Gli animali da compagnia nella separazione di partners
24 Marzo 2016
Massima
L'animale da compagnia va riconosciuto come “essere senziente” e deve anche riconoscersi un vero e proprio diritto soggettivo dell'“animale di compagnia”. Tuttavia, ciò non giustifica, fuori da una cornice disegnata dal legislatore, l'istituzione di diritti d'azione inediti, non sorretti da una specifica previsione normativa. Il caso
Nella prima fattispecie esaminata, una coppia di conviventi, durante la loro unione, ha instaurato una profonda relazione affettiva con il loro cucciolo di cane. Quando, nel 2013, finisce la relazione, i due si accordano in ordine al godimento del cane, prevedendo una distribuzione delle tempistiche durante le quali ognuno avrebbe goduto della compagnia dell'animale e si sarebbe preso cura di lui. Poiché l'ex convivente lamentava il mancato rispetto degli accordi suddetti da parte della compagna con la conseguente lesione del suo diritto di godimento dell'animale ed il pregiudizio subito dal fatto che lo stesso non potesse stare con il cane in modo pieno e titolato, si rivolgeva al Tribunale di Milano mediante ricorso con il quale chiedeva che il giudice provvedesse a decidere in ordine all'affidamento del cane, ai tempi di permanenza dello stesso presso l'uno e l'altro e alla suddivisione delle spese sostenute nell'interesse dell'animale. Nel secondo caso, due coniugi chiedono che il Tribunale omologhi le condizioni della loro separazione consensuale che prevede la gestione dell'animale domestico sia sotto il profilo relazionale che quello economico. La questione
E' noto che gli animali entrano a fare parte della famiglia, che con loro le persone instaurano spesso un legame affettivo profondo e alquanto significativo e che, quando il nucleo familiare si spacca a seguito della crisi relazionale dei componenti, durante la separazione è frequente che l'animale, al pari dei figli, diventi oggetto di contesa tra i litiganti. Sul punto, la normativa è lacunosa ed il caso giunto all''esame dei giudici milanesi, fa parte di quelle situazioni che la giurisprudenza ha risolto, talvolta in modo non uniforme, proprio perché chiamata a regolamentare richieste e spettanze riguardanti l'animale da compagnia che il nostro ordinamento non disciplina. La questione, dunque, che è stata posta dal ricorrente nel primo caso in commento è la seguente: in caso di separazione o di mancanza di accordo, chi decide l'affidamento del cane? E con quali modalità? Ed ancora: il Tribunale può omologare una separazione consensuale che preveda le condizioni congiunte relative alla gestione dell'animale domestico? Le soluzioni giuridiche
Il primo elemento che non va trascurato nell'esame del provvedimento del Tribunale di Milano è la conflittualità esistente tra gli ex conviventi ed il conseguente lamentato pregiudizio del diritto dell'ex compagno alla frequentazione del cagnolino per fatto e colpa della ex, rea, a parere del ricorrente, di avere disatteso agli accordi inerenti le visite e la gestione del cane precedentemente assunti dai due. Il giudice milanese, con il decreto del 24 febbraio 2015, ritiene il ricorso inammissibile in quanto, nonostante non vi è dubbio che si debba riconoscere all'animale da compagnia la qualità di essere senziente tale da renderlo portante di un vero e proprio “diritto soggettivo”, tuttavia ciò non può giustificare, fuori da una cornice disegnata dal legislatore, l'istituzione di “diritti d'azione” inediti non sorretti da una specifica previsione normativa. In altre parole, non è possibile giungere ad istituire un'equiparazione, in diritto, tra i figli minori e gli animali da compagnia dal momento che solo i primi, nel nostro diritto interno ed in quello internazionale, sono persone fisiche. In buona sostanza, il Tribunale di Milano non ritiene ammissibile una domanda ex artt. 316 comma 4 e 337 bis c.c. in assenza di figli. La soluzione dunque, per la persona che vuole agire al fine di essere tutelato nel suo rapporto con l'animale, rimane quella di attingere al bacino delle azioni previste a tutela della proprietà ed alle altre misure rimediali previste dalla legge per l'esercizio dei diritti su bene altrui o in comproprietà. Quanto fino ad ora esposto, presupponendo una situazione conflittuale, non esclude che i coniugi, i genitori o i conviventi, possano introdurre nelle azioni giudiziarie consensuali (separazioni, divorzi o regolamentazione della cessazione della convivenza in presenza di figli) delle pattuizioni che regolino il godimento dell'animale, sia sotto il profilo morale, ovvero la gestione del rapporto con l'animale, che quello materiale, ovvero la suddivisione delle spese di mantenimento dello stesso. Tali accordi, infatti, andranno ritenuti leciti e recepibili in quanto accessori al contenuto fisiologico della composizione congiunta della crisi familiare. Ad onor del vero, va precisato che Il Tribunale di Milano,con una sentenza del 16 giugno 2013 aveva già chiarito che in un giudizio di separazione giudiziale il