Criticità e prospettive nell’esecuzione dei provvedimenti di affidamento

22 Febbraio 2016

La gestione delle situazioni di crisi relative al matrimonio e/o alla convivenza di fatto impone a tutte le figure professionali coinvolte di affrontare il disagio che ne deriva con una notevole capacità di porsi reciprocamente in relazione non solo nel rispetto del quadro normativo e giurisprudenziale vigente, ma anche, e soprattutto, considerando la sofferenza delle persone coinvolte.
Le indicazioni sovranazionali

Il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa nel novembre 2010 ha adottato le ormai ben note «Linee guida su una giustizia a misura di minore», nell'intento di fornire agli Stati membri uno strumento pratico per adeguare i sistemi giudiziari e non giudiziari ai diritti, interessi e bisogni specifici dei minori. Il Comitato ha invitato espressamente gli Stati membri ad assicurare un'ampia diffusione dei principi ivi contenuti presso le autorità in materia di diritti dei minori in ambito giudiziario.

Le linee guida trattano della posizione, del ruolo, delle opinioni, dei diritti e bisogni del minore nel procedimento giudiziario nonché nei procedimenti ad esso alternativi: ciò riveste un carattere di notevole interesse per il nostro ordinamento nell'attuale ottica di degiurisdizionalizzazione voluta fortemente dal legislatore.

I principi fondamentali contenuti nelle linee guida sono i seguenti: partecipazione e informazione al minore; necessità di garantire la effettiva attuazione del diritto dei minori a vedersi riconosciuto prima di tutto il loro interesse superiore; formazione multidisciplinare dei professionisti.

Le linee trattano dell'esercizio della giustizia prima, durante e dopo il procedimento giudiziario ed alcuni articoli riguardano proprio la esecuzione dei provvedimenti («Nelle cause in materia di famiglia in cui sono coinvolti minori, l'esecuzione forzata delle sentenze dovrebbe essere l'ultima risorsa», art. 78) e la necessità di assistenza alle famiglie («Dopo la emissione di sentenze in procedimenti molto conflittuali, ai minori ed alle loro famiglie dovrebbero essere offerti guida e sostegno, idealmente a titolo gratuito, da parte di servizi specializzati», art. 79).

Non si possono neppure trascurare le sentenze di condanna che l'Italia ha ricevuto da Strasburgo, per violazione dell'art. 8 CEDU in fattispecie nelle quali si eccepiva la mancata, o ritardata, esecuzione nell'attuazione di un provvedimento afferente l'affidamento di minori o modalità di visita. La Corte EDU ha asserito che le autorità nazionali non hanno fatto tutto ciò che ci si attendeva da esse, venendo meno al loro dovere di adottare misure concrete per favorire la relazione tra un genitore ed un minore e lasciando che si consolidasse una situazione di fatto generata dall'inosservanza delle decisioni giudiziarie, mentre il decorso del tempo influiva negativamente sulla relazione genitore/figlio (sent. Piazzi c. Italia, 2 novembre 2010; sent. Santilli c. Italia, 17 dicembre 2013; sent. Lombardo c. Italia, 29 gennaio 2013).

Nelle sentenze citate, la Corte enuncia anche il principio che «misure coercitive nei confronti dei minori non siano auspicabili in una materia così delicata» (sent. Santilli) e che «l'obbligo in capo alle medesime di ricorrere alla coercizione in materia non può che essere limitato, dovendo tener conto degli interessi, nonché dei diritti e libertà di dette persone ed in particolare dell'interesse superiore del minore e dei diritti conferiti al medesimo dall'art. 8 della Convenzione» (sent. Lombardo e Piazzi), ed «è necessaria grande prudenza prima di ricorrere alla coercizione» (sent. Lombardo).

Nello stesso tempo però si ritiene che «una mancanza di collaborazione tra i genitori separati non possa dispensare le autorità competenti dall'adozione di ogni mezzo atto a mantenere il legame familiare» (sent. Lombardo e Piazzi).

