Il diritto del minore a conservare il rapporto con gli ascendenti dopo la separazione dei genitori

Laura Galli
23 Novembre 2015

Il diritto dei minori di conservare rapporti significativi con gli ascendenti non attribuisce a quest'ultimi un autonomo diritto di visita ma introduce un ulteriore elemento di indagine e valutazione nella scelta dei provvedimenti da adottare al fine di rafforzare la tutela del diritto del minore.
Massima

Il diritto dei minori di conservare rapporti significativi con gli ascendenti non attribuisce a questi ultimi un autonomo diritto di visita ma introduce un ulteriore elemento di indagine e valutazione nella scelta dei provvedimenti da adottare al fine di rafforzare la tutela del diritto del minore e garantirgli una crescita serena ed equilibrata (in applicazione del suesposto principio, la Corte ha confermato la decisione dei giudici del merito che avevano negato ad una nonna il diritto di visita della nipotina, diritto ostacolato dal padre della bimba a seguito della prematura morte per malattia della madre).

L'audizione del minore infradodicenne presuppone anche che lo stesso sia capace di discernimento in relazione alla sua età e al grado di maturità. Il riscontro di tale capacità è devoluto al libero e prudente apprezzamento del giudice e non necessita di specifico accertamento positivo di indole tecnica specialistica, anticipato rispetto al tempo dell'audizione. Tale capacità, peraltro, non può essere esclusa con mero riferimento al dato anagrafico del minore, se esso non sia di per sé solo univocamente indicativo in tale senso, mentre può presumersi in genere ricorrente, anche considerati temi e funzioni della audizione, quando si tratti di minori per età soggetti a obblighi scolastici e, quindi, normalmente in grado di comprendere l'oggetto del loro ascolto e di esprimersi consapevolmente. (Come nella specie confermato - ha evidenziato la S.C. - dal tenore delle trascritte dichiarazioni rese dalla bambina di età scolare, sia in sede giudiziale che nel corso della successiva indagine affidata dai giudici del reclamo ai servizi sociali).

Il caso

M.G., nonna materna della minore N.C., nata da sua figlia B.S., la quale decedeva a seguito di malattia, chiedeva con ricorso al Tribunale per i Minorenni di Roma il riconoscimento del suo diritto di visita nei confronti della nipote, osteggiato e negato dal genero N.E. , padre della bambina. Il tribunale, sentita la minore, respingeva il ricorso della reclamante volto al riconoscimento suddetto.

Con successivo decreto, la Corte di appello di Roma, nel contraddittorio delle parti, respingeva il reclamo della M.G, come richiesto anche dal PG. La Corte territoriale riteneva, infatti, che le doglianze dell'istante non potessero trovare fondamento e, quindi, essere accolte, in quanto non vi erano state le omissioni come indicate dalla reclamante stessa. In primis, la dedotta assenza, o comunque il mancato approfondimento della capacità di discernimento della minore necessaria a far ritenere attendibili le dichiarazioni dalla stessa rese in primo grado avanti al TM e, in secondo luogo, in riferimento al contenuto delle medesime dichiarazioni, non ravvisavano forzature o suggestioni che avessero potuto indurre la minore a riferire una volontà diversa da quella interiormente provata, apparendo la conclusione raggiunta dal T.M. corretta e congrua rispetto all'intendimento della bambina di non volere rivedere la nonna, riferendo di provare dolore al solo pensiero di sentirla anche telefonicamente. In ordine, invece, alla lamentata violazione del diritto della reclamante a mantenere rapporti significativi con la nipote (come evidenziato anche con la novella di cui alla l. n. 219/2012) la Corte territoriale richiama, condivisibile e meritevole di pieno recepimento, l'orientamento della Suprema Corte in materia, secondo cui le norme sul diritto dei minori di conservare "rapporti significativi con gli ascendenti non attribuiscono a questi ultimi un autonomo diritto di visita, ma introducono un elemento ulteriore di indagine e di valutazione nella scelta dei provvedimenti da adottare sempre nell'ottica di una tutela del minore e di una sua crescita serena ed equilibrata. In altri termini sono l'interesse e le esigenze del minore, e non quella dell'ascendente, a dovere essere valutate e assecondate in conformità ai principi generali vigenti in materia. Nel caso di specie, restava il fatto certo e comprovato della volontà manifestata dalla bambina in più riprese di non voler vedere la nonna materna.

