La discontinuità delle condotte vessatorie non esclude la consumazione del reato di maltrattamenti

Giuseppe Marra
29 Dicembre 2016

Le questioni giuridiche esaminate dalla Suprema Corte sono due: da un lato, la sussistenza del delitto di maltrattamenti in presenza di condotte vessatorie alternate a momenti di vita ordinaria nell'ambito familiare; dall'altro, l'eventuale concorso di reati tra maltrattamento e violenza sessuale.
Massima

La configurabilità del delitto di maltrattamenti in famiglia ai sensi dell'art. 572 c.p. sussiste anche nel caso in cui le condotte violente e sopraffattrici si alternino a condotte prive di tale connotazione, purchè le prime si caratterizzino per il loro stabile prolungarsi nel tempo.

Il caso

La vicenda processuale aveva ad oggetto l'imputazione nei confronti di un uomo per i reati di maltrattamenti aggravati, lesioni volontarie e violenza sessuale commessi in danno della convivente. L'imputato veniva condannato in primo ed in secondo grado ad una pena complessiva di quattro anni di reclusione, con la riduzione per il rito abbreviato.

Nel ricorso per cassazione formulato sotto diversi profili l'imputato eccepiva, tra le altre cose, che la Corte d'appello non aveva tenuto in debito conto che i rapporti con la convivente erano stati sereni per molti anni, e che i motivi di attrito invece erano stati occasionali e sempre legati alla mancata disponibilità della donna ad assecondare i desideri sessuali del coniuge. In ogni caso non sarebbe configurabile il reato di maltrattamenti nel periodo oggetto di imputazione, in quanto il ricorrente ad una certa data era stato ristretto in carcere, rimanendo quindi impossibilitato ad avere alcun contatto fisico con la persona offesa; di conseguenza le condotte asseritamente vessatorie si sarebbero esaurite in un limitato arco di tempo, senza perciò integrare i presupposti di durata del delitto previsto dall'art. 572 c.p..

Sotto altro profilo il ricorrente lamentava che i giudici di merito avrebbero dovuto ritenere il reato di cui all'art. 572 c.p. assorbito nel più grave reato di violenza sessuale, in quanto gli atti coercitivi e di violenza morale imputatigli erano ispirati da motivazione di carattere sessuale e quindi si esaurivano nei limiti necessari a costringere la persona offesa ad avere rapporti sessuali.

La questione

Le questioni giuridiche da esaminare in base al ricorso erano sostanzialmente due: da un lato, verificare la sussistenza del delitto di maltrattamenti in presenza di condotte vessatorie alternate a momenti di vita ordinaria nell'ambito familiare, e ciò nell'arco di un periodo non particolarmente lungo a causa dell'assenza dell'imputato perché ristretto in carcere; dall'altro, affermare l'eventuale concorso di reati tra maltrattamento e violenza sessuale, nel caso in cui le condotte di sopraffazione erano finalizzate ad avere rapporti sessuali con la convivente, e quindi emergeva la possibilità di una progressione criminosa o di un possibile assorbimento del reato propedeutico a quello successivo più grave.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di Cassazione dichiarava inammissibile il ricorso per vizio di aspecificità dei motivi rispetto alle compiute argomentazioni della sentenza impugnata e comunque per manifesta infondatezza.

La Suprema Corte malgrado i limiti dei motivi di ricorso, ha colto però l'occasione per ribadire importanti principi di diritto con riguardo ad alcune eccezioni piuttosto frequenti nei processi per i delitti di maltrattamenti e violenza sessuale all'interno delle mura domestiche. Infatti non di rado in questi casi le difese cercano di evidenziare che le condotte di sopraffazione sono frazionate nel tempo, intervallate da rapporti non conflittuali tra i conviventi, allo scopo di sostenere la mancanza almeno dell'elemento soggettivo del delitto di cui all'art. 572 c.p. che, come è noto, ha strutturalmente la natura del c.d. reato di durata o abituale.

La Cassazione sul punto ha riaffermato un consolidato orientamento giurisprudenziale, sostenendo che «il delitto di maltrattamenti in famiglia è integrato anche quando le sistematiche condotte violente e sopraffattrici non realizzano l'unico registro comunicativo con il familiare, ma sono intervallate da condotte prive di tali connotazioni o dallo svolgimento di attività familiari, anche gratificanti per la parte lesa, poiché le ripetute manifestazioni di mancanza di rispetto e di aggressività conservano il loro connotato di disvalore in ragione del loro stabile prolungarsi nel tempo».(conf.: Cass., sez. VI, 19 marzo 2014, n.15147; Cass. n. 8396/1996; Cass. n. 3103/1990).

Quanto invece al problema del contestato concorso tra i reati di maltrattamenti e di violenza sessuale nel caso di finalizzazione del primo delitto alla consumazione del secondo, la sentenza in commento ha confermato il principio per cui il delitto di maltrattamenti è assorbito da quello di violenza sessuale soltanto quando vi è piena coincidenza tra le condotte, nel senso che gli atti lesivi siano finalizzati esclusivamente alla realizzazione della violenza sessuale e siano strumentali alla stessa, mentre in caso di autonomia anche parziale delle condotte, comprendenti anche atti ripetuti di percosse gratuite e ingiurie (fattispecie ora abrogata) non circoscritte alla violenza o alla minaccia strumentale necessaria alla realizzazione della violenza, vi è concorso tra il reato di violenza sessuale continuata e quello di maltrattamenti(in tal senso si vedano anche le sentenze: Cass., sez. I, 17 maggio 2012, n. 13349; Cass., sez. III, 22 ottobre 2008, n. 45459). Nel caso di specie i giudici di merito avevano accertato che le condotte di sopraffazione erano ulteriori e distinte rispetto alla costrizione sessuale, ragione per cui è stata ritenuta corretta l'affermazione del concorso tra i due reati contestati.