Gli interventi e le sollecitazioni sovranazionali, dunque, rendono oltremodo urgente individuare un modello celere ma equilibrato di esecuzione dei provvedimenti in materia di affidamento.

La pluralità di modelli di esecuzione e la latitanza del legislatore italiano

La giurisprudenza e la dottrina hanno sempre assunto posizioni differenti sull'esecuzione dei provvedimenti in materia di affidamento; da un lato si sono espressi dubbi sull'eseguibilità pratica di tali provvedimenti, e dall'altro si è sostenuta l'utilizzabilità delle forme tipiche dell'esecuzione forzata per la consegna di un bene mobile ex art. 605 c.p.c..

Ma la Cassazione aveva ritenuto la soluzione inaccettabile, ritenendo, invece applicabile la disciplina dettata per l'esecuzione degli obblighi di fare ai sensi dell'art. 612 e ss. c.p.c. (Cass. civ., sez. I, 7 ottobre 1980, n. 5374), con conseguente competenza del pretore del luogo di residenza del minore, trattandosi, nel caso di specie di provvedimenti definitivo.

La Suprema Corte aveva anche riconosciuto l'utilizzabilità di una esecuzione “processuale in senso lato”, affidata cioè al giudice autore del provvedimento, ma esclusivamente nei casi di attuazione dei provvedimenti cautelari.

La posizione della Cassazione, sostenuta anche in dottrina (V. Andrioli, Commento al codice di procedura civile, vol. III, Napoli), e condivisa da successive decisioni (Cass.civ.,1 aprile 1998, n. 3374; Cass. civ., 12 novembre 1984 n. 5696; Cass. civ., 15 dicembre 1982, n. 6912) non è stata accolta dalla giurisprudenza di merito che ha sostanzialmente negato l'applicazione dell'art. 612 c.p.c. ritenendo non adeguata la disciplina della esecuzione forzata in forma specifica per l'esecuzione dei provvedimenti di affidamento, evidenziando la necessità di individuare soluzioni più adeguate.

Ha, quindi, avuto notevole diffusione il ricorso all'esecuzionein via breve”, affidata alla discrezione del giudice della cognizione, con l'eventuale supporto della forza pubblica e degli ausiliari così come individuati all'art. 68 c.p.c. (cancelliere, ufficiale giudiziario, esperti in una determinata arte o professione, e “in generale, la persona idonea al compimento di atti che non è in grado di compiere da solo”).

A volte si è attribuita la competenza a gestire l'esecuzione al Giudice Tutelare, con la possibilità di farsi coadiuvare dalla Pubblica Amministrazione; a volte si è demandata l'esecuzione al P.M. o si è scelta una diversa soluzione a seconda del provvedimento da adottare.

A questo scenario di incertezza e frammentarietà, il legislatore non ha mai fornito soluzione definitiva, e si sono avuti interventi parziali e di difficile interpretazione.

Ad esempio, quando con la l. n. 74/1987, novellando l'art. 6 l. div., è stata introdotta la previsione per la quale all'attuazione dei provvedimenti sull'affidamento della prole provvede il Giudice di merito, prevedendo la trasmissione del provvedimento al Giudice Tutelare a cura del Pubblico Ministero, sono sorti contrasti su chi dovesse eseguire: il giudice della cognizione o è demandato tutto al Giudice Tutelare?

Questa situazione di incertezza non è mutata in occasione dei successivi interventi legislativi, neppure all'esito dell'introduzione dell'art. 709 ter c.p.c., norma che ha previsto la modifica ex post dei provvedimenti di affidamento, unitamente a strumenti di coercizione indiretta; la nuova formulazione dell'art. 38 disp. att. c.c., a seguito delle modifiche apportate dalla l. n. 219/2012, non prevede una disciplina delle modalità di attuazione: il legislatore non è quindi intervenuto nella materia, lasciando ampio spazio all'attività dell'interprete.

Inapplicabilità delle regole dell'esecuzione forzata

Possiamo senza ombra di dubbio affermare che per l'esecuzione dei provvedimenti di affidamento non può farsi riferimento agli schemi tipici dell'esecuzione forzata.

