La Cassazione dice sì alla stepchild adoption
22 Giugno 2016
Il caso. Due donne, legate da una relazione sentimentale e di convivenza, decidono di avere un figlio tramite il ricorso, da parte di una delle due, alla fecondazione assistita. Nasce una bambina che instaura un profondo legame affettivo con entrambe le donne, in un contesto familiare e di relazioni sociali analogo a quello delle altre bambine della sua età. La compagna della madre (c.d. genitore sociale) intendendo formalizzare la relazione in essere, chiede di poter adottare la bambina nelle forme di cui all'art. 44 lett. d) della l. 184/1983. La domanda viene accolta dal Tribunale minorile, la cui pronuncia è confermata in secondo grado. La Cassazione, rigetta il ricorso proposto dalla Procura Generale presso la Corte d'appello, ammettendo così l'adozione.
Esclusione del rinvio alle Sezioni Unite. La pronuncia respinge la richiesta preliminare del Procuratore Generale di rinvio del ricorso alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, in quanto involgerebbe una questione di massima di particolare importanza. Non tutte le questioni riguardanti diritti individuali o relazionali di più recente emersione possono infatti qualificarsi nei termini suddetti, ai sensi dell'art. 374 comma 2 c.p.c.. Tanto è vero che la Suprema Corte, a sezione semplice, è già intervenuta su temi socialmente ed eticamente sensibili, quali le “direttive di fine vita”, il riconoscimento giuridico delle unioni omoaffettive, l'adozione del singolo, la surrogazione di maternità.
Non obbligatorietà della nomina di un curatore speciale alla minore. La Corte d'appello aveva escluso che fosse obbligatorio nominare alla minore un curatore speciale, non risultando un potenziale conflitto di interessi in re ipsa tra la stessa e la madre, chiamata ad esprimere il suo consenso all'adozione da parte della convivente. La Cassazione conferma la pronuncia ed osserva che «l'appezzamento dell'esistenza di un potenziale conflitto di interessi, che non sia previsto normativamente in modo espresso […] e non sia ricavabile dall'interpretazione coordinata delle norme che regolano il giudizio [...] è rimesso in via esclusiva al giudice del merito e non è sindacabile in sede di giudizio di legittimità». All'interno della previsione di cui all'art. 44 lett. d) della l. 184/1983 «non può ravvisarsi una situazione di incompatibilità di interessi in re ipsa, desumibile cioè dal modello adottivo astratto, tra il genitore-legale rappresentante ed il minore adottato». Una tale situazione potrebbe se mai configurarsi in concreto, nel corso del procedimento, ove espressamente dedotta; nella specie, la Corte d'appello, con motivazione coerente, avulsa da qualsiasi violazione di legge, aveva peraltro escluso una situazione di conflitto d'interessi tra la minore e la madre, tale da imporre la nomina di un curatore speciale in base alla previsione generale di cui all'art. 78 c.p.c.. L'unica ragione posta poi dalla Procura a sostegno del denunciato conflitto d'interessi era stata individuata nell'interesse personale della madre della minore a consolidare il proprio progetto di vita con la compagna. Osserva la Corte che, «o si ritiene che sia proprio la relazione sottostante (coppia omoaffettiva) ad essere potenzialmente contrastante, in re ipsa con l'interesse della minore» (con una discriminazione basata sull'orientamento sessuale del genitore), ma ciò sarebbe privo di fondamento probatorio scientifico, «oppure si deve escludere tout court.. la configurabilità in via generale e astratta di una situazione di conflitto».
L'operatività dell'art. 44 lett. d) l. 184/1983. L'art. 44 lett. d) della l. 184/1983, là dove prevede l'adozione del minore in casi particolari, in presenza della constatata impossibilità di affidamento preadottivo, va interpretato alla luce del quadro costituzionale e convenzionale ed in particolare dei principi affermati dalla Corte EDU in ordine al best interest del minore. La tesi, propugnata dalla Procura Generale, per la quale, anche nell'ipotesi di cui alla lett. d) cit., l'adozione sarebbe comunque subordinata alla preventiva declaratoria dello stato di abbandono «condurrebbe sempre ad escludere che l'adozione possa conseguire ad una relazione già instaurata e consolidata con il minore, essendo tale condizione relazionale contrastante con l'accertamento di una situazione di abbandono», così come configurata dall'art. 8 della l. 184/1983. Solo l'adozione “legittimante” postula la situazione di abbandono del minore, non invece quella “non legittimante” (in casi particolari). Richiamando la pronuncia della Corte costituzionale n. 383/1999, la Cassazione conferma l'interpretazione dell'espressione “constatata impossibilità di affidamento preadottivo” adottata dalla Corte d'appello; «deve ritenersi sufficiente l'impossibilità “di diritto” di procedere all'affidamento preadottivo e non solo quella “di fatto”, derivante da una situazione di abbandono in senso tecnico-giuridico».
L'applicabilità dell'art, 44 lett. d) nelle coppie same sex. Rileva la Corte di Cassazione che, «poiché all'adozione in casi particolari prevista dall'art. 44 comma 1 lett. d) possono accedere sia le persone singole che le coppie di fatto, l'esame de requisiti e delle condizioni imposte dalla legge, sia in astratto (“la constatata impossibilità di affidamento preadottivo”), sia in concreto (l'indagine sull'interesse del minore imposta dall'art. 57 primo comma n. 2) non può essere svolto – neanche indirettamente – dando rilievo all'orientamento sessuale del richiedente e alla conseguente natura della relazione da questo stabilita con il proprio partner». Viene così legittimata quella che, mutuando un'espressione anglofona, è stata definita stepchild adoption anche in favore del compagno dello stesso sesso del genitore biologico del minore. |