Decesso di una casalinga: spetta ai conviventi il risarcimento del danno da perdita del lavoro domestico

24 Gennaio 2017

In caso di morte di una casalinga verificatasi in conseguenza dell'altrui fatto dannoso, i congiunti conviventi hanno diritto al risarcimento del danno, quantificabile in via equitativa, subito per la perdita delle prestazioni attinenti alla cura e all'assistenza da essa presumibilmente fornite. In tal caso, la prova che la vittima attendesse a tale attività può essere ricavata in via presuntiva...

Il caso. A seguito di un sinistro stradale in cui perdeva la vita una donna, il marito agiva in giudizio, anche in qualità di esercente la patria potestà sui figli minori, al fine di ottenere il risarcimento dei danni patiti. Nell'incidente era deceduto anche il conducente dell'altra autovettura, sicché la causa veniva intentata nei confronti della madre di costui. Dichiarata la responsabilità esclusiva di quest'ultimo nella causazione del sinistro, i suoi eredi venivano condannati al risarcimento dei danni. Tuttavia, il giudice di primo grado rigettava la richiesta di danno patrimoniale sofferto dai congiunti sul rilievo della mancanza di prova. Confermata la pronuncia in sede d'appello, l'attore si rivolgeva alla Corte di Cassazione.

Inammissibile l'attribuzione congiunta del danno parentale e del danno morale. Oggetto dell'impugnazione è, in primo luogo, il rigetto della domanda di danno da perdita dell'integrità familiare. Al riguardo, la Suprema Corte ribadisce innanzitutto l'unitarietà della nozione di danno non patrimoniale di cui alla sentenza delle Sezioni Unite, 11 novembre 2008, n. 26972. Com'è noto, tale pronuncia ha affermato che la perdita di una persona cara implica necessariamente una sofferenza morale, la quale non costituisce un danno autonomo, ma rappresenta un aspetto del danno non patrimoniale. Pertanto è inammissibile, costituendo una duplicazione risarcitoria, la congiunta attribuzione, al prossimo congiunto di persona deceduta in conseguenza di un fatto illecito, del risarcimento a titolo di danno da perdita del rapporto parentale e del danno morale, poiché esso non costituisce che un aspetto del più generale danno non patrimoniale. Invero, la sofferenza patita nel momento in cui la perdita è percepita e quella che accompagna l'esistenza del soggetto che l'ha subita, altro non sono che componenti del complesso pregiudizio, che va integralmente ma unitariamente ristorato. Quindi correttamente il giudice di merito ha dichiarato assorbito il danno non patrimoniale da perdita dell'integrità familiare nella liquidazione del danno non patrimoniale da perdita del congiunto.

Specificità della censura sull'entità del danno. Sotto altro profilo, è sottoposta a censura la parte della sentenza in cui il giudice d'appello ha dichiarato inammissibile, perché privo di specificità, il motivo di impugnazione avente ad oggetto l'entità della liquidazione del danno non patrimoniale da perdita di congiunto. In accoglimento del motivo di ricorso, la Suprema Corte ritiene che la censura formulata sull'entità del danno da perdita di congiunto fosse sufficientemente specifica in quanto erano indicati i punti della sentenza impugnati, la somma liquidata dal primo giudice e quella invece richiesta, le condizioni personalizzanti indicate e non valutate dal giudice, il riferimento alle tabelle in uso all'epoca della decisione. Invero, la Corte d'appello ha fondato l'inammissibilità del motivo sulla omessa indicazione di parametri che la Corte avrebbe dovuto conoscere per utilizzare le tabelle in uso presso il Tribunale di Roma nel 2007, quando invece tutti i parametri utili risultavano indicati dall'atto di appello e comunque risultavano palesemente dai fatti di causa: la giovane età della vittima, la giovanissima età dei figli, la composizione del nucleo familiare, il rapporto di convivenza.

Danno da perdita del lavoro domestico. Infine, il ricorrente censura la decisione nella parte in cui ha dichiarato infondata per mancanza di prova la richiesta risarcitoria per i danni patrimoniali subiti per il decesso della moglie che svolgeva attività di casalinga. Accogliendo il ricorso anche riguardo a tale profilo, la Cassazione richiama alcuni suoi precedenti in materia. Nella specie, è stato affermato che, in caso di morte di una casalinga verificatasi in conseguenza dell'altrui fatto dannoso, i congiunti conviventi hanno diritto al risarcimento del danno, quantificabile in via equitativa, subito per la perdita delle prestazioni attinenti alla cura ed all'assistenza da essa presumibilmente fornite, essendo queste prestazioni, benché non produttive di reddito, valutabili economicamente, ciò anche nell'ipotesi in cui la stessa fosse solita avvalersi di collaboratori domestici (Cass. civ., n. 17977/2007). È stato, inoltre, chiarito che, ai fini della liquidazione del danno patrimoniale da perdita del lavoro domestico svolto da un familiare deceduto per colpa altrui, la prova che la vittima attendesse a tale attività può essere ricavata in via presuntiva ex art. 2727 c.c. dalla semplice circostanza che non avesse un lavoro, mentre spetta a chi nega l'esistenza del danno dimostrare che la vittima, benché casalinga, non si occupasse del lavoro domestico (Cass. civ., n. 22909/2012).

*Fonte www.dirittoegiustizia.it

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