In ogni aspetto relativo a tali provvedimenti operano contrapposti diritti soggettivi di rango costituzionale in capo all'uno o all'altro genitore, dinanzi al principale interesse da attuare che è quello del minore.

Tutta la nostra legislazione, a partire dalla Costituzione (artt. 2 e 31), lo conferma, in linea con la normativa sovranazionale.

La giurisprudenza di legittimità ha evidenziato che affidare un figlio minore «ad uno dei genitori non ha natura costitutiva del diritto del genitore a vedersi riconosciuto tale affidamento, ma integra una misura adottata a tutela dell'esclusivo interesse morale e materiale della prole, a fronte del quale la posizione dei genitori non si configura come un diritto, ma come munus» (Cass. n. 10094/2008; 5714/2002).

Una situazione nella quale il minore diventa “soggetto" del provvedimento di affidamento (più il suo "oggetto") non si può quindi ricondurre nella categoria del processo esecutivo, anche in considerazione dell'impossibilità di considerare diritto “certo, liquido ed esigibile", situazioni soggettive regolate dal provvedimento di affidamento.

Vi è una ulteriore considerazione offerta da parte della dottrina: la tutela esecutiva non può andare al di là dell'attuazione della decisione sostanziale, mentre, proprio in considerazione della natura preminente dell'interesse del minore, può a volte accadere che l'esecuzione dei provvedimenti di affidamento debba essere sospesa o, differita di gran lunga nel tempo, se non addirittura può essere revocato il titolo in base al quale è stata promossa (attuando la scelta “tra il provvedere ed il non provvedere” di cui parla R. Vaccarella in “Problemi vecchi e nuovi della esecuzione forzata in forma specifica” Giuffrè 1982).

La tutela dell'interesse del minore presiede non solo alle decisioni nella fase cognitiva, ma anche a quella di esecuzione o attuazione dei provvedimenti: ciò pone in discussione il fondamento dei procedimenti di esecuzione in forma specifica, che consiste nella imprescindibilità dell'esecuzione della decisione, a meno che non vi siano richieste di sospensione o revoca del titolo attraverso le procedure di opposizioni (R. Vaccarella - op. cit.).

Possono, al contrario, verificarsi situazioni nelle quali l'esecuzione debba essere necessariamente e/o temporaneamente sospesa per potersi realizzare l'interesse del minore, oppure si deve deviare dal programma previsto in sede di cognizione e può emergere un conflitto tra le indicazioni contenute nel provvedimento di affidamento e la situazione concreta, con necessità o semplice opportunità di non eseguire (in palese contrasto con quanto accade nella esecuzione forzata, improntata al necessario rispetto del titolo giudiziale) o non eseguire in quel momento (R. Vaccarella - op.cit.).

La competenza del Giudice del merito

Chiarito il presupposto che non sia sostenibile la tesi di ricondurre l'esecuzione dei provvedimenti di affidamento alla esecuzione in forma specifica, l'attuale normativa consente comunque di travalicare ogni riferimento alle forme dell'esecuzione in forma specifica di cui agli artt. 605 o 612 c.p.c.

Pur in assenza di un esplicito riferimento, dalla lettura congiunta degli interventi legislativi degli ultimi anni è possibile infatti desumere diversi elementi idonei a sostenere l'attribuzione in via generale allo stesso giudice che ha emesso il provvedimento del potere di determinare le modalità di esecuzione o, meglio, di attuazione”: essa non sarà soggetta alle forme del procedimento esecutivo, bensì delegata alla conduzione dello stesso giudice di merito che può avvalersi dei suoi ausiliari e della forza pubblica o di «persona idonea al compimento di atti che non è in grado di compiere da solo», come recita l'art. 68 c.p.c..