Giudice non può regolamentare l'affidamento dell'animale domestico, dal momento che i poteri dell'organo giudicante sono determinati in modo puntuale dalla legge che, a sua volta, non contempla situazioni relative agli animali di proprietà del nucleo familiare. L'orientamento delle due pronunce testè citate non è, tuttavia, unanime. A ben vedere, infatti, vi sono casi in cui il Tribunale ha effettivamente regolamentato in sede di separazione le modalità dell'affidamento dell'animale alla stregua di quanto previsto dal nostro codice civile per i figli minori, ponendo l'accento sull'affetto e sull'interesse materiale e spirituale della coppia per il proprio animale. Il Presidente del Tribunale di Foggia, ad esempio, con un'ordinanza del 2008, aveva stabilito che in caso di separazione il giudice «può disporre che l'animale d'affezione già convivente con la coppia, sia affidato ad uno dei coniugi con l'obbligo di averne cura, e al contempo statuire a favore dell'altro coniuge il diritto di prenderlo e tenerlo con séper alcune ore nel corso del giorno». In questo caso, sulla base del suddetto principio, il Tribunale di Foggia affidava il cane conteso al marito perché ritenuto essere quello che maggiormente avrebbe potuto assicurare il miglior sviluppo dell'animale e alla moglie veniva assicurato il cosidetto “diritto di visita”, ovvero la possibilità di stare con il cane secondo giorni prestabiliti. Un altro precedente conforme a questo orientamento interpretativo, è costituito dalla sentenza dell'11 giugno 2008 del Tribunale di Cremona, che ha equiparato in pieno gli animali domestici alla prole. In questo caso la coppia si era trovata a ricorrere alla separazione giudiziale proprio a causa della contesa dei loro due cani, con la conseguenza che il Giudice cremonese invitava la coppia a trovare un accordo che contemplasse la garanzia per entrambi i coniugi di potersi prendere cura dei cani in modo condiviso e dettagliatamente prestabilito, ivi compresa l'assunzione da parte di entrambi dell'obbligo di ripartirsi nella giusta misura della metà ciascuno le spese per il mantenimento e la cura degli animali. Esattamente come avviene quando vi è la presenza di figli minori. Poiché i coniugi accoglievano il suggerimento del Giudice, il relativo accordo veniva recepito e omologato. A conferma di quanto testé esposto, il Tribunale di Como con il decreto 3 febbraio 2016, afferma che le clausole della separazione consensuale che assicurano a ciascuno dei comproprietari la frequentazione con l'animale e la responsabilità sullo stesso, rivestono un particolare interesse per i coniugi e che rientrano nella libertà degli accordi assunti dai coniugi, senza che dette condizioni urtino con alcuna norma cogente né con principi di ordine pubblico. Osservazioni
Si può concludere con il principio secondo cui è riconosciuto unanimemente dalla giurisprudenza che l'animale, non essendo una cosa, va considerato un “essere senziente” e come tale gode di diritti. Anche il Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 13 dicembre 2007, pone l'accento sulla tutela degli animali, in particolar modo per quanto riguarda la protezione degli stessi contro i maltrattamenti. Secondo quanto sancito dal Trattato di Lisbona e sulla scia della giurisprudenza citata, oggi, tra l'altro, gli animali da affezione e da compagnia, quindi non a scopi produttivi, non sono più pignorabili: all'uopo l'art. 514 c.p.c è stato modificato dalla l. n. 221/2015 aggiungendovi i commi 6 bis e 6 ter che, tra le cose assolutamente impignorabili, ora include gli animali sia di affezione che da compagnia nonché quelli impiegati a fini terapeutici o di assistenza del debitore, del coniuge, del convivente o dei figli. Ciò detto, è altrettanto assodato che in sede di separazione o di conflitti familiari inerenti la frattura di un nucleo familiare, un accordo in ordine alla gestione e al mantenimento del cane, considerato facente parte, in termini di affezione, della famiglia stessa, potrà essere legittimamente redatto e recepito dal giudice in sede di provvedimento omologativo. Ma nel caso di persistente conflittualità, in virtù della mancata equiparazione da parte della normativa dei figli agli animali, il giudice non può decidere né assumere statuizioni circa le modalità di “affidamento” dell'animale da compagnia. Poiché rimangono in capo a chi vuole avanzare domande giudiziarie circa il proprio diritto a conservare il suo rapporto con l'animale le azioni a tutela del possesso e della proprietà previste dal nostro ordinamento, è a questo proposito opportuno precisare che il valore affettivo e il diritto della persona a mantenere con il cane il legame costruito nel tempo, prevale e prescinde dalla intestazione presso l'anagrafe canina. Ne consegue che, anche ai fini decisionali, il “proprietario” in senso stretto soccomberà rispetto alla nozione di “padrone effettivo”, ovvero di colui che vive con l'animale all'interno del nucleo familiare un rapporto preminente e speciale rispetto agli altri. |