La questione

Il caso affrontato dalla Suprema Corte mette in luce due diverse questioni: la prima è riferibile all'audizione del minore infradodicenne che presuppone che lo stesso sia capace di discernimento in relazione alla sua età e al grado di maturità. Ci si chiede se l'accertamento di tale capacità sia devoluto al libero e prudente apprezzamento del giudice oppure necessiti una specifica indagine tecnica specialistica, anticipata rispetto all'audizione stessa. Fornita una risposta al detto quesito, si pone, conseguentemente la seconda questione, riferita, invece, al diritto dei minori di conservare rapporti significativi con gli ascendenti. Accertato il diritto del minore a tale rapporto, è attribuibile il conseguente diritto di visita autonomamente, sic et simpliciter? Oppure, anche in tal caso, è indispensabile un'indagine circa la scelta dei provvedimenti da adottare in virtù della tutela del minore a una crescita serena ed equilibrata?

Le soluzioni giuridiche

L'analisi delle questioni presuppone l'esistenza di due diritti egualmente tutelabili ma al tempo stesso diversamente attuabili e valutabili.

L'ascolto del minore è contemplato e disciplinato da due importanti Convenzioni Internazionali: la Convenzione di New York 20 novembre 1989, ratificata in Italia con l. 27 maggio 1991 n. 176, in punto di capacità di discernimento del minore e la Convenzione di Strasburgo 25 gennaio 1996, ratificata in Italia con la l. 20 marzo 2003, n. 77, in punto di preventiva informazione del minore sottoposto all'ascolto e della informazione allo stesso circa le conseguenze della decisione. Esso riflette sia l'esigenza di tutelare le opinioni espresse dal minore soprattutto nei casi di separazione e divorzio dei genitori, sia l'esigenza, attuata da ultimo con la l. n. 219/2012, di considerare il minore come soggetto portatore di diritti pieni.

I presupposti che sorreggono l'ascolto del minore sono, dunque, la capacità di discernimento e il diritto all'informazione con le relative conseguenze che le dichiarazioni del medesimo potranno avere nel procedimento. La prima è intesa come l'attitudine del bambino a orientarsi e determinarsi nelle sue scelte esistenziali e, in alcuni casi, questa capacità può essere presunta (a seconda dell'età) mentre in altri il giudice è tenuto a indagarne grado e maturità. Tale ascolto può avvenire anche per interposta persona, rappresentante od organo appropriato a seconda delle legislazioni nazionali (v. Cass. civ., 3 maggio 2012, n. 6694). Il diritto all'informazione consiste, invece, nel diritto del minore a ricevere ogni informazione pertinente, a essere consultato e poter esprimere la propria opinione e, infine, essere informato sulle conseguenze delle sue dichiarazioni. Ciò anche con l'ausilio di una persona esperta. Solo dopo aver accertato se il minore ha recepito tali informazioni, l'autorità giudiziaria potrà assumere decisioni che riguardano il minore.

Le disposizioni sin qui richiamate delle Convenzioni di New York e Strasburgo sono state considerate norme di carattere imperativo dalla Corte Costituzionale e, pertanto, integrative della disciplina interna (v. C. cost.,11 marzo 2011,n. 83) e sono confluite nella Carta dei Diritti fondamentali dell'Unione Europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 che considera preminente l'interesse superiore del bambino. Con il Trattato di Lisbona del 2007, viene definitivamente sancita la natura di Trattato internazionale della Carta e, quindi, la sua efficacia negli ordinamenti interni.