Oggi, comunque, si può giungere ad affermare, in considerazione delle recenti innovazioni legislative e rimanendo in linea con il sistema vigente, la vigenza di un modello stabile ed unificato di esecuzione dei provvedimenti in questione, affidata al giudice che ha emesso il provvedimento, cui spetta quindi anche la determinazione delle relative modalità di attuazione.

Il fondamento di tale modello lo troviamo nel disposto normativo così come risultante da quanto segue (F. Lepri, Spunti per un modello unificato di attuazione, in Rivista AIAF 3/2012).

1) La previsione dell'art. 6 comma 10 l. div. (così come modificato dalla l. n. 74/1987) ha disciplinato l'esecuzione, o meglio la “attuazione” di tutti i provvedimenti di affidamento di minori emessi in sede di separazione e divorzio, attribuendone la competenza al giudice del merito.

Detta previsione, però è stata abrogata dall'art. 98 comma 1 lett. b) d.lgs. n. 154/2013, con l'introduzione dell'art. 337 ter c.c. che nell'ultima parte del comma 2 prevede: «All'attuazione dei provvedimenti relativi all'affidamento della prole provvede il giudice di merito e, nel caso di affidamento familiare, anche d'ufficio. A tal fine copia del provvedimento di affidamento è trasmessa, a cura del pubblico ministero, al giudice tutelare».

2) Il principio in materia cautelare rappresentato dall'art. 669 duodecies c.p.c. ha definitivamente sottratto tutti i provvedimenti di natura cautelare aventi ad oggetto obblighi di consegna, rilascio, fare e non fare, alle forme della procedura di esecuzione in forma specifica.

L'articolo dispone che la relativa “attuazione” dei provvedimenti di natura cautelare avvenga non attraverso la procedura ex artt. 612 e ss. c.p.c., ma in modo “diretto” sotto il controllo del giudice che ha emesso il provvedimento, sentite le parti; tale giudice ne determina anche le modalità di "attuazione" risolvendo in via breve ogni contestazione con ordinanza, sempre sentite le parti.

3) L'art. 342 ter comma 4 c.c. (introdotto dalla l. n. 154/2001 in materia di ordini di protezione contro abusi familiari e modificato con d.l. n. 11/2009 convertito nella l. n. 38/2009) demanda al giudice della cognizione la determinazione delle modalità di attuazione dei provvedimenti in materia, superando ancora una volta i modelli classici dell'esecuzione in forma specifica ex art. 612 e 605 c.p.c. (F. Lepri, Spunti per un modello unificato di attuazione, in Rivista AIAF 3/2012).

4) L'art. 709 ter c.p.c., introdotto dall'art. 2, comma 2 l. n.54/2006 ove vi è il riferimento generale alla possibilità di modificare in sede attuativa i provvedimenti di affidamento nel momento in cui sorge una controversia tra i genitori sulle modalità di esercizio dell'affidamento stesso. L'intervento del giudice qui consente addirittura di giungere ad una modifica del provvedimento, in virtù delle problematiche sorte in sede attuativa. Come noto, la norma si applica non solo ai provvedimenti emessi in sede di separazione e/o divorzio, ma a tutti i provvedimenti di affidamento di minori emessi in sede giudiziale.

5) Il novellato art. 38 disp. att. c.p.c. in virtù della modifica attuata con la l. n. 219/2012, prevede che nei procedimenti di affidamento e mantenimento di minori si applicano in quanto compatibili gli artt. 737 e ss. c.p.c.. Il Tribunale decide quindi in camera di consiglio ed i provvedimenti emessi sono immediatamente esecutivi, salvo che il giudice disponga diversamente: tale previsione conferisce una unificazione dei procedimenti in materia di affidamento dei figli minorenni, laddove si prevede che in tali procedimenti si applicano, in quanto compatibili, gli artt. 737 e ss. c.p.c..

Da una considerazione congiunta di tutti questi elementi si può desumere una tendenza legislativa all'abbandono delle tradizionali forme di esecuzione in forma specifica dei provvedimenti di affidamento, con la previsione di unmeccanismo unitario applicabile ai provvedimenti in questione a prescindere dalla sede nella quale essi siano stati adottati.

