Il diritto del minore a crescere ed essere educato nella propria famiglia d'origine anche se versa in grave difficoltà

Luisa Ventorino
25 Febbraio 2016

Ai sensi dell'art. 8 CEDU, non deve essere dichiarato adottabile il minore che possa crescere nell'ambito della propria famiglia, nonostante le gravi difficoltà della famiglia stessa, da cui è derivata l'inidoneità delle figure genitoriali.
Massima

Ai sensi dell'art. 8 CEDU, non deve essere dichiarato adottabile il minore che possa crescere nell'ambito della propria famiglia, nonostante le gravi difficoltà della famiglia stessa, da cui è derivata l'inidoneità delle figure genitoriali. Pertanto lo stato di adottabilità del minore deve essere dichiarato, quale extrema ratio, solo quando sia accertata la situazione di abbandono non transeunte, e quando genitori e parenti non siano assolutamente in grado di provvedere all'assistenza morale e materiale dello stesso.

Il caso

La Corte di Appello di Firenze, in riforma della sentenza del T.M., aveva revocato la dichiarazione di adottabilità della minore S.G., affidandola allo zio materno E.G, in applicazione del principio che non va dichiarato adottabile il minore che possa essere cresciuto ed educato dai propri familiari, malgrado le vicende drammatiche che hanno colpito la famiglia di origine e le difficoltà dalla stessa incontrate. La minore S.G., nata da una donna tossicodipendente ed affetta da HIV, era stata allontanata dalla madre dichiarata inidonea alle funzioni genitoriali dal T.M, il quale, ritenuta altresì, l'inesistenza di rapporti significativi con lo zio materno, ne aveva dichiarato lo stato di abbandono e, di conseguenza l'adottabilità.

La Corte territoriale aveva ribadito l'inidoneità della madre a prendersi cura della figlia, ritenendo che tale condizione fosse non transeunte e non superabile in un tempo ragionevole. Di contro, a mezzo CTU, aveva accertato la disponibilità e la serietà delle dichiarazioni dello zio materno di voler allevare la nipote e la sussistenza di rapporti significativi con la bambina, anche se i contatti erano stati di numero limitato, considerato che i rapporti sarebbero intercorsi durante il primo anno di vita della bambina. Pertanto, aveva affermato e ritenuto provata la piena idoneità dello zio materno e della moglie a prendersi cura della piccola. E ciò, nonostante lo stesso zio avesse posto in evidenza - anche in corso di CTU - le drammatiche vicende che avevano colpito la famiglia di origine ed in particolare la madre della bambina.

Avverso tale sentenza proponeva ricorso in Cassazione la curatrice speciale della minore con un unico motivo di doglianza: la sentenza impugnata sarebbe affetta da violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto (artt. 8, 11, e 12 l. n. 184/1983), per avere la Corte di merito errato nell'applicazione delle stesse, in quanto nel caso di specie sarebbe del tutto inesistente il rapporto significativo tra la minore e lo zio materno. La disponibilità del parente sarebbe stata manifestata solo dopo che la bambina aveva subito il trauma dell'abbandono, mentre la stessa avrebbe instaurato rapporti significativi con la famiglia affidataria ed il distacco da essa avrebbe prodotto effetti devastanti sulla minore. Da qui, avrebbe dovuto confermarsi la pronuncia di adottabilità della minore.

La questione

È possibile dichiarare adottabile il minore che, nonostante le difficoltà e le drammatiche vicende che hanno colpito la famiglia di origine, da cui è scaturita l'inidoneità delle figure genitoriali, possa essere educato da altre figure parentali disponibili a prestargli assistenza morale e materiale?

