Il rifiuto ingiustificato di sottoporsi agli esami del sangue equivale a “ficta confessio”?
24 Agosto 2017
Massima
Il rifiuto ingiustificato del padre di sottoporsi ad esami ematologici, considerando il contesto sociale e la eventuale maggiore difficoltà di riscontri oggettivi alle dichiarazioni della madre, può essere liberamente valutato dal giudice, ai sensi dell'art. 116, comma 2, c.p.c., anche in assenza di prova dei rapporti sessuali tra le parti. Il caso
Con sentenza depositata in data 5 giugno 2012 il Tribunale di Roma, accogliendo la domanda proposta da T.O. in rappresentanza della figlia T.G., nata il 17 gennaio 2009, dichiarava che D.L. era il padre della predetta minore. Con la stessa decisione veniva posto a carico del convenuto un contributo mensile di euro 1.500,00, da rivalutarsi in base agli indici Istat, oltre al 50% delle spese straordinarie, mentre veniva rilevata l'inammissibilità della domanda relativa al rimborso delle spese sostenute in precedenza per il mantenimento della bambina, in quanto non avanzata direttamente dalla madre, ma in nome e per conto della figlia minore. La Corte d'appello di Roma ha rigettato le impugnazioni proposte dal D. e, in via incidentale, dalla T., compensando le spese di lite. La conferma del giudizio inerente la sussistenza del rapporto di filiazione è stata fondata essenzialmente sulla valutazione del comportamento processuale del D., il quale, dopo aver dichiarato che intendeva sottoporsi alle prove genetiche, non si era presentato al consulente tecnico d'ufficio all'uopo nominato per consentire il prelievo, facendo pervenire la copia di un'analisi genetica effettuata da un laboratorio di Buenos Aires su un campione asseritamente prelevato alla presenza di un notaio e di due testimoni, che non veniva utilizzato, anche per l'opposizione del difensore della T., per effettuare Ia comparazione. A tale riguardo la Corte distrettuale ha ritenuto corretta tale scelta, rilevando che mancavano le necessarie garanzie circa la correttezza dell'analisi eseguita e, soprattutto, dell'identità del campione prelevato alla presenza del notaio argentino e quello esaminato nel laboratorio di Buenos Aires.
La questione
La questione che la Suprema Corte si trova a dover risolvere è se possa legittimamente emettersi, ai sensi dell'art. 269 c.c., una sentenza dichiarativa della paternità sulla base del rifiuto ingiustificato del padre di sottoporsi alle prove genetiche. Le soluzioni giuridiche
La Suprema Corte, nel rigettare il ricorso del padre, ha osservato che, nel caso di specie, la Corte territoriale aveva ravvisato la ricorrenza di un rifiuto ingiustificato del padre di sottoporsi ad esami biologici, non potendo il deposito di un profilo genetico estratto senza alcuna garanzia di veridicità e senza il rispetto del contraddittorio in ambito extraprocessuale ricondursi in un atteggiamento collaborativo. La soluzione adottata dalla Corte d'appello – che, al fine di riconoscere la sussistenza del rapporto di filiazione, ha valutato il rifiuto del ricorrente di sottoporsi agli esami genetici nel contesto delle complessive risultanze probatorie acquisite (la deposizione de relato di un'amica dell'appellata, cui era stato riferito nell'immediatezza l'incontro con il D.; il comportamento processuale dello stesso, che aveva, in un primo momento, persino negato l'esistenza stessa della relazione sentimentale) – è stata ritenuta conforme all'orientamento espresso anche di recente dalla giurisprudenza di legittimità. In particolare, si è richiamato il principio secondo cui nel giudizio promosso per la dichiarazione di paternità naturale, la prova della fondatezza della domanda può trarsi anche unicamente dal comportamento processuale delle parti, da valutarsi globalmente, tenendo conto delle dichiarazioni della madre e della portata delle difese del convenuto. Pertanto, non sussistendo un ordine gerarchico delle prove riguardanti l'accertamento giudiziale della paternità e della maternità, il rifiuto ingiustificato del padre di sottoporsi agli esami ematologici, considerando il contesto sociale e la eventuale maggiore difficoltà di riscontri oggettivi alle dichiarazioni della madre, può essere liberamente valutata dal giudice, ai sensi dell'art. 116, comma 2, c.p.c., anche in assenza di prova dei rapporti sessuali tra le parti. Osservazioni