L'Italia si è adeguata e ha recepito tali principi dapprima facendoli confluire nella disposizione di cui all'art.155 sexies in cui l'audizione del minore era divenuta un passaggio necessario nelle procedure giudiziarie e, in seguito, con la disposizione dell'art.315 bis c.c. che al terzo comma stabilisce che «il figlio minore che abbia compiuto i 12 anni e anche di età inferiore, ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e i procedimenti che lo riguardano». Pertanto, laddove il fanciullo è minore degli anni 12, l'audizione del medesimo è rimessa al prudente apprezzamento del giudice che può negarla o non concederla laddove ritenga che il bambino non sia sufficientemente maturo per essere esposto emotivamente alle vicende del procedimento e che ciò lo possa turbare, ponendosi l'audizione in contrasto con il suo superiore interesse (v. Cass. civ., 15 maggio 2013,n. 11687). Analogo discorso viene fatto per l'informazione che deve essere fornita al minore in base alla sua età e al suo grado di maturità a meno che le informazioni stesse non possano nuocere al suo benessere (v. Cass. civ., 27 luglio 2007,n. 16753). Da ciò discende che l'ascolto è un diritto del minore, non un dovere impostogli, tale per cui qualora esso sia contrario al suo interesse o manifestamente superfluo, può non essere concesso, in quanto costituisce una facoltà del giudice ascoltare il minore infradodicenne. Ma quando si può dire che l'ascolto sia manifestamente superfluo? Il d. lgs., 28 dicembre 2013n. 154 ravvisa la manifesta superfluità quando il minore sia già stato ascoltato o vi sia il pieno accordo tra genitori sulla bi genitorialità oppure il minore non voglia essere ascoltato. Tutto rimesso alla discrezionalità del giudice che potrà emettere un provvedimento senza ascoltare il minore purchè motivi l'assenza della capacità di discernimento o la manifesta superfluità, pena la violazione del principio del contraddittorio, essendo il minore divenuto “parte” nel procedimento che lo riguarda, a cui viene data voce nel momento conflittuale della crisi familiare.

La norma di cui all'art. 315 bis succitata sancisce un altro diritto che “convive” accanto a quello dell'audizione e che potrebbe formare oggetto di contrasto con le opinioni espresse dal minore o con la mancata audizione ovvero il diritto del figlio di mantenere rapporti significativi con i parenti (ultima parte del secondo comma), ribadito nell'art. 337 ter. La vera rivoluzione copernicana è, tuttavia, attuata, con la modifica dell'art. 317 bis da parte del d. lgs. n. 154/2013, secondo cui, a fronte di un orientamento consolidato per cui gli ascendenti non vantavano il diritto di far valere autonomamente la possibilità di visita nei confronti dei nipoti, viene sancito il diritto dei nonni a mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni. Ciò a garanzia della salvaguardia di un passaggio generazionale assolutamente essenziale e indispensabile per una crescita sana ed equilibrata del minore. Gli ascendenti, dunque, non possono più essere considerati terzi estranei alle vicende della famiglia dei loro discendenti. Una recente sentenza della Suprema Corte ha affermato che l'art. 155 c.c., nel prevedere il diritto dei minori, figli di coniugi separati, di conservare rapporti significativi con gli ascendenti (ed i parenti di ciascun ramo genitoriale) «affida al giudice un elemento ulteriore di indagine e di valutazione nella scelta e nell'articolazione di provvedimenti da adottare in tema di affidamento, nella prospettiva di una rafforzata tutela del diritto ad una crescita serena ed equilibrata» (v. Cass., sez. I civ., 11 agosto 2011, n. 17191).

La locuzione “rapporti significativi” indica che non deve trattarsi di rapporti meramente formali o di convenienza ma essi devono possedere una rilevanza affettiva che viene attuata attraverso uno scambio di visite, comunanza di festività ma soprattutto assenza di ostacoli che genero, nuora o altri parenti potrebbero frapporre. E il comma 2 dell'art. 317 bis appresta all'ascendente che ritiene violato tale diritto uno strumento di tutela giurisdizionale consistente nel ricorrere al giudice del luogo di residenza abituale del minore affinché siano intrapresi i provvedimenti più idonei.