Le soluzioni giuridiche

La decisione in commento riveste particolare interesse per effetto del richiamo ai principi sanciti dalla giurisprudenza sovranazionale, nella quale, in tema di adozione, la tutela del diritto del minore a crescere nell'ambito della propria famiglia di origine riceve ampio riconoscimento, in ragione dell'art. 8 CEDU. Nella sentenza della Corte EDU (S.H. c. Italia, 13 maggio 2015,n. 525557/14) la stessa Corte ha ritenuto che lo stato italiano non avesse scelto adeguatamente l'intervento da praticare nel caso di specie, e che le autorità nazionali non avessero fatto abbastanza per salvaguardare il rapporto madre-figli, secondo i dettami di cui all'art. 8 CEDU.

La dichiarazione di adottabilità (da parte di un giudice nazionale n.d.r.) in quanto ingerenza nell'esercizio del diritto al rispetto della vita familiare «è compatibile con l'art. 8 della Convenzione, solo se soddisfa le condizioni cumulative di essere prevista dalla legge, di perseguire uno scopo legittimo e di essere necessaria in una società democratica, nel senso che l'ingerenza si basi su un bisogno sociale imperioso e che sia in particolare proporzionata al legittimo scopo perseguito». In un simile contesto, la dichiarazione di adottabilità deve rimanere l'extrema ratio, poiché vanno preferite misure idonee a riunire il figlio al genitore.

Nella sentenza in esame, i Supremi Giudici chiariscono che gli istituti disciplinati dalla l. n. 184/1983 (e succ. mod.) sono applicabili «quando la famiglia non è in grado di provvedere alla crescita e all'educazione del minore». E sono diretti a tutelare il diritto del minore «di crescere ed essere educato nell'ambito della propria famiglia» (art. 1, comma 4). Sono dichiarati adottabili i minori di cui sia accertato lo stato di abbandono perché privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi e che tale condizione non sia dovuta a causa di forza maggiore di carattere transitorio; mentre lo stato di abbandono sussiste, in presenza delle predette condizioni, anche se il minore si trovi in istituti di assistenza pubblica o privata o comunità ovvero siano in affidamento (art. 8, l. n. 184/1983). Pertanto, ai sensi dell'art. 15 l. n. 184/1983 lo stato di adottabilità del minore è dichiarato quando: a) i genitori e i parenti convocati ai sensi degli artt. 12 e 13 non si sono presentati; b) l'audizione delle persone indicate negli artt. 12 e 13 ha dimostrato la mancanza di assistenza morale e materiale e la indisponibilità ad ovviarvi; c) le prescrizioni impartite sono rimaste inadempiute ovvero risulti l'irrecuperabilità delle capacità genitoriali in un tempo ragionevole. La fattispecie in commento versa nella ipotesi di cui alla lett. b) dell'art. 15 l. n. 184/1983.

Secondo la Suprema Corte, il fondamento dell'adottabilità consiste in una situazione del minore non transeunte e non suscettibile di essere superata, allorché sia acclarata la condizione di abbandono. Il minore ha diritto non già “ad una famiglia”, bensì a crescere ed essere educato nell'ambito della “propria famiglia”. Nella fattispecie, accertata l'inidoneità della madre ad occuparsi della figlia, accertata, altresì, la seria disponibilità di figure parentali a prestare assistenza materiale e morale alla minore ancorché in un momento successivo rispetto alla decisione del Tribunale, la Corte territoriale ha applicato correttamente e puntualmente gli istituti di cui all'art. 12 l. n. 184/1983, anche interpretandoli secondo i dettami dell'art. 8 CEDU.

Il diritto del minore a crescere e ad essere educato nella propria famiglia di origine comporta che il ricorso alla dichiarazione di adottabilità sia praticabile solo come “soluzione estrema”, quando, cioè, ogni altro rimedio appaia inadeguato con l'esigenza dell'acquisto o del recupero di uno stabile ed adeguato contesto familiare in tempi compatibili con l'esigenza del minore stesso (Trib.Min. Bologna 06 agosto 2015; Cass. civ., sez. I, 06 agosto 2014, n. 17725; Cass. civ., sez. I, 16 luglio 2014, n. 16280); solo ove, a prescindere dagli intendimenti dei genitori e dei parenti, la vita da loro offerta a quest'ultimo risulti inadatta al suo normale sviluppo psico-fisico, ne ricorre la situazione di abbandono ai sensi dell'art. 8 l. 4 maggio 1983 n. 184, e la rescissione del legame familiare è l'unico strumento che possa evitargli un più grave pregiudizio (Cass. civ., sez.I, 28 gennaio 2011, n. 2102; Cass. civ., sez. I, 20 gennaio 2015 n. 881; Cass. civ., sez. I, 18 dicembre 2015, n. 25527).

