dell'onere probatorio tra le parti, è coerente sia con il dettato dell'art. 2697 c.c. (che stabilisce che chi vuole fare valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento e chi eccepisce l'inefficacia di tali fatti deve provare i fatti su cui l'eccezione si fonda), sia con il principio della vicinanza della prova. Tale principio, in sostanza, si basa su una lettura razionale della legge secondo la quale l'onere della prova andrebbe ripartito tenendo conto della possibilità in concreto per l'uno o per l'altro soggetto di provare fatti e circostanze che ricadono nelle rispettive sfere di azione (vd. per tutte Cass. civ., S.U., 30 ottobre 2001, n. 13533). La soluzione giuridica offerta dalla sentenza quivi in esame, dunque, evita la paradossale situazione in cui si troverebbe il coniuge che ha subito l'infedeltà e di cui ha fornito la prova, a dovere dimostrare anche che il matrimonio fino alla vigilia dell'adulterio era sempre stato felice ed esente da crisi. La Suprema Corte respinge dunque il ricorso della moglie, condannandola anche alla rifusione delle spese di giustizia. Osservazioni
La sentenza della Corte di Cassazione si inserisce in un ormai tradizionale filone interpretativo, che richiede la prova del nesso eziologico tra la violazione del dovere coniugale e la intollerabilità ai fini dell'ottenimento della pronuncia di addebito, aggiungendo tuttavia alcune considerazioni rilevanti in termini di onere della prova e di “tempistica” della domanda stessa. A ben vedere, il tema dell'infedeltà e della possibilità che la legge attribuisce al giudice di addebitare all'uno o all'altro coniuge la “colpa” della separazione, è tutt'altro che desueto o trascurato dalla giurisprudenza, a scapito della corrente dottrinale che considera l'istituto dell'addebito ormai pressoché inesistente, anacronistico e senza significato. Il chiarimento offerto dalla sentenza in esame in ordine alla distribuzione dell'onere della prova in capo alle parti contribuisce a definire ulteriormente l'elemento della indagine sulla intollerabilità della convivenza che, ai fini della sussistenza del nesso di causalità della stessa con il comportamento oggettivamente trasgressivo, deve essere affrontata attraverso la comparazione delle condotte di tutti e due i coniugi. In sostanza, se il tradimento interviene in una situazione già compromessa, non rileva ai fini dell'addebitabilità della separazione: la tempestiva utilizzazione delle prove della infedeltà, documentali ed orali, rispetto al momento della richiesta di separazione, agevoleranno la presunzione della sussistenza del nesso di causalità tra la violazione del dovere coniugale e la intollerabilità della convivenza, onerando l'altro coniuge della dimostra zione della mancanza del nesso eziologico. Ciò, coerentemente con i sopra esposti principi di prossimità e di vicinanza della prova Ma se è vero che il tempo trascorso rileva e che una prosecuzione della convivenza dopo la scoperta dell'infedeltà rende difficile l'ottenimento dell'addebito proprio per l'interruzione della causalità richiesta, con la conseguenza di un inversione del riparto dell'onere della prova in capo a chi vuole fare valere in sede giudiziale quella remota violazione, è altrettanto vero che la Cassazione, con l'ordinanza 24 febbraio 2014 n. 4305, è intervenuta a precisare che la continua infedeltà del marito, anche se sopportata dalla moglie che lo ha scusato svariate volte, comporta ugualmente l'addebito a carico dell'uomo, laddove la coniuge non sia più riuscita a sopportare tale situazione, perché la condotta reiterata di quest'ultimo, se provata, ha comunque determinato l'intollerabilità della convivenza.
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