Azione di opposizione al riconoscimento del figlio e assenso del minore ultraquattordicenne
23 Maggio 2017
Massima
In tema di riconoscimento del figlio nato fuori dal matrimonio, ai sensi del novellato art. 250, comma 2, c.c., al compimento del quattordicesimo anno di età, il minore (anche se nato o concepito prima dell'entrata in vigore della l. n. 219/2012) diviene titolare di un autonomo potere di incidere sul diritto del genitore al riconoscimento, configurando il suo assenso quale elemento costitutivo dell'efficacia del riconoscimento. Ne consegue che nel giudizio promosso dal genitore che intenda riconoscere il figlio, pur in mancanza del consenso dell'altro genitore che ha effettuato per primo il riconoscimento, deve dichiararsi la cessazione della materia del contendere al sopravvenuto compimento del quattordicesimo anno di età del figlio. Il caso
In data 9 maggio 2002, da genitori non sposati, è nata L.G., riconosciuta all'atto di nascita dalla sola madre, F.G.. Successivamente M.M., il padre biologico di L.G., ha adito il Tribunale ordinario di Brescia per ottenere il consenso al riconoscimento della figlia, ai sensi dell'art. 250, comma 4, c.c., atteso il mancato consenso prestato dalla madre, che per prima aveva effettuato il riconoscimento. Il Tribunale adito, con sentenza del 10 luglio 2012, ha autorizzato M.M. a procedere al riconoscimento della minore, nonostante il rifiuto della madre. La pronuncia è stata confermata in sede di appello. F.G. ha, quindi, impugnato la sentenza dinanzi alla Corte di cassazione, lamentando la mancata audizione della minore, di età prossima agli 11 anni, senza che fosse stata indicata alcuna ragione di incapacità della medesima. La Corte di legittimità ha cassato la sentenza della Corte d'appello di Brescia con rinvio a quest'ultima, affinché venisse disposta l'audizione della minore. In sede di riassunzione, la Corte di appello ha disposto audizione della minore, la quale ha riferito di essere a conoscenza della domanda di riconoscimento di M.M., ma di avere già un padre che si occupava di lei, ragion per cui il riconoscimento non sarebbe andato a suo vantaggio. Precisava, altresì, di non aver voglia di incontrare M.M. e di non ricordare nulla di costui. Nonostante le dichiarazioni della minore, la Corte di appello di Brescia ha autorizzato il riconoscimento di L.G.. La madre di quest'ultima ha, quindi, proposto un secondo ricorso per Cassazione, affidandolo questa volta a due motivi: la nullità dell'audizione (per difetto di verbalizzazione e in quanto la minore non era stata adeguatamente assistita dall'informazione sull'esito del giudizio) e la mancata verifica del grave pregiudizio che la minore avrebbe subìto per via del riconoscimento. Instaurato il procedimento di gravame dinanzi alla Suprema Corte, la ricorrente ha rappresentato con memoria ex art. 378 c.p.c. che, nelle more del giudizio, L.G. aveva compiuto quattordici anni ed ha prodotto una dichiarazione nella quale la minore manifestava il proprio diniego al riconoscimento, chiedendo la declaratoria di cessazione della materia del contendere. La Cassazione, in via preliminare, ha rilevato che, ai sensi dell'art. 104, comma 8, d.lgs n. 154/2013, l'abbassamento a quattordici anni dell'età del figlio il cui assenso costituisce elemento costitutivo di efficacia del riconoscimento, si applica anche ai figli nati e concepiti prima dell'entrata in vigore della legge n. 219/2012, e quindi anche al caso preso in esame. Ciò premesso, ha precisato che al compimento del quattordicesimo anno di età non è più necessario il consenso del genitore che per primo ha proceduto al riconoscimento o l'intervento sostitutivo del giudice, facendo venir meno la stessa necessità del giudizio in essere. I Giudici di legittimità hanno, quindi, cassato senza rinvio la sentenza impugnata che aveva autorizzato il riconoscimento, poiché la sopravvenuta condizione di efficacia del riconoscimento (assenso della figlia) aveva travolto l'intero giudizio.
La questione
Quali riflessi produce sul giudizio di opposizione al riconoscimento, di cui all'art. 250, comma 4 c.c., il sopravvenuto raggiungimento del quattordicesimo anno di età del figlio, il cui assenso diventa condizione di efficacia del riconoscimento?