Il carattere sussidiario del procedimento adottivo, in virtù del quale ad esso si ricorre soltanto se il minore sia privo di famiglia, ovvero quest'ultima rappresenti un ambiente a lui pregiudizievole, è affermato, pertanto, con decisione dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, la quale valorizza la natura insostituibile della famiglia biologica ;, salvo gravi carenze o aspetti patologici nella sua compagine, precisando, inequivocabilmente, che «l'adozione di minori ha come fine primario quello di procurare una famiglia ai minori che ne siano privi, o che non ne abbiano una idonea, ma rappresenta un'estrema ratio, giacché l'obiettivo primario della l. n. 184/1983 è quello di garantire il diritto del minore di crescere ed essere educato nell'ambito della propria famiglia di origine ;». Non pregiudicano tale diritto le difficoltà economiche, stante la previsione da parte del legislatore di interventi solidaristici di sostegno in caso di difficoltà; né rilevano le anomalie della personalità e i disturbi mentali dei genitori non particolarmente gravi e non in grado di compromettere lo sviluppo psico-fisico del bambino e lo svolgimento delle funzioni genitoriali (O. Clarizia, Dir. Fam. e Per. Il, fasc.3, 2015, 1132).

Quanto mai aderente, quindi, la sentenza in commento ai principi espressi dalla Corte di Strasburgo, secondo cui il bambino ha diritto a crescere e ad essere educato nella propria famiglia e, prima di sopprimere il legame di filiazione, «le autorità nazionali hanno il dovere di adottare tutte le misure necessarie ed appropriate che si possono ragionevolmente esigere dalle stesse affinché i minori possano condurre una vita familiare normale all'interno del proprio nucleo familiare» (si vedano inoltre Gnahoré c. Francia, n. 40031/98, Couillard Maugery c. Francia, 10 luglio 2004, n. 64796/01, e Pontes c. Portogallo, 10 aprile 2012, n. 19554/09).

Osservazioni

Ai fini della declaratoria dello stato di adottabilità di un minore occorre, da parte dell'organo giudicante, l'accertamento rigoroso della situazione di abbandono che deve presentare carattere non transeunte e non suscettibile di essere superato.

Il Giudice, pertanto, dopo una scrupolosa istruttoria nella quale dovranno essere convocati i soggetti di cui all'art. 15 l. n. 184/1983, potrà disporre anche in sede di appello una CTU volta alla valutazione, non solo delle capacità genitoriali, ma anche di quelle delle figure parentali che si rendano disponibili a prendersi cura del minore, nonché delle condizioni che possono condurre alla decisione sulla adottabilità dello stesso. Dall'esito della CTU (in tali giudizi è sempre auspicabile che sia nominato un esperto di dinamiche relazionali con particolare riguardo ai rapporti familiari) può scaturire – eventualmente anche in sede di gravame – la prova della disponibilità e della seria intenzione di altre figure parentali a prendersi cura dei minori in questione. L'arresto giurisprudenziale in commento appare come una ulteriore tappa del dialogo fra Corte europea dei diritti dell'uomo e giudici italiani in materia di rispetto del diritto alla vita privata e familiare, garantito dall'art. 8 CEDU. Si tratta di una decisione che si segnala assai favorevolmente per aver ribadito la necessità che i giudici di merito mettano al centro delle loro valutazioni il supremo interesse del minore, così come richiesto dalla nostra adesione alla Convenzione sui diritti dei bambini e degli adolescenti delle Nazioni Unite del 1989 e dalla costante giurisprudenza degli stessi giudici di Strasburgo.

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