Osservazioni

La sentenza in esame si inserisce, come detto, in filoni giurisprudenziali già consolidati, fornendo una rigorosa applicazione dei principi di diritto espressi in più occasioni dalla Corte di Cassazione.

È pacifico che il reato previsto dall'art. 572 c.p. si configura attraverso la sottoposizione del familiare ad una serie di sofferenze fisiche e morali che, isolatamente considerate, potrebbero anche non costituire reato, in quanto la ratio dell'antigiuridicità penale risiede nella loro reiterazione protrattasi in un arco di tempo che può essere anche limitato e nella persistenza dell'elemento intenzionale.

Il punto nodale non è perciò la durata o continuità nel tempo di condotte vessatorie o di mortificazione nei confronti del convivente, quanto la verifica in concreto che esse siamo sorrette dal dolo per tutta la loro protrazione.

I giudici di legittimità hanno affermato che il dolo del delitto di maltrattamenti in famiglia non richiede la rappresentazione e la programmazione di una pluralità di atti tali da cagionare sofferenze fisiche e morali alla vittima, essendo, invece, sufficiente la coscienza e la volontà di persistere in un'attività vessatoria, già posta in essere in precedenza, idonea a ledere la personalità della vittima (così tra le tante la sentenza: Cass., sez. VI, 19 giugno 2012, n. 25183).

É stato poi precisato quanto alla distinzione tra reato abituale e reato continuato che «Nel reato abituale, il dolo non richiede - a differenza che nel reato continuato - la sussistenza di uno specifico programma criminoso, verso il quale la serie di condotte criminose, sin dalla lororappresentazione iniziale, siano finalizzate; è invece sufficiente la consapevolezza dell'autore del reato di persistere in un'attività delittuosa, già posta in essere in precedenza, idonea a ledere l'interesse tutelato dalla norma incriminatrice». In applicazione del suddetto principio, la Corte aveva escluso che, con riferimento a distinti episodi di maltrattamenti in famiglia, la natura di reato abituale della fattispecie incriminatrice potesse costituire elemento idoneo a dimostrare la continuità ideativa e, quindi, l'esistenza del vincolo di continuazione tra gli stessi (in tal senso si veda: Cass., sez. VI, 19 marzo 2014, n. 15146; Cass. n. 25183/2012).

Il parallelismo con le ipotesi di reato continuato consente poi di rinvenire nella giurisprudenza della Cassazione anche la soluzione alle ipotesi in cui le condotte illecite protratte nel tempo siano interrotte da periodi di detenzione o assenza dell'imputato dalla convivenza(eccezione sollevata anche nel caso di specie).

Si è affermato sul punto che: «In tema di continuazione, l'arresto del soggetto, intervenuto dopo la commissione di un reato, non è, di per sé, idoneo ad escludere la sussistenza del medesimo disegno criminoso con i reati successivamente commessi, né, di conseguenza, è ostativo all'applicabilità del regime di cui all'art. 81 c.p.: è al giudice di merito che compete di verificare se, in concreto, l'arresto abbia costituito momento di frattura nella unicità del disegno criminoso e, quindi, ragione valida per escludere l'applicazione dell'istituto della continuazione» (così le sentenze: Cass., sez. VI, 6 dicembre 2013, n. 49868; Cass. n. 32018/2013; Cass. n. 32475/2013).

Se va affermato questo principio in riferimento alla struttura del reato continuato, dove è necessaria l'unicità del disegno criminoso a monte delle condotte illecite, a maggior ragione esso può trovare applicazione nelle ipotesi di maltrattamenti in famiglia, ove, come si è visto, non è richiesta dalla giurisprudenza la programmazione di una pluralità di atti volti a cagionare sofferenze fisiche e morali alla vittima.

Ciò non toglie tuttavia che sia rimesso sempre al giudice di merito verificare con rigore se tutti gli episodi di sopraffazione (prima e dopo la detenzione o l'assenza dell'imputato) siano sorretti dalla coscienza e la volontà di persistere in un'attività vessatoria, già posta in essere in precedenza.

In conclusione si può affermare che in materia di maltrattamenti in famiglia ex art. 572 c.p., la Suprema Corte ha raggiunto orientamenti giurisprudenziali consolidati; di conseguenza l'esito dei processi va “giocata” soprattutto nel merito, in particolare nella verifica dell'attendibilità della persona offesa e dei parenti della stessa, che in molti casi costituiscono la prova principale in mano all'accusa.

Guida all'approfondimento

G.Leineri,Maltrattamenti in famiglia o verso minori o sottoposti, gelosia ossessiva, intervalli fra periodi patologici e di equilibrio familiare, in Foro it., 2014,fasc. 12, parte II,664

G. Pavich,Il delitto di maltrattamenti: dalla tutela della famiglia alla tutela della personalità, Giuffrè, 2012

L. Tarasco, Maltrattamenti in famiglia o verso conviventi: prospettive di "ulteriore" riforma, in Dir. per. e processo, 2015, fasc. 1,78

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