È possibile quindi considerare superate le tesi espresse a suo tempo dalla dottrina e dalla Corte di Cassazione: se il giudice di legittimità aveva già in precedenza previsto il modello dell'esecuzione "processuale" in senso lato, affidata cioè al giudice che ha emesso il provvedimento, limitandola però ai soli casi di esecuzione dei provvedimenti cautelari, oggi non è più così (F. Lepri op. cit.).

Con l'esecuzione c.d. processuale in senso lato si sottrae l'emissione dei provvedimenti di affidamento alle incombenze tipiche delle procedure esecutive e si evitano anche le conseguenze relative alle procedure di opposizione all'esecuzione e, di solito, si riducono le tempistiche dell'attuazione nonché, affidando allo stesso ufficio sia l'emissione che l'attuazione del provvedimento, si avrà maggiore possibilità di adeguare la decisione alle situazioni pratiche con possibilità di modificare il provvedimento.

Il ruolo “attivo” del Giudice Tutelare

La Cassazione (Cass. civ.,3 novembre 2000, n. 14360) - precisato che i poteri del Giudice Tutelare non sono limitati ai soli provvedimenti del Tribunale per i minorenni - ha dedotto che il potere del G.T. non può essere esteso fino ad attribuire a lui poteri decisori, che non siano solo applicativi delle condizioni della separazione o statuizioni di tipo modificativo delle condizioni o clausole, rientranti nelle competenze di altra autorità giudiziaria.

Sul ruolo del Giudice Tutelare, il Tribunale di Varese con decreto 17 febbraio 2012 ha espresso una posizione interessante all'esito di un procedimento promosso dinanzi il T.M., per la regolamentazione dell'esercizio della genitorialità, in cui una delle parti (il padre del minore) aveva successivamente adito il G.T. per vedere con più frequenza il figlio dinanzi alla opposizione dell'altro genitore.

Dopo aver richiamato l'art. 8 CEDU e l'art. 24 n. 3 della Carta dei Diritti Fondamentali della Unione Europea proclamata a Nizza in relazione al diritto del minore di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con entrambi i genitori, il Tribunale ha rilevato che la pendenza del giudizio instauratosi dinanzi il T.M. determinerebbe l'inammissibilità del ricorso proposto ex art. 337 c.c. solo in caso di già esistenti condizioni che regolino il diritto di visita e non anche quando il ricorso al T.M. sia stato presentato per ottenere proprio la statuizione di tali condizioni.

Si configura, quindi, secondo il provvedimento in esame, in attesa del provvedimento del T.M., una competenza temporanea del Giudice Tutelare al fine di evitare rischi di pregiudizi al minore e nello spirito di leale collaborazione tra autorità giudiziarie con il fine di garantire tutela incondizionata ai minori, in linea con le indicazioni offerte dalle «Linee guida del Consiglio di Europa per una giustizia a misura di bambino» adottate dal Comitato dei Ministri il 17 novembre 2010.

Il provvedimento passa poi ad esaminare i poteri del Giudice Tutelare e rileva che il potere di vigilanza attribuito dall'art. 337 c.c. al G.T. concerne l'attuazione delle condizioni stabilite dal Tribunale per l'esercizio della “potestà”, non estendendosi all'attuazione dei poteri decisori che non siano meramente applicativi delle condizioni medesime, restando esclusa ogni statuizione modificativa (con riferimento alla sent. Cass. civ., sez. I, 3 novembre 2000, n. 543311).

Questo però non significa – secondo il Tribunale – che il G.T. non possa eventualmente intervenire sul versante amministrativo servendosi della collaborazione degli operatori dei Servizi Sociali.

Una conferma del ruolo del G.T. nella attuazione dei provvedimenti sulla gestione dei minori discendeva dall'art. 6 comma 10 l. n. 898/1970 (trasmissione del provvedimento di affidamento al G.T. a cura del P.M.) ed oggi dall'art. 337 comma 2 c.c..