Le soluzioni giuridiche
La sentenza in commento investe il tema del riconoscimento c.d tardivo del figlio nato fuori dal matrimonio, disciplinato dagli artt. 250 ss. c.c., e in particolare il rapporto tra l'azione di opposizione al riconoscimento di cui all'art. 250, comma 4, c.c. ed il raggiungimento del quattordicesimo anno d'età del figlio. Il dato normativo di partenza è fornito dall'art. 250, comma 2, c.c., secondo cui il riconoscimento del figlio che ha compiuto quattordici anni non produce effetto senza il suo assenso. Quando, invece, il figlio è minore di quattordici anni, è richiesto il consenso dell'altro genitore che abbia già effettuato il riconoscimento. In questo caso, il consenso non può essere rifiutato se il riconoscimento risponde all'interesse del figlio (art. 250, commi 3 e 4, c.c.). I quattordici anni rappresentano, quindi, il momento a decorrere dal quale la legge presume che il minore abbia raggiunto una sufficiente maturità psichica ed emotiva per poter esprimere il proprio parere vincolante sul riconoscimento e, di conseguenza, sul proprio status di figlio. Tale soglia è stata di recente anticipata dai sedici ai quattordici anni, ad opera dell'art. 1, comma 2, lett c), l. n. 219/2012). In passato, la Corte di cassazione ha affermato che il diritto al riconoscimento nei confronti del minore infrasedicenne (ora infraquattordicenne) costituisce un diritto soggettivo primario del genitore, costituzionalmente garantito dall'art. 30 Cost. (Cass. 28 dicembre 1999, n. 11263). Ciononostante, il diritto all'affermazione della genitorialità trova nel nostro ordinamento diverse limitazioni e, nel caso di riconoscimento c.d. “tardivo” (ossia non effettuato contestualmente all'atto di nascita del figlio), non è sufficiente la sola volontà del genitore che intenda procedervi, in quanto il riconoscimento viene inteso come atto che, pur essendo oggetto di un diritto del genitore, non è rispondente all'esclusivo interesse di quest'ultimo, ma al precipuo interesse del figlio all'accertamento formale del proprio status. Di qui l'opportunità di subordinare l'efficacia del riconoscimento ad una valutazione affidata al genitore che per primo ha effettuato il riconoscimento (o in subordine al Tribunale) o al figlio stesso, laddove questi abbia raggiunto il quattordicesimo annodi età. Nel caso in cui il genitore che per primo ha riconosciuto il figlio non dia il proprio consenso al riconoscimento da parte dell'altro genitore, quest'ultimo può ricorrere al tribunale ordinario (Cass., sent. n. 16103/2015), secondo lo speciale rito previsto dall'art. 250, comma 4, c.c.: proposto il ricorso, il tribunale fissa un termine per la notifica dell'atto introduttivo all'altro genitore. Se quest'ultimo non si oppone entro trenta giorni dalla notifica, il giudice decide con sentenza che tiene luogo del consenso mancante. Se, al contrario, viene proposta opposizione, il giudice entra nel merito ed accerta quale sia il concreto interesse del minore, assumendo ogni opportuna informazione e disponendo l'audizione del minore che abbia compiuto i dodici anni, o anche di età inferiore se capace di discernimento. Con sentenza n. 83/2011, la Corte Costituzionale ha riconosciuto al minore la qualità di parte sostanziale del giudizio di opposizione al riconoscimento. Con il compimento del quattordicesimo anno di età del figlio, la situazione muta: da un lato, non è più richiesto il consenso del genitore che per primo ha effettuato il riconoscimento e, dall'altro, il minore diventa titolare di un autonomo potere di incidere sul diritto del secondo genitore al riconoscimento, configurandosi il suo assenso quale elemento costitutivo dell'efficacia del riconoscimento stesso. Si tratta di una significativa previsione normativa, coerente con i criteri di valorizzazione della personalità in formazione del minore e di rispetto della sua sensibilità. A differenza di quanto previsto per l'ipotesi di mancato consenso del genitore, in caso di mancato assenso del figlio ultraquattordicenne, non è prevista una procedura giudiziaria per ottenere un provvedimento che tenga luogo del mancato assenso. L'assenso del minore costituisce, infatti, un atto negoziale personalissimo, che non può essere sindacato dal genitore in via giudiziaria. Ben può accadere, inoltre, come nel caso oggetto della sentenza in commento, che il raggiungimento dei quattordici anni avvenga nelle more di un giudizio di opposizione ex art. 250, comma 4 c.c.. Nella