Tuttavia, come poc'anzi accennato, ci si trova di fronte a due diritti, entrambi costituzionalmente garantiti, il diritto del minore e il diritto degli ascendenti. Quest'ultimo necessariamente soccombe qualora emerga che è di pregiudizio per il minore il mantenimento dei rapporti con gli ascendenti. Ciò che emerge dalla pronuncia in esame, in cui la Corte ancorché affermi la legittimazione in capo alla nonna dell'esplicazione di tale diritto, lo esclude concependo tale diritto come “funzionale” alla realizzazione del sereno sviluppo del minore e, quindi, rilevante solo in questo caso. Rilevanza esclusa anche sulla base delle dichiarazioni rese dalla minore sia in sede giudiziale che nel corso della successiva indagine affidata dai giudici del reclamo ai servizi sociali.

Osservazioni

Nonostante la pronuncia in commento effettui un bilanciamento tra la prevalenza di un diritto costituzionalmente garantito rispetto all'altro, tenendo conto delle dichiarazioni della minore, oltretutto senza particolari approfondimenti, precedenti decisioni non hanno concluso nello stesso senso. Preme all'autore citare, in particolare, una sentenza della Suprema Corte (Cass. civ. 5 marzo 2014 n. 5097) in cui il Collegio, in un caso analogo, è giunto a una soluzione diametralmente opposta. Incontestato il fatto che l'opposizione del genitore superstite a che il minore conservi un rapporto significativo con i parenti dell'altro ramo genitoriale sia assolutamente pregiudizievole e ostativo a una crescita armonica, serena ed equilibrata del minore, la decisione fa leva proprio sul corretto svolgimento dell'audizione del minore in seno al procedimento, stabilendo come essa, in realtà, non costituisca una “restrizione” della libertà personale come sostenuto dagli ascendenti nella loro veste di ricorrenti ma anzi un'”espansione” del diritto alla partecipazione del procedimento, quale «momento formale deputato a raccogliere le sue opinioni e i suoi effettivi bisogni». Si ritiene in maniera quasi unanime, pur esprimendosi da più parti, anche in dottrina, preferenza per l'audizione diretta, che il giudice, soprattutto quando particolari circostanze lo richiedano, possa avvalersi di esperti, delegando agli stessi l'audizione del minore (v., quanto al più recente orientamento di questa Corte, Cass. civ., 26 marzo 2010, n. 7282).

Non sembrerebbe sufficiente, quindi, come, invece, ritiene la Corte, che la minore sia stata esaminata da soggetti, nel caso di specie Giudice Onorario delegato e Servizi Sociali le cui relazioni sono state successivamente acquisite al fascicolo processuale, essendo necessario che colui che procede all'audizione sia investito di una specifica competenza che inerisca, altresì, al dovere di informare il minore di tutte le istanze o scelte che lo riguardano, al fine di acquisire la sua volontà. Così come non sarebbe stato sufficientemente motivato l'interesse superiore della minore a non vedere la nonna sulla sola base di dichiarazioni negative della bambina, non dovendo l'ascolto servire a raccogliere esternazioni anche estemporanee di volontà né ad indirizzare il provvedimento secondo il momento ma ad assumere elementi globali di valutazione, dei reali bisogni del minore e dei suoi interessi (v. Trib. Messina, sez. I, 10 febbraio 2009).

Guida all'approfondimento

- G. Pascale, Ascolto del minore nel conflitto familiare in Casi di affidamento ingiusto. Conflitti familiari e tutela del minore, Rimini, 2015, 89
- F. Bartolini, M. Bartolini, Commentario sistematico del diritto di famiglia , Piacenza, 2015, 340; 1520

Sommario