Con la sentenza in commento la Suprema Corte riconosce, dunque, in un ambito estremamente delicato, quale è quello dell'accertamento giudiziale della paternità, un decisivo valore probatorio al comportamento della parte che si rifiuta ingiustificatamente di sottoporsi al test genetico. La decisione si colloca nel solco di un recente orientamento giurisprudenziale, che ha preso le distanze dal più risalente indirizzo interpretativo in base al quale l'esame del sangue per la ricerca della paternità era da considerarsi un mezzo di prova di scarsa attendibilità e dunque di carattere eccezionale, da utilizzarsi solamente quando manchino altri strumenti dimostrativi (Cass., S.U., 20 febbraio 1958, n. 527, in Mass., 1958, e Cass., 4 marzo 1960, in Riv. Dir. Proc., 1961, 129, con nota critica di F. Carnelutti, Prova del sangue). Assai variegato è, comunque, il panorama della giurisprudenza recente sulla valenza dimostrativa del rifiuto della parte di sottoporsi ad indagini genetiche, nell'ambito di giudizi aventi ad oggetto il rapporto parentale. Si registrano, infatti, sentenze che, come quella in commento, hanno ritenuto tale elemento (ovviamente, ove non contraddetto da fattori di segno contrario) sufficiente per la dimostrazione della filiazione negata dal soggetto che ha opposto il rifiuto (Cass., 25 marzo 2015, n. 6025, in Mass., 2015, Cass., 19 luglio 2013, n. 17773, in Foro It., 2013, I, 3174; Cass., 19 novembre 2012, n. 20235, in Dir. Fam., 2014, 561; Cass., 9 aprile 2009, n. 8733, in Fam. min., 2009, 5, 28, con nota di M. Fiorini; App. Bari, 25 febbraio 2011, in Fam. min., 2011, 42, con nota di E. Sacchettini) D'altro canto, non sono mancate sentenze che hanno sostenuto la tesi contraria (ossia dell'insufficienza probatoria del solo rifiuto), per lo più nell'ambito di giudizi di impugnazione per difetto di veridicità del riconoscimento del figlio nato fuori dal matrimonio, ex art. 263 c.c. (così Cass., 11 settembre 2015, n. 17970, in Mass., 2015, nella specie, il giudizio era stato promosso dal padre autore del riconoscimento ed il figlio aveva negato il consenso al prelievo del proprio sangue; Cass., 8 maggio 2009, n. 10585, in Giust. Civ., 2010, I, 1989). Si è, altresì, affermato che il rifiuto è comunque valutabile, unitamente alle altre prove, come indice dimostrativo di fatti sfavorevoli al soggetto rifiutante (cfr. Cass., 6 giugno 2008, n. 15089, con nota di G. Grasso, Le prove genetiche ed ematologiche e l'interpretazione costituzionalmente orientata dell'azione di disconoscimento della paternità: verso un sistema unitario della prova? in Fam. e Dir., 2009, 155, nella fattispecie, il rifiuto era relativo al figlio ed era stato espresso dai suoi rappresentanti nell'ambito di un giudizio di disconoscimento della paternità; Cass., 25 gennaio 2008, n. 1733, in Mass., 2008; Cass., 27 luglio 2007, n. 16752, in Fam. e Dir., 2008, 251, con la citata nota di G. Valente; Cass., 22 agosto 2006, n. 18224, in Fam. e dir., 2007, 240, con nota di C. D. Fioravanti, Dichiarazione giudiziale di paternità: accertamento dei presupposti di fatto e di diritto; Trib. min. Roma, 24 gennaio 2013, in Riv. nel diritto, 2013, 1573, con nota di A. Gatto, Dichiarazione giudiziale della paternità naturale, Trib. Brindisi, 2 febbraio 2005, in Giur. It., 2006, 1854, con nota di M. Robles, Paternità anagrafica e (presunta) «fraternità naturale» all'ombra dell'art. 116 c.p.c.). Per la costituzionalità dell'art. 116, comma 2, c.p.c. nella parte in cui appunto consente al giudice di trarre argomenti di prova anche dal legittimo rifiuto del preteso padre di sottoporsi a prelievo ematico, si è espressa la Suprema Corte con la pronuncia 7 giugno 2006, n. 13276, specificando che, nei giudizi per l'accertamento della paternità naturale, la rilevanza dell'indagine genetica o del rifiuto di sottoporvisi prescinde dalla prova, aliunde attinta, dell'esistenza di rapporti sessuali tra la madre ed il presunto padre (cfr. Cass., 24 luglio 2012, n. 12971, in Mass., 2012; Cass., 25 gennaio 2008, n. 1738, in Fam. e Dir., 2008, 790, con nota di G. Ferrando, Prove storiche e prove scientifiche nell'accertamento della paternità naturale, Cass, 22 febbraio 2007, n. 4175, ivi, 2007, 787, con nota di A. Renda, La cassazione recepisce l'intervento della consulta in materia di disconoscimento della paternità e (sopravvenuta irrilevanza della) prova dell'adulterio, Cass., 24 marzo 2006, n. 6694, in Mass., 2006). Si è anche statuito che il rifiuto apprezzabile come elemento di prova è solamente quello che si esprime successivamente all'ordine di ispezione (Cass., 11 maggio 1982, n. 2925, in Foro It., 1983, I, 149). Argomenti di prova possono essere ricavati anche dalla condotta degli eredi o dei congiunti del presunto padre, i quali abbiano impedito l'esame delle caratteristiche generiche della salma di questi (v. Cass., 16 aprile 2008, n. 10051, in Fam. e Dir., 2008, 869, con nota di S. Taccini, Accertamento della paternità a fini successori e comparazione genetica collaterale, Cass., 9 giugno 2005, n. 12166, in Mass., 2005 (nel caso di specie il cadavere fu fatto sparire dopo che il giudice aveva disposto il suo esame da parte di un consulente tecnico). G. Ferrando e G. Laurini (a cura di), La riforma della filiazione, in Quaderni di Notariato, Milano, 2013, 85 ss. J. M. Lamarque, Prima i bambini. Il principio dei best interests of the child nella prospettiva costituzionale, Milano, 2016 M. Sesta, L'accertamento dello stato di figlio dopo il decreto legislativo n. 154/2013, in Fam. Dir., 2014, 5, 454 |