La trasmissione al G.T. ha proprio il fine di porre quest'ultimo nelle condizioni tali per svolgere le funzioni proprie ex art. 337 c.c., e si parla di vigilanza “attiva” del G.T. qualora non penda alcun procedimento e si debba dare attuazione alle disposizioni previste con la sentenza di separazione/divorzio (o revisione); il G.T. nell'ambito di quanto previsto dall'art. 337 c.c. può esercitare una vigilanza attiva, idonea cioè ad adottare tutti i provvedimenti che, senza modificare il regime stabilito in sede di cognizione, ne agevola l'applicazione, avvalendosi ex art. 344 comma 2 c.c. dell'ausilio di soggetti deputati alla cura degli interessi contesi. Inoltre il G.T può dare le opportune prescrizioni ai genitori nel rispetto delle statuizioni adottate dal giudice di merito e questo intervento non è integrativo.

In conclusione, il Giudice Tutelare:

  • non può emettere alcuna regolamentazione che disciplina l'affidamento ed il diritto di visita;
  • in assenza di tale regolamentazione, può fornire le necessarie prescrizioni ai genitori, ritenute necessarie nell'interesse dei minori ed eventualmente coinvolgere gli operatori amministrativi, in attesa dell'intervento del Tribunale adito in altra sede;
  • può accertare, nel provvedimento conclusivo, le eventuali violazioni che abbia riscontrato e per le quali non vi sia stato rimedio spontaneo da parte del genitore inadempiente, offrendo in tal modo alla "successiva" Autorità Giudiziaria elementi utili per la celere conclusione del processo.
Applicabilità della esecuzione forzata indiretta ex art. 614 bis c.p.c. (misure di coercizione indiretta)

Si discute se vi sia o meno la possibilità di estendere al campo di diritto di famiglia la forma di misura coercitiva di cui all'art. 614 bis c.p.c., e quali siano le eventuali implicazioni processuali: la collocazione della misura e la rubrica non sembrano lasciare dubbio alcuno. È certo che l'art. 614 bis c.p.c. si applichi anche alle statuizioni riguardanti l'affidamento dei minori, trattandosi di obbligazioni a carattere infungibile che in assenza della cooperazione del genitore obbligato non possono trovare attuazione, rivelandosi inidonee le ordinarie forme di esecuzione diretta.

Che rapporto intercorre tra tale misura e l'art 709 ter comma 2 c.p.c.? Sono due misure molto diverse tra loro, operando in un momento diverso.

Mentre l'art. 614 bis c.p.c. configura una misura preventiva, che viene irrogata cioè ex ante contestualmente al provvedimento di condanna ed ha quindi una funzione “dissuasiva”, il 709 ter comma 2 c.p.c. si configura come una misura inflitta ex post, quando le inadempienze si sono già verificate. Nel primo caso la sanzione viene irrogata contestualmente alla sentenza, quando la violazione non si è manifestata, nel secondo caso è necessario che l'inadempienza si sia già verificata (cfr. sul punto R. Muscio, Esecuzione dei provvedimenti sulla responsabilità genitoriale: l'art. 709 ter c.p.c. e la nuova formulazione dell'art. 614 bis c.p.c, Il Familiarista.it).

Quindi i due istituti possono convivere nel nostro ordinamento e si tratta di una sorta di concorso tra i due mezzi di tutela: se il giudice, nell'emettere la sentenza di separazione e divorzio, fissa una somma di denaro dovuta per eventuali violazioni delle disposizioni concernenti l'affidamento dei figli, tali violazioni non potranno più essere sanzionate anche in base al 709 ter c.p.c.; se la sentenza non contiene alcuna previsione delle sanzioni ex art. 614 bis c.p.c., eventuali violazioni potranno essere addotte nelle procedure ex art. 709 ter c.p.c..