pronuncia de qua si afferma che il compimento del quattordicesimo anno di età determina, in capo al minore, la titolarità di un autonomo diritto di natura sostanziale nonché del correlativo potere di natura processuale di determinare l'esito della domanda di riconoscimento proposta da uno dei due genitori. Ed, infatti, da tale momento, il genitore che per primo ha effettuato il riconoscimento perde il potere di opporsi al riconoscimento del secondo genitore, facendo venir meno la posizione di contrasto tra le parti e, pertanto, la stessa necessità di affermare in giudizio la concreta volontà della legge in ordine all'oggetto della lite. La Suprema Corte ha dichiarato che «il potere d'opposizione del genitore che aveva per primo riconosciuto il figlio minore perde radicalmente di efficacia, così rendendo inutile il giudizio ex art. 250, comma 4, c.c.» e che «il mutamento della situazione sostanziale produce la cessazione della contesa giudiziaria». I Giudici di legittimità, confermando la posizione già espressa nella sentenza n. 14/2003, hanno affermato che la sopravvenienza dell'evento (raggiungimento dei quattordici anni del figlio) ed il mutamento della situazione sostanziale che ne deriva sono rilevabili d'ufficio dal Giudice. Come si è detto, l'abbassamento a quattordici anni della soglia a decorrere dalla quale è necessario l'assenso del minore al riconoscimento, è stato introdotto dalla l. n. 219/2012, entrata in vigore l'1 gennaio 2013, mentre la sentenza in commento concerne il caso di una minore nata il 9 maggio 2002, quindi in data anteriore all'entrata in vigore della sopra citata legge. Tuttavia, come rilevato preliminarmente dalla Corte, nelle disposizioni transitorie del d.lgs n. 154/2013 (art. 104, comma 8) viene statuito che, fermi gli effetti del giudicato formatosi prima dell'entrata in vigore della l. n. 219/2012, le disposizioni del codice civile relative al riconoscimento dei figli, come modificate dalla medesima legge, si applicano anche ai figli nati o concepiti anteriormente all'entrata in vigore della stessa. Grazie a tale previsione, il Giudice di legittimità ha potuto applicare alla fattispecie oggetto del giudizio il nuovo limite di età. Osservazioni
La sentenza in esame tocca vari aspetti attinenti al riconoscimento del figlio nato fuori del matrimonio, sia di natura sostanziale che di natura procedurale, e si pone sulla scia della tendenza ad attribuire al minore un ruolo di preminente rilievo nei giudizi che lo riguardano, valorizzandone la capacità di discernimento. In via preliminare e di diritto, la Suprema Corte ha rilevato che, ai sensi dell'art. 104, comma 8 d.lgs n. 154/2013, fermi gli effetti del giudicato formatosi prima dell'entrata in vigore della l. n. 219/2012, l'abbassamento a quattordici anni dell'età richiesta perché il figlio debba prestare il proprio assenso al riconoscimento, si applica anche ai figli nati o concepiti anteriormente all'entrata in vigore della stessa legge. Chiarito tale aspetto, la Corte si è soffermata sulla qualificazione giuridica della posizione attribuita al minore ultraquattordicenne, precisando che costui diventa titolare di un «autonomo diritto di natura sostanziale» (di opporsi al riconoscimento del genitore) e del «correlativo potere di natura processuale di determinare l'esito della domanda di riconoscimento proposta da uno dei due genitori». Parallelamente, il potere di opposizione del genitore, che per primo ha riconosciuto il figlio minore, perde di efficacia, così rendendo inutile il giudizio ex art. 250, comma 4, c.c., che ha come fine la pronuncia dell'autorizzazione in luogo del consenso del genitore. Può, quindi, ipotizzarsi che il senso della decisione sia questo: con il raggiungimento del quattordicesimo anno di età del figlio, il giudizio di opposizione (che è quello instaurato dal genitore che si oppone al riconoscimento) si estingue, ma resta comunque in piedi la domanda giudiziale del genitore che vuole procedere al riconoscimento, il cui esito dipende proprio dall'assenso o dal dissenso che il minore può manifestare nel giudizio.
Giuda all'approfondimento
- V. Carbone, Opposizione al riconoscimento di figlio naturale: il minore infrasedicenne non solo deve essere sentito ma è parte del processo, in Famiglia e diritto, Milano, 212, 653 ss. - S. Troiano, Commento all'art. 250 c.c., in Commentario Breve al diritto di famiglia (a cura di A. Zaccaria), Padova, 2016
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