Parte della dottrina (C. Mandrioli, A. Carrata, Come cambia il processo civile, Torino, 2009; C. Barreca, L'attuazione degli obblighi di fare infungibili e di non fare, in Riv. esec. forz., 2009) sostiene che la misura ex art.614 bis c.p.c. possa essere irrogata, oltre che nella sentenza di separazione e divorzio, anche in provvedimenti di cognizione sommaria in forma di ordinanza o decreto e, quindi, anche nell'ordinanza presidenziale: apparirebbe logico, in un momento determinante quale è l'udienza presidenziale, l'adozione di una misura finalizzata a dissuadere il genitore obbligato dall'assumere condotte inadempienti.

Andrebbe esclusa la prevedibilità nel verbale di separazione consensuale, non trattandosi esso di “provvedimento”; tuttavia nulla sembra escludere che i coniugi, nell'ambito della loro autonomia, tra le condizioni possano prevedere che l'inadempiente sia obbligato al versamento di una somma all'altro genitore.

Non è previsto un termine in cui l'istanza debba essere presentata, anche se è ipotizzabile che essa possa essere presentata sino al momento della definitiva precisazione delle conclusioni, oltre che essere proposta per la prima volta in appello (non si tratta di una vera e propria domanda giudiziale e non è assoggettata ad alcuna delle preclusioni di cui all'art. 183 comma 6 c.p.c.) (F.P. Luiso, Diritto processuale civile, vol. 3 Giuffrè, 2009).

In considerazione che le principali norme in tema di affidamento e mantenimento della prole sono sottratte al principio della domanda, e stante la natura accessoria della misura coercitiva si perviene alla conclusione che tale misura dovrebbe poter essere emessa anche d'ufficio, oltre che su istanza di parte (Contra: A.G. Diana, La nuova esecuzione forzata. Questioni e procedure, Giuffrè, 2011).

La norma subordina la concessione della misura ad una valutazione discrezionale del giudice tanto nell'an che nel quantum.

Si ritiene che la misura sia manifestatamente iniqua quando vi è ”una sproporzione evidente tra il sacrificio imposto al debitore e l'interesse del creditore a vedere eseguita la prestazione”.

Criteri guida per la quantificazione della comminatoria sembrerebbero essere rappresentati dal danno subendo dal creditore, dal valore della causa, dalle condizioni soggettive del debitore, dal contegno processuale delle parti nonché dal tipo di violazione posta in essere. Anche la condizione economica dell'obbligato va considerata.

La sanzione accessoria costituirà titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute.

In conclusione

In assenza di un intervento legislativo che potrebbe finalmente fare chiarezza, la soluzione che appare più praticabile è quella di individuare, tra i riferimenti normativi vigenti, quello che possa garantire al meglio l'attuazione dell'interesse del minore e, nello specifico, l'attuazione del diritto ad essere soggetto e non oggetto di provvedimenti che lo riguardano.

In attesa di un intervento normativo che non può tardare anche in considerazione delle indicazioni sovranazionali e di quelle contenute nelle linee guida del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa, l'individuazione di un modello di “buona prassi” nell'esecuzione dei provvedimenti di affidamento, ad avviso di chi scrive, non può che prescindere dall'abbandono dell'applicazione dell'esecuzione in forma specifica, per preferire una soluzione più adeguata in relazione alla delicatezza della materia e degli interessi in gioco.

Sarebbe auspicabile affidare al medesimo ufficio che ha emesso il provvedimento anche l'individuazione delle modalità di attuazione dello stesso, pervenendo ad una eventuale modifica della decisione in fase di attuazione per rendere più adeguata possibile tale decisione al caso concreto e all'evoluzione della situazione; in tal modo si eviterebbe il rischio di interventi a “più mani” e, soprattutto, si eviterebbero le pastoie delle procedure esecutive, e relativi giudizi di opposizione che potrebbero portare ad un immobilismo o lungaggini, allorquando una rapidità di intervento è determinante trattandosi di minori.

In attesa di un intervento risolutore in materia, ci auguriamo che la giurisprudenza di legittimità conferisca una unicità di indicazione nell'abbandonare il ricorso alle classiche forme di esecuzione allorquando si tratta di eseguire in tema